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La Procura di Ragusa, il reato di giornalismo, le parole del Pm, il processo all’informazione e la Corea del Nord. Montante e Ciotti, rapporti, diari segreti, favori e silenzi

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Nella sequenza di articoli in corso (questo è il decimo) siamo partiti da un’udienza del processo penale dinanzi al Tribunale di Ragusa che mi vede imputato per diffamazione a mezzo stampa nei confronti di Pio Luigi Ciotti presidente di ‘Libera’ per un’intervista, trasmessa nel 2018 da ‘La Prima Tv’ di cui ero direttore responsabile, a Vincenzo Guidotto, uno dei fondatori di Libera, docente, attivista per la legalità e apprezzato studioso della mafia, nonché serio conoscitore e interprete limpido e credibile delle azioni serie ed efficaci di contrasto del triste fenomeno.

Lungo il filo del dialogo con i lettori che massicciamente seguono la vicenda e pongono domande chiedendo anche approfondimenti su determinati aspetti, abbiamo spaziato su tanti fatti di rilevante interesse, ma per non eluderle e non deludere le attese di molti, oggi devo riferire sull’ultima udienza, tenutasi il 2 febbraio scorso e conclusasi con l’aggiornamento alla prossima, mercoledì 8 giugno, nella quale è previsto l’esame dibattimentale dei testi indicati dalla difesa, i giornalisti Sigfrido Ranucci e Paolo Mondani, rispettivamente conduttore e inviato-coautore di Report, il noto programma di Rai3 la cui inchiesta, ‘L’Apostolo dell’antimafia’ trasmessa il 12 novembre 2018, è il tema dell’intervista de La Prima tv ad Enzo Guidotto, realizzata e diffusa nei giorni successivi.

Come già emerso durante il ‘viaggio’ intrapreso, il processo di Ragusa è un evento da conoscere e da seguire per il suo altissimo interesse pubblico, ben al di là di quello proprio dei fatti che ne sono oggetto e che i lettori attenti conoscono ormai benissimo.

Tale interesse, ulteriore e ben più ampio, si deve alle ragioni – già esposte e documentate – della querela di Libera e del suo presidente Ciotti nei miei confronti, alla trattazione che ne ha fatto la Procura presso il Tribunale di Ragusa la quale nel 2019 optò, fuori dalle previsioni del codice di procedura penale, per una citazione diretta in giudizio, e soprattutto si deve ad alcuni elementi emersi nel corso del dibattimento che lo rendono un processo all’informazione nel quale sembra che il reato perseguito sia quello di giornalismo.

Ecco come si è espresso il pubblico ministero, Adelaide Mandarà, nell’udienza del 2 febbraio scorso, durante l’esame dibattimentale del sottoscritto, imputato.

…Ma nel momento in cui lei ha organizzato la trasmissione presso la sua Prima Tv, … lei che tipo di trasmissione voleva realizzare? … A cosa la sua trasmissione … che obiettivo aveva? Che intento aveva in quella serata quel tipo di trasmissione?…

Soffermiamoci su questo incipit del pubblico ministero.

Ovviamente in udienza rispondo che l’obiettivo era quello che perseguo in ogni istante del mio lavoro: trattare le notizie e comunicarle ai lettori, così come, suppongo, il magistrato inquirente tratti le notitiae criminis, senza che qualcuno consideri ‘sospetta’ questa sua attività d’ufficio. Devo confessare di averlo fatto con una certa intensità e lunghezza espositiva, colpito dalla domanda. Per rendere l’idea del mio stupore in dibattimento, riferisco di avere pensato d’istinto – era l’esempio a me più vicino –  che era come se ad un pubblico ministero si chiedesse conto e ragione del perché la mattina entri nel suo ufficio ad occuparsi, appunto, di notitiae criminis, di denunce ed esposti pervenuti, di fascicoli, di atti d’indagine assumendo poi le determinazioni conseguenti. Ed è come se, per ciò solo, lo si guardasse in modo sospetto al punto che egli – o, nel caso nostro, ella – debba dare spiegazioni non, se del caso, degli atti compiuti, ma dell’intento, dell’obiettivo coltivato all’origine: ovvero perseguire reati, così come quello del giornalista è informare su ciò che accada di pubblico interesse con tutto il corollario – che è parte integrante della libertà di stampa – di momenti di analisi, approfondimenti, riflessioni critiche, opinioni.

Se per il pubblico ministero è rilevante sapere che tipo di trasmissione, ex ante, io volessi organizzare, il punto, e quindi l’accusa nel procedimento che mi riguarda, non è se qualche elemento di quell’intervista o del mio commento finale, ex post potesse apparire, come a Ciotti, diffamatorio, ma la trasmissione in sé, il suo intento e il suo obiettivo. Insomma, il giornalismo è un ‘reato’ o quanto meno una cosa sospetta: bisogna quindi chiedersi cosa nasconda, da cosa muova, cosa ci sia dietro e indagarne gli intenti e gli obiettivi perseguiti fin dal punto di partenza, ovvero la presa in considerazione della notizia o del tema che s’intenda affrontare.

Siamo alla pretesa di censura preventiva e di perseguimento non di reati previsti come tali dalla legge penale, ma del giornalismo tout court, ridotto a reato.

Ma questo modo di procedere, documentato dalle parole testuali impiegate, è compatibile più con procure di stati come la Corea del Nord, tra gli ultimi per indice di libertà di stampa, che della Repubblica italiana la quale, non solo nell’articolo 21 della sua Costituzione, ma ancora più ampiamente nel diritto europeo di immediata applicazione nell’ordinamento nazionale e nella giurisprudenza della Corte Edu, ha nel riconoscimento della libertà di stampa un valore costitutivo della propria entità, identità ed essenza istituzionale, nonché dell’ordine democratico che la definisce e la connota fin dal primo articolo della sua legge fondamentale.

Rispondo in udienza tentando di rimettere a posto le cose, ovvero ‘generalizzando’ ogni intento e ogni obiettivo della trasmissione e collocandoli nell’alveo naturale e fisiologico del giornalismo, delineandone quindi i confini, così come definiti dal legislatore, dalla dottrina, dalla giurisprudenza e dall’esperienza viva del corpo sociale del paese.

Tutto chiaro finalmente? Macchè!

Nel passaggio successivo, il pubblico ministero afferma.

… Si, quindi essendo una rubrica diciamo che il contenuto deve essere oggettivo … cioè i fatti … fatti di cronaca …. fatti oggettivi …

Ancora più incredulo di prima, rilevo che la fantasiosa pretesa che una rubrica d’informazione, quindi il giornalismo in quanto tale, possa trattare solo ‘fatti di cronaca’ non ha alcun riscontro, per fortuna, nel nostro ordinamento, tant’è che la cronaca è solo una parte, normalmente una sezione del prodotto editoriale informativo, ma non c’è alcun divieto o limite per le altre, come è naturale che sia, oltre che di elementare percezione a chiunque conosca l’articolo 21 della Costituzione e i rudimenti normativi e giurisprudenziali che da esso promanano.

Ancora più arbitraria, pericolosa e censoria – in pratica non libertà di stampa, ma divieto di stampa – è la non meno fantasiosa, ulteriore pretesa di ‘oggettività’ del contenuto e dei fatti trattati.

Qui sorvolo su quanto possa avere detto in udienza dinanzi a chi, forse senza rendersene conto – magistrato in un’aula di tribunale –  di fatto nega l’esistenza stessa della libertà di stampa, in nome di un limite, l’oggettività dei fatti, impossibile da concepire e realizzare e quindi tale da escludere alla radice, appunto, la libertà di stampa e il giornalismo, come ama fare nel suo paese Kim Jong-un il quale applica gli insegnamenti ereditati dal padre Kim Jong-il e dal nonno Kim II-sung.

Poiché, provando a rispondere a quelle domande surreali, devo richiamare i fondamenti giurisprudenziali del diritto di cronaca, fattispecie di ‘esimente’ (rispetto alla pretesa punitiva esercitata dai presunti diffamati) elaborata dalla Corte di Cassazione nella famosa sentenza-decalogo del 1984 e avente nella verità, nella pertinenza e nella continenza il suo ubi consistam (dal che riferire fatti veri, di pubblico interesse e in modo appropriato è sempre legittimo) il pubblico ministero ad un certo punto ha uno slancio illuminante: questo…

…Quindi concentriamoci sull’aggettivo veri …

Detto così, l’invito del pubblico ministero, a sè stessa oltre che al sottoscritto e alle altre parti del processo, ha il merito di sembrare finalmente risolutivo, ma ciò a condizione che sia chiaro cosa intenda la Cassazione per ‘verità’: certo non un totem simile alla bizzarra oggettività invocata che non esiste, come non esiste una verità assoluta e senza aggettivi, sicché porla come condizione di quell’esimente significa cancellare la libertà di stampa e il giornalismo. Quella qui richiesta invece è la ‘verità putativa’: così, testualmente, la definisce la suprema corte.

Ben presto quella speranza si rivela illusoria. Ecco infatti come prosegue il magistrato …

…Sulla verità dei fatti … perché poi lei effettivamente fa delle insinuazioni… A chiusura dell’intervista ha lasciato trasparire in maniera chiarissima la vicinanza inquietante di Libera a Montante … all’attività di Montante. E quindi ha lanciato un messaggio che faceva sorgere dei dubbi e metteva in cattiva luce Don Ciotti e Libera…

Respingo l’arbitrario derubricare a ‘insinuazioni’ le mie affermazioni di analisi e di commento dei fatti trattati, rilevo che non insinuo, ma parlo o scrivo, e – parlando o scrivendo – dico ciò che dico, né di più, né di meno. E se qualcuno, non riuscendo a stare alla lettera delle parole, preferisce appiccicarvi sopra presunte insinuazioni che non possono non essere frutto della sua personale interpretazione, se ne faccia una ragione ma il problema è suo e turba il processo fino a farlo diventare, appunto, processo all’informazione e al giornalismo.

Ovviamente la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di stampa, oltre a sostenere il diritto di cronaca, sorreggono anche la libertà di critica, talmente ovvia e naturale che, almeno fuori dallo spazio di dominio di Kim, risulta imbarazzante il solo discuterne. Eppure, per averla citata e avere rivendicato la piena legittimità delle analisi e delle riflessioni compiute, mi sento chiedere dal pm …

…Che cosa intende lei per critica legittima?…

E poi, ancora, di seguito…

…Lei lasciava intendere che era impossibile che l’organizzazione che ruotava attorno a Libera … fosse vicina a Montante senza avere ricevuto da Montante dei vantaggi e comunque dei favori… Che cosa intendeva dire lei con questo?…

… Che cosa intende dire Libera … l’organizzazione che ruota intorno a Libera era vicina a Montante e ai suoi affari?.. Quali erano questi affari di Montante? A che cosa alludeva lei?… Cosa intendeva dire quando parlava degli affari di Montante?…

…Si ma noi stamattina siamo qui per quello che ha dichiarato … Lei deve spiegarci che cosa intendeva…. Cioè gli affari di Montante quali erano secondo lei?…

…Lei ha chiuso l’intervista a Guidotto con questa espressione … e in quel contesto ha una valenza, ha un significato… Ci vuole spiegare? … Che cosa intendeva dire con questa vicinanza … Libera … con gli affari di Montante?…

Nella parte evidenziata che precede riporto i vari punti di domanda del pubblico ministero, in sequenza e in continuità, tralasciando le mie risposte intermezzate che riferisco e riassumo di seguito, sia per esigenze di sintesi che perché possa apparire ancora più chiaro il modo di procedere del magistrato requirente. Il quale, ad un certo punto, soggiunge…

… Allora, la vicinanza e il silenzio sono due fatti oggettivi confermati anche in quest’aula… Ma il fatto che lei abbia però … interpretato questi due termini della questione….

… il silenzio è anche un diritto, … quello di stare in silenzio perché non necessariamente si deve … Ma da questi due elementi della questione lei poi ha tratto delle conseguenze … Perché lei ha detto che da un lato c’era la vicinanza e questo silenzio significava che … automaticamente Libera aveva dei favori, riceveva dei favori da Montante e per questo il silenzio si giustificava? ….

…C’è stato un silenzio effettivamente, una scelta di chiunque, … Libera non aveva nessun obbligo di intervenire… Da questi due elementi, vicinanza e silenzio, lei poi che conclusioni ha tratto? … Proprio per ingenerare nel pubblico un dubbio…

…Ma lei ha potuto accertare … prima di fare queste dichiarazioni e di insinuare questi dubbi sulla verità? …

…Da che cosa ha potuto evincere questa vicinanza … di Libera agli affari di Montante? Da dove risulta? …

…Lei ci deve parlare di fatti veri accertati, di fatti che … siano inconfutabili sulla scorta dei quali lei ha potuto fare quelle dichiarazioni….  

Quanto alla ‘critica legittima’, essendo la critica, di norma, legittima (se no, che fine fa l’art. 21 ?) non dovrebbe essere chi l’abbia espressa a dimostrare di essere al di qua, e non al di là, del confine costituzionale, ma la prova del contrario dovrebbe gravare su chi chieda la punizione del ‘colpevole di critica’ e sostenga che tale limite sia stato valicato.

Sui vantaggi o favori tornerò dopo. Lo schema logico del pubblico ministero e il suo modo di ‘procedere’ muovono infatti dalla ‘vicinanza’ e dal ‘silenzio’ per poi virare sugli affari di Montante e approdare ai ‘favori’, tutte parti del ‘corpo del reato’ che sono accusato d’avere commesso.

Tralascio per il momento l’argomentazione, compatibile con lo stato e l’ordinamento del citato Kim, del ‘lasciare intendere’, ‘lasciare trasparire’, ‘fare sorgere dei dubbi’, ‘mettere in cattiva luce’. Vado subito ai due elementi della ‘vicinanza’, del presidente di Libera Ciotti a Montante, e del ‘silenzio’ del primo sul secondo, dopo che questi pubblicamente risulta indagato per concorso in associazione mafiosa, poi arrestato per associazione per delinquere, quindi condannato dal tribunale competente: l’8 luglio prossimo è prevista la sentenza d’appello, mentre è in fase iniziale un altro processo, per una diversa associazione per delinquere, sempre capeggiata da Montante.

Il pubblico ministero mi accusa di avere rilevato questi due elementi – vicinanza e silenzio – che però ad un certo punto è lei stessa a definire <<due fatti oggettivi, confermati anche in quest’aula>> e ribadisce più volte il dato. Sicchè, da quel momento in poi, il corpo del reato, stando alle parole del pm, sembra circoscriversi agli ‘affari’ di Montante e ai ‘favori’ che Ciotti o Libera ne abbiano ricevuto.

Per semplificare, il pm mi ‘assolve’ quanto alla dichiarata vicinanza di Ciotti a Montante ma mi accusa quanto alla vicinanza di Ciotti agli ‘affari’ di Montante.

Preciso che per quanto da me affermato nella trasmissione de La Pima Tv a commento e a conclusione dell’intervista di Guidotto, secondo il capo d’imputazione avrei <<lasciato trasparire un’inquietante vicinanza della predetta associazione all’affaire Montante … così offendendo la reputazione di Ciotti>>. ‘Affaire’ è un fatto o caso di rilevante importanza pubblica. L’affaire-Montante è dunque la vicenda che riguarda il suo protagonista: e quando la vicenda diventa così nota e importante ed ha un artefice esclusivo o nettamente prevalente su altri, la vicenda, quindi l’affaire, è, essa stessa, il suo protagonista.

Ma anche al di fuori del capo d’imputazione, volendo estendere il più possibile il campo delle possibili accuse nei miei confronti, consideriamo anche il concetto della vicinanza di Ciotti a Montante e ai suoi ‘affari’. La vicinanza di Ciotti a Montante, che risulta ben chiara perfino al pubblico ministero che la definisce ‘oggettiva’ e ‘confermata’ in quest’aula’, è non solo attestata ma connotata e qualificata dalla  frequentazione dei due, dai loro comprovati rapporti, quindi dalle attività – cioè dagli affari di ciascuno dei due (affare è ciò che si fa, si è fatto o è da farsi, è faccenda, questione, cosa, è l’agire stesso, è il ‘fare’) – e dai vari momenti di interazione, così come risultano da dichiarazioni, iniziative, annunci, eventi, programmi, accadimenti, vicende documentate da svariate fonti aperte: media di ogni tipo, libri, inchieste giornalistiche e approfondimenti multimediali, nonché atti, pubblici, di procedimenti giudiziari.

Che avere detto ciò che risulta non solo vero e accertato, ma perfino palese e di istantanea percezione al cittadino comune, possa essere motivo di giudizio penale è pericoloso, grave ed inquietante, e configura, questo è il senso della mia analisi, un processo all’informazione, al giornalismo, al diritto di cronaca e alla libertà di critica minacciosamente ridotti a reato.

Ma c’è un altro elemento di grave pericolo che il processo di Ragusa, per bocca del pm, pone sulla via della libertà di stampa, precondizione e fondamento della democraticità della Repubblica. Ed è la frase, già riportata in grassetto  <<…Lei ci deve parlare di fatti veri accertati, di fatti che siano inconfutabili sulla scorta dei quali lei ha potuto fare quelle dichiarazioni…>>.  A me, presente, e a chiunque esamini l’esame dibattimentale nella sua interezza, il senso della frase, anzi dell’imperativo, è chiaro e univoco: fa riferimento alla ‘vicinanza agli affari di Montante’ ed esprime la pretesa – imperativa – che essa risulti da ‘fatti veri … accertati … inconfutabili’. E siamo nuovamente al ‘reato di giornalismo’, contro la Costituzione, contro le leggi ordinarie della Repubblica e contro la storica elaborazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione che fissa nella ‘verità putativa’ l’elemento legittimante il diritto di cronaca.

Piccola finestra sui fatti per capire il senso dell’affermazione del pm. Montante annotava nei suoi diari ogni cosa: diari segreti, utili a lui per non dimenticare i favori che rendeva o che gli venivano chiesti da centinaia di soggetti influenti: ministri, politici, pubblici amministratori, uomini e donne delle istituzioni, magistrati, vertici delle forze dell’ordine, giornalisti, burocrati, imprenditori, ecc…  Montante ha fatto di tutto per nascondere i suoi diari e i suoi archivi nel momento della perquisizione e dell’arresto. Ogni qualvolta annotazioni di tali diari siano state vagliate dall’autorità giudiziaria sono sempre risultate pienamente veritiere. Montante scriveva per sè e a sè stesso non mentiva.

Quando i diari, ad agosto 2018, diventano pubblici, ovviamente se ne parla, sulla stampa e in varie sedi, in quanto materia di interesse pubblico. Il diritto della stampa a parlarne (diritto di cronaca) non è sottoposto alla condizione sospensiva del verificarsi di un loro formale accertamento tal che, nella singolare costruzione del pm, essi si possano definire ‘fatti veri, accertati, inconfutabili ….’. La stampa, atteso il loro interesse pubblico e il legittimo ingresso nella pubblica diffusione, ha il diritto-dovere di parlarne, con tutti i dubbi e con gli strumenti del giornalismo (consultazione di più fonti, diritto di replica, ecc…), quindi della verità in ogni momento possibile, della verità putativa. Che, nel singolo caso in questione che ci riguarda (come Ciotti, altre centinaia di persone figurano in quei diari) è quella che risulta disponibile in ogni momento dai diari, dalla valutazione che ne fa l’autorità giudiziaria, da ogni altro elemento, dichiarazione o testimonianza degli interessati o di soggetti a conoscenza dei fatti e di loro connessioni.

Chi, meglio di Ciotti, avrebbe potuto dichiarare pubblicamente (come è solito fare su mille altri ‘affari’ più o meno correnti, su casi, vicende, problematiche, inchieste giudiziarie) se, nella parte che lo riguardava, i diari di Montante a suo avviso riportassero il vero o meno? Ma egli ha scelto il silenzio, per anni e tuttora. Il silenzio è un suo ‘diritto’, si affanna a ripetere in continuazione il pubblico ministero, ma l’esercizio di tale diritto, di chiunque su un dato fatto, non cancella su di esso la libertà di stampa.

Questa non potrebbe esistere se a legittimarla fossero necessari una verifica o un accertamento definitivi impossibili nell’immediatezza e nell’attualità della notizia. Muovendo da tale incredibile assunto, non solo non potrebbero esistere i giornali e i vari servizi d’informazione: anche i libri di storia dovrebbero restare inediti per secoli e di fatto per sempre, in attesa della verità unica, ‘accertata’ e ‘inconfutabile’.

Peraltro un’interpretazione logica e naturale delle parole del pm ci potrebbe portare a ritenere i diari di Montante un fatto (fino a prova contraria, ma qui siamo ancora al silenzio di Ciotti) ’vero, accertato e inconfutabile’, tale quindi da legittimare notizie e commenti giornalistici su di essi, ma tale interpretazione è esclusa dallo stesso pm che nella completezza testuale delle sue affermazioni e delle sue domande postula inequivocabilmente la necessità di un livello assoluto di accertamento: incompatibile con la stampa, ancora una volta ridotta a reato.

Rimane l’elemento finale dei ‘vantaggi’ o ‘favori’.

Nel capo d’imputazione, perimetro del processo, il termine ricorre in riferimento ad un passaggio dell’intervista per il quale il pm contesta a Guidotto (e quindi a me quale direttore responsabile) <<di avere attribuito un fatto determinato affermando che l’associazione avrebbe ricevuto da Montante vantaggi o favori>>.

Cosa non vera in questi termini perché Guidotto, in una più che legittima e perfino moralmente e socialmente doverosa riflessione critica, parla dei silenzi di Libera, di Ciotti e di tanti altri su Montante, e pone il dubbio se anche Libera abbia ottenuto dei vantaggi.

Vantaggio è ‘condizione favorevole’, ‘prerogativa’, ‘profitto’, ‘utilità’, ‘beneficio’. Non solo Guidotto ha espresso il concetto in forma dubitativa (dice’ presumibilmente’), ma, anche a volerla alterare e trasformarla in un’affermazione netta, addirittura con attribuzione di fatto determinato, mi chiedo: ma Ciotti ha coltivato i rapporti con Montante, così intensamente da essergli vicino (parole del pm) e ha svolto con lui molteplici e ben documentate attività (o affari) perché volesse svantaggiare se stesso e Libera o perché, a torto o a ragione, ritenesse che potessero derivarne vantaggi, quindi condizioni favorevoli, benefici, utilità, ecc… per sè quale presidente di Libera e quindi nell’ampia sfera degli interessi, degli affari, delle attività, delle finalità e degli obiettivi dell’associazione?

Infine il termine ‘favori’ da me utilizzato nel commento finale dopo l’intervista.

Non voglio ripetermi ed i lettori sanno di cosa parlo. I favori a Ciotti e a Libera sono attestati, e perfino rivendicati, da Montante, senza mai alcuna smentita da parte dei beneficiari. E non si tratta solo di favori denotanti una certa conveniente appropriatezza, comunque – incontestabilmente – ‘favori’, come le donazioni di beni da parte di Montante per vendite all’asta e raccolta fondi, ma ve ne sono anche altri meno appropriati, gravemente lesivi dell’integrità di Libera – peraltro richiesti a Montante secondo i suoi diari – e aventi valenza privata di benefici a destinazione personale. Gli uni e gli altri meticolosamente annotati da Montante, come era solito fare al fine, all’occorrenza, di pretendere dai beneficiati gratitudine ed eventuali controprestazioni. (articolo leggibile qui).

A tale aspetto sono dedicati interi articoli di questa serie e i lettori che non l’avessero ancora fatto possono riscontrarne in dettaglio i fatti e gli elementi anche negli altri, oltre che in quello sopra richiamato: in fondo al testo ci sono i link di rimando a tutti gli articoli precedenti.

Infine una notazione sul silenzio di Ciotti. Il pubblico ministero lo ammette e lo riconosce, al punto da ritenerlo un fatto ‘oggettivo e confermato in quest’aula’, anche se, una volta sì e l’altra pure, avverte, ad ogni citazione di tale silenzio, il bisogno urgente ed impellente di precisare che esso è un diritto.

Certo che lo è. Ma c’è qualcuno che forse metta in dubbio tale sacrosanto diritto di Ciotti, o di chiunque, di stare in silenzio se e quando voglia? E, per quanto qui ci riguarda, non lo mettono in dubbio, neanche nel cuore del ‘corpo del reato’, né Guidotto, né il sottoscritto.

Il processo di cui parliamo vede me come imputato, e non Ciotti del ‘reato di silenzio’, sicché mi è difficile cogliere il significato della continua, stucchevole, insistente sottolineatura del ‘diritto al silenzio’.

Tale difficoltà però cede dinanzi all’unica via possibile di interpretazione logica: il silenzio (di Ciotti) è un diritto, quindi è un reato osare ‘disturbarlo’, con il mezzo dell’informazione, della cronaca e della critica, cioè parlando o scrivendo di tale silenzio, notarlo, segnalarlo, argomentarlo, magari considerarlo strano e meritevole di attenzione pubblica rispetto all’agire di un soggetto di cronaca e personaggio pubblico come Ciotti, per conto dell’associazione da lui capeggiata, realtà di rilevante valenza sociale per tante ragioni già focalizzate tra le quali qui segnaliamo il fatto che essa riceva ingenti somme di danaro pubblico per i fini indicati nel suo statuto.

Ragioni, tutte, per le quali, se il suo silenzio è ‘giuridicamente’ un diritto, la scelta (del silenzio) è un vulnus dei suoi valori statutari e principi fondativi, quindi un tradimento delle attese che in Libera sono riposte, un inquietante inadempimento dei suoi doveri morali e sociali, una deviante elusione delle aspettative dell’intera comunità che, anche con soldi pubblici, la sostiene.

E tutto ciò è materia di libertà di manifestazione del pensiero, di diritto di cronaca, di libertà di critica in un necessario dibattito pubblico che per anni ha visto Ciotti, sull’affaire-Montante, latitante. E da questa latitanza è riapparso solo di rado, per esempio per attestargli pubblicamente la sua affettuosa amicizia, quando ‘Antonello’, da quasi due anni era indagato per concorso in associazione mafiosa e da 14 mesi (Ciotti da più tempo) tutti ne erano a conoscenza.

Sono stato, o sono io, a mettere Libera in cattiva luce (qualunque cosa ciò significhi)?

10 – continua

Gli articoli precedenti sono stati pubblicati il 6 febbraio (leggibile qui), l’11 febbraio (leggibile qui), il 24 febbraio (leggibile qui) l’8 marzo 2022 (leggibile qui) il 26 marzo (leggibile qui) il 25 aprile (leggibile qui ), il 29 aprile (leggibile qui), il 3 maggio (leggibile qui) e il 15 maggio (leggibile qui).