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Sciopero dei giornalisti Rai, ecco cosa farei. Io, ‘licenziato dall’UsigRai’, sindacato di sinistra, vi racconto la Sinistra e la Destra nella Tv di Stato: etica zero, solo appartenenze

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Domani i giornalisti Rai sciopereranno contro “il controllo asfissiante sul lavoro giornalistico, con il tentativo di ridurre la Rai a megafono del governo”, contro l’assenza di un piano per l’informazione e per tante altre buone ragioni.  Già subito dopo l’annuncio dell’azione di protesta indetta dall’UsigRai, l’Unione sindacale giornalisti Rai, mi fu chiesta un’opinione. Non credevo fosse utile ma oggi credo lo sia, dopo il caldo invito ai propri iscritti da parte dell’UniRai – da taluni definito una ‘precettazione’ considerata la forte presa sugli attuali vertici aziendali – non solo a non scioperare ma ad evitare assenze a qualunque titolo, per esempio cambiando il giorno di riposo: una vota si sarebbe parlato di crumiraggio.
Se potessi, io lunedì sciopererei. Senza alcun dubbio, né indugio. Perché sono vere e sacrosante le ragioni per le quali l’UsigRai ha indetto questo sciopero. Del resto in sedici anni di servizio in Rai ho aderito a tutti gli scioperi di quel periodo ognuno dei quali a mio avviso, pur in un contesto storico diverso dall’attuale, era giusto e condivisibile. Per la cronaca allora c’era solo l’UsigRai, come è quasi sempre stato in quarant’anni della sua storia e fino a poco fa: ebbe vita breve infatti il precedente dell’attuale, SingRai, ovvero il sindacato di destra allestito dai berlusconiani con Fi all’apice. Per il resto solo brevi storie di componenti interne che non hanno lasciato traccia.
Tornando allo sciopero di domani, aderirei ma non posso perché undici anni fa sono stato licenziato.
Da chi? Da vertici aziendali asserviti a questa destra pericolosa e inquietante che controlla qualunque cosa la postazione del governo le consenta e contro cui quindi, oggi – ripeto – è giusto scioperare?
No, da tutt’altri.
Fui licenziato con un falso, un imbroglio, un sopruso, un abuso, un atto malandrino di … raffinato ‘stampo mafioso’, confezionato da una dirigenza prostituita ad un capo azienda desideroso di ingraziarsi il mio persecutore, per ricambiargli un favore inconfessabile ma a molti ben noto.
Il mio persecutore era tale perché mi ero permesso di non prestarmi all’asservimento del servizio pubblico ad affari, e malaffari, privati: i suoi e quelli di certi suoi amici.
Un ‘persecutore’ forte di altissimi sostegni, anche politici, non però da parte di questa destra, né della destra in quanto tale: questa attuale, oggi pericolosa e inquietante, non era ancora nata e quella, potente, a trazione berlusconiana, dei diciotto anni precedenti, era in caduta verticale: governava Monti, con il Pdl ma anche e soprattutto con il Pd. E devo dare atto al direttore della Tgr d’allora, Alessandro Casarin, amico e riferimento del neonato sindacato di destra UniRai, di non essersi prestato a quella violenza e di essersi subito dopo dimesso: violenza che comunque il caporedattore mio persecutore riuscì a perpetrare con i ben più potenti strumenti offerti dal capo azienda di cui potè disporre per meriti inerenti un preciso snodo di importanti traffici d’influenza.
Se vogliamo semplificare pronunciando sigle di partito tali sostegni erano ben saldi in centri di potere e scambi e affari che pascevano soprattutto intorno al Pd ed anche al suo interno.
Del resto è dai vertici parlamentari del Pd che due anni fa partì il boicottaggio contro la mia audizione in Commissione antimafia nell’ambito dell’inchiesta sul ‘Sistema-Montante’, in Rai ‘Sistema-Morgante. Boicottaggio riuscito una prima volta, poi reiterato nella nuova convocazione quando fu sventato dal presidente Nicola Morra assegnandone la competenza ad un comitato interno, fuori quindi dal potere di veto di un voto di maggioranza (uno degli articoli richiamati alla fine di questo testo riguarda tale audizione).
L’UsigRai, etichettato come sindacato di sinistra anche quando, cioè quasi sempre, è stato l’unico – al cui sciopero, come ho detto, io domani aderirei con piena e totale convinzione – proprio nella vicenda del licenziamento fu la mia principale avversaria: nei fatti operò perché io potessi e quindi dovessi essere licenziato. Sembra assurdo e incredibile ma ciò è esattamente quanto accaduto nella realtà.
L’UsigRai, mia avversaria lo rimane ancora oggi quando, anche nei tribunali, torna d’attualità il mio licenziamento: chiunque ne abbia voglia potrà verificare con l’ausilio di qualche articolo anche piuttosto recente che documenta comportamenti scioccanti e inverosimili: eccone uno (qui).  Usigrai significa ovviamente e direttamente Fnsi, Federazione nazionale della stampa italiana, il cosiddetto sindacato unitario dei giornalisti di cui l’Unione dei giornalisti Rai è parte. Peraltro oggi presidente della Fnsi è l’allora segretario generale dell’UsigRai.
Oggi sarei, e da cittadino fermamente sono, oppositore strenuo di questo governo che calpestando i principi basilari della Costituzione – nei quali credo rigidamente e sul serio, con l’intima coerenza dei fatti e non per rituale flessibile estetica convenienza – rappresenta un pericolo per la democrazia.
Al tempo stesso mi ritrovo nemico giurato di un’ampia parte del campo politico di segno opposto, quella ruotante intorno al Pd e non solo, dove, ancora oggi sono vivi e forti i sostegni al mio persecutore e a quel campo d’interessi che costruì il falso e l’impostura del licenziamento. Un campo d’interessi che ancora oggi trova necessario da una parte difendere quell’actum sceleris e dall’altra rinnovare sine die ostracismo e reclusione a chi come me osò richiamare al proprio dovere chi gestiva, come quel mio persecutore, fette di potere del servizio pubblico.
Questa singolare situazione – essere avversario di tutti per essere stato difensore dei cittadini – si presenta quando non solo gli ideali ma anche le idee, politiche o sindacali o di qualsivoglia genere, siano ridotte a finzione, soppiantate da interessi di ben altra natura, variegati e permeati da commistioni illecite o criminali.
Da giornalista e da cittadino da sempre cerco di seguire la bussola dell’onestà del primato dei fatti e, su di essi o intorno ad essi, di esercitare la libertà delle idee e degli ideali.
I miei sono di sinistra – nettamente di sinistra, liberale e radicale – per i valori che la parola rappresenta ed esprime: uguaglianza, libertà, solidarietà, dignità della persona umana, giustizia sociale, pluralismo, pienezza della democrazia. Ma questo non mi porta, né mi ha mai portato a sposare acriticamente appartenenze a ‘partiti di sinistra’.
Se bastasse dirsi di ‘sinistra’ per esserlo, Totò Riina sarebbe persona per bene, visto che dice di esserlo.
Ecco perché i fatti, il confronto critico nel merito, la ricerca e l’indagine, la libertà delle opinioni, il richiamo alla coerenza, la necessità della trasparenza del potere come quello esercitato dal mio persecutore senza che chi la invochi commetta lesa maestà, sono valori essenziali dell’onestà individuale e collettiva, quindi connaturati alla democrazia.
Io, da cittadino e da giornalista, ho sempre cercato di ‘onorare’ i fatti senza riflessi o condizionamenti in ragione degli effetti di utilità o danno su partiti dell’uno o dell’altro campo. Anzi, se ho idee di sinistra, da cittadino mi batto per il loro rispetto che pretendo, con coerente onestà intellettuale e fattuale, innanzitutto da coloro che le rappresentano e che proprio in nome di esse sono legittimamente investite di poteri.
Una tale ‘pretesa’, che a me sembra appena un dovere elementare, scava un solco abissale tra chi la eserciti e i titolari di potere che se ne sentono disturbati.
Ciò mi ha portato – oggi perfino in modo estremo – da un lato ad essere, o ad essere percepito giustamente, come avversario dei partiti di destra. E dall’altro ad essere trattato nei fatti come un ben più pericoloso avversario della parte prevalente nel campo politico, la sinistra, la cui identità dovrebbe consistere nelle stesse idee di visione del bene comune che io, per scelta di coscienza civile e non per convenienza materiale, liberamente abbraccio.
Ciò è sorprendente e può accadere quando ideali e idee, ridotti a finzione, abbandonano il campo e cedono il passo ad interessi capaci di determinare da soli l’appartenenza. Ne consegue che non vi sia scampo per chi si ostini a vivere in libertà l’adesione ad ideali senza interessi, eccetto quello di vedere i primi onorati con trasparenza e coerenza.
Io sono avversario delle idee della destra. Ma sono anche avversario di certi interessi, purtroppo non secondari, che hanno infiltrato, svuotandoli e vanificandoli – quindi corrompendoli e falsificandoli – gli ideali di sinistra ridotti ad esteriore applicazione estetica sul corpo malato di organismi in cui dovrebbero abitare in piena salute e da cui invece, tolta l’ingannevole apparenza, sono stati espunti.
Per fare un esempio non v’è dubbio che Pio Luigi Ciotti, il potente capo di Libera, sia una star della sinistra. Come non v’è dubbio che sia stato un mio persecutore giudiziario in nome della pretesa – tutt’altro che di sinistra – di mettere il bavaglio alla stampa quando questa, come nel mio caso, rivela verità scomode come quella riguardante i rapporti d’interesse e il legame profondo tra Ciotti ed il noto impostore antimafia Antonio Calogero Montante, peraltro sponsor potente e prepotente del mio persecutore in Rai nonchè trafficante d’influenze anche in certe sfere di potere giudiziario venute in rilievo nella vicenda del licenziamento.
Perciò posso vivere il ‘privilegio’ di una solitudine surreale.
Chiedo scusa a chi legge se, in riferimento allo sciopero Rai, mi sia toccato d’ affrontare la distinzione tra idee di destra e di sinistra; sindacati di destra e di sinistra sono rispettivamente UniRai e UsigRai: categorie, soprattutto quella delle idee e degli ideali, sulla carta nobili ma annientate e piegate ad interessi di squadre e di bande, con poco riguardo al merito dei comportamenti.
Ma siffatto tema è nella realtà delle cose perchè lo sciopero di domani ha indubbiamente tale connotazione.
Per questa ragione ho voluto manifestare il mio pensiero rievocando, anche sul terreno di certe proiezioni d’area politica, i fatti di undici anni fa che oggi mi impediscono di partecipare allo sciopero che riguarda i giornalisti Rai, ma non certo di esprimere la mia opinione.
Domani sarei il primo a scioperare contro le idee e gli interessi di questa destra.
Non posso farlo perchè undici anni fa sono stato licenziato, non dalla destra nè da questa destra, per volere di un piccolo e meschino don Rodrigo, per mano dei suoi bravi e dei suoi sgherri, in una trama sinistra di moventi e di complicità non dissimile da quella manzoniana dei Nibbio, dei Gertrude e degli Egidio, ma senza la crisi di coscienza del Visconti Innominato e, soprattutto, senza un Borromeo capace di guidarlo per impedire o rimuovere il delitto in corso e poi di chiederne conto ai tanti Don Abbondio sulla scena.
Un delitto commesso non tanto contro di me (sarebbe poca cosa) quanto, anche in funzione deterrente, contro i giornalisti per bene e – visto che parliamo del Servizio pubblico – soprattutto contro tutti i contribuenti e contro i cittadini onesti che hanno a cuore il valore costituzionale della Cittadinanza e del bene comune.

Ps – Sul mio contezioso con la Rai sono disponibili i seguenti articoli qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui