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Cara Libera, con Montante Ciotti ti ha tradita, ma se avrai il coraggio della verità saprai cercare la verginità perduta

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In questi giorni mi è toccato molte volte di dovere in privato rendere report a diversi soggetti – giornalisti, personalità della cultura, delle istituzioni e della politica, in alcuni casi semplici amici o persone comuni che seguono la mia attività giornalistica – sul processo in corso dinanzi al Tribunale di Ragusa che mi vede imputato di diffamazione a mezzo stampa per un’intervista, comprensiva del mio commento, sul tema dei silenzi e della posizione di Libera rispetto al caso Montante, rilasciata da Enzo Guidotto al giornalista Marco Milioni e trasmessa, in due parti, il 21 novembre e il 6 dicembre 2018, da La Prima Tv di cui, all’epoca, ero direttore.

La scelta di intervistare Guidotto su quella vicenda scabrosa, allarmante e inquietante, ovviamente fu mia, quale direttore. Conoscevo Guidotto, personalità di specchiata integrità morale e di riconosciuta competenza sul tema del contrasto culturale e sociale della mafia, protagonista di tante fruttuose esperienze, in oltre cinquant’anni di impegno nella scuola, nella cultura e nelle più alte istituzioni dello Stato impegnate su questo terreno. Peraltro Guidotto, tra i fondatori di Libera, mi sembrava – ed effettivamente risultò – una scelta di alta qualità editoriale per l’analisi e la riflessione critica svolte nel corso dell’intervista su una vicenda che lasciava sgomente decine di migliaia di persone in Italia e suscitava dubbi e disorientamento in quasi tutta l’opinione pubblica per la posizione e l’atteggiamento di Libera sul caso predetto e, soprattutto, per la reticenza dell’organizzazione (il cui nome completo è  “Libera. Associazione, nomi e numeri contro le mafie”) e del suo solitamente loquace presidente Pio Ciotti, da oltre un quarto di secolo simbolo carismatico, per titoli indiscussi acquisiti sul campo, dell’impegno sociale diffuso contro le mafie.

Sgomento, sconcerto e disorientamento dovuti al contrasto stridente tra – da una parte – i meriti straordinari di una persona come Ciotti, prima nella lotta contro le droghe nel gruppo Abele, poi come artefice della nascita di Libera, con quella petizione lanciata nel 1995 la quale, con un milione di firme, diede avvio ad una grande mobilitazione civile, sociale e culturale contro le mafie e – dall’altra – (da quando si è saputo delle accuse mosse ad Antonio Calogero Montante, ‘Antonello’ per gli amici, dall’autorità giudiziaria per concorso in associazione mafiosa, accuse a tutti note certamente dal 9 febbraio 2015), i lunghi silenzi di Ciotti, intermezzati peraltro da dichiarazioni che chi ha potuto ascoltarle ha faticato parecchio – dovendo risentirle e rivedere più e più volte la faccia di chi pronunciava quelle parole – per essere certo di essere sveglio anziché immerso in un sogno-incubo impossibile da credere.

Dichiarazioni audiovideo rese a Messina ad una testata giornalistica il 16 marzo 2016, ovvero quando da oltre un anno tutti – e Ciotti da più tempo – sapevano dell’inchiesta penale nei confronti di Montante, accusato di avere concorso fin dal 1990 a Cosa Nostra, nonostante da un decennio fosse riuscito a cucirsi addosso, quale imprenditore, l’immagine di fiero e sincero avversario della mafia, in virtù di una geniale, abile e colossale impostura che gli ha consentito di scalare i vertici di Confindustria ed è stata sostenuta da una rete vastissima di complicità svariate. Da quelle dolose a quelle meno consapevoli ma oscure e nutrite dagli interessi particolari che Montante illecitamente, con la piena accettazione e la totale gratitudine dei beneficiari, era in grado di soddisfare attraverso una rete (con un cerchio propriamente criminale ed altri contigui e borderline) che lo portava a disporre di collusioni, contiguità e vere e proprie correità in una vasta platea di infedeli servitori dello stato i quali erano a sua totale disposizione: prefetti, questori, alti ufficiali della Polizia di Stato, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, dei vertici dei Servizi segreti, e poi ministri, politici di vario livello, burocrati, giornalisti, magistrati, altri rappresentanti di varie organizzazioni, pubbliche o private ma, in questo caso, con rilevanti funzioni di interesse generale.

Secondo quanto emerso dal processo di primo grado e da quello d’appello che volge al termine, la rete di Montante operava non solo nel senso corruttivo di rendere favori illeciti e ottenerne tutte le controprestazioni possibili – di fedeltà assoluta e incondizionata fino alla commissione di reati – ma anche nel senso aggressivo e violento di minacciare, intimidire, colpire chi non si prestasse ai suoi voleri o ostacolasse i suoi interessi.  Questa duplice modalità operativa dell’associazione criminale capeggiata da Montante è riscontrabile in molti campi ma meglio riconoscibile soprattutto in quello della stampa. Tanti giornalisti ed editori a sua disposizione, prostituendo la loro funzione hanno alimentato la narrazione dell’imprenditore partito dall’entroterra siciliano di Serradifalco e divenuto icona nazionale antimafia, mentre altri giornalisti, onesti e liberi perciò indisponibili alle sue lusignhe corruttive, venivano colpiti, calunniati, fatti bersaglio di dossier fabbricati a comando da uno stuolo di poliziotti, carabinieri e finanzieri della sua cricca.

Ma se milioni di persone che non abbiano mai incontrato Montante, nè parlato con lui e ascoltato il suo privato ‘linguaggio da gangster’ svelato dalle intercettazioni, possono aver creduto in buona fede alla sua colossale impostura, dal 9 febbraio 2015 tutto ciò non era possibile.

Ecco perchè, da quel momento i silenzi di Libera e di Ciotti, ancora di più le attestazioni di stima e di amicizia che si possono cogliere in quelle parole pubbliche del 16 marzo 2016, e poi ancora i nuovi silenzi reiterati fino al 2019, danno scandalo.

Peraltro questa sequenza, da quando Ciotti nel 2014 apprende dell’inchiesta sul sistema Montante, alle prime, deboli, parole che finalmente comincia a pronunciare nel 2019 all’insegna di una, comunque timidissima, presa di distanza, si manifesta in una fase storica in cui sono tante le voci critiche – di figure limpide, forti, autorevoli – che dalla società civile, dalla cultura, dall’associazionismo, dalle istituzioni si levano su errori, limiti, ritardi, disattenzioni, ambiguità, imbarazzi e molto altro, da parte di quella cosiddetta Antimafia sociale di cui Libera è, senza ombra di dubbio, l’espressione più importante.

Solo per dare un’idea e fare un esempio, tra le voci critiche  – voci amiche dell’Antimafia sociale, e quindi di Libera, interessate unicamente al suo bene e al migliore esercizio della sua missione – qui ne citiamo una: Francesco Forgione, politico, scrittore, ex parlamentare di Rifondazione comunista e presidente della Commissione parlamentare antimafia nella legislatura 2006-2008.

Nell’autunno 2016 – oltre un anno e mezzo dopo che una Procura della Repubblica ha smascherato il falso campione antimafia e lo ha accusato di essere, in realtà, un mafioso – Ciotti ancora tace, ed anzi sei mesi prima lo ha chiamato in pubblico affettuosamente ‘Antonello’.

Nell’autunno 2016 Forgione pubblica un saggio dal titolo “I tragediatori, la fine dell’antimafia e il crollo dei suoi miti”. L’editore Rubettino lo propone in vendita, anche con il bonus cultura, sul proprio sito con queste parole esplicative del contenuto dell’opera: <<L’Antimafia dei tragediatori è scoperta. È finita. Chi sono, da dove vengono e perché stanno crollando le icone e i miti dell’Antimafia. Imprenditori, giornalisti, magistrati, associazioni sono travolti>>.

Moltissime le presentazioni pubbliche del libro in varie città d’Italia con eventi e incontri che animano un vivace dibattito. Decine gli articoli pubblicati dalle maggiori testate.

Per esempio Il Fatto quotidiano il 10 novembre 2016 pubblica un ampio servizio dal titolo “I tragediatori, Forgione racconta il lato oscuro del movimento antimafia” nel quale il tema, su una foto di Forgione insieme a Ciotti, è introdotto con grande evidenza, da questo sommario: <<Un ventennio di successi, sconfitte, contraddizioni, faide interne che sono alla fine approdate in quello che verrà ricordato come l’annus horribilis dell’antimafia. Due decenni segnati da scontri aspri, dibattiti al vetriolo e spaccature che adesso non indicano vie di fuga, ma soltanto quale è la strada da abbandonare. È l’inverno del movimento antimafia quello che prova a indagare Francesco Forgione (nella foto con don Ciotti) ne I Tragediatori, il saggio dato alle stampe per Rubbettino dall’ex deputato di Rifondazione comunista>>. Nel testo, tra l’altro,  si legge. Chi sono i tragediatori? Per provare a spiegarlo Forgione cita il pentito Tommaso Buscetta. <<Quando gli uomini d’onore parlano fra loro di fatti che attengono a Cosa nostra – diceva il boss dei due mondi – hanno sempre l’obbligo assoluto di dire la verità. Chi non dice la verità noi lo chiamiamo ‘tragediaturi’. Tragediatore, cioè uomo che dice o finge di essere ciò che non è. Un fenomeno che da tempo si è infiltrato nel mondo dell’antimafia, producendo quel singolare cocktail di slogan e impostura che è alla base dell’ultima indagine della Commissione parlamentare Antimafia: quella sulle contraddizioni dello stesso movimento>>.

La Repubblica, l’8 marzo 2017, dedica un lungo articolo, non è il primo, al libro di Forgione che – si legge – <<racconta come una parte dell’antimafia abbia “tragediato”, per divorare se stessa, in un disegno in cui la lotta alla mafia era spesso solo un pretesto. Un testo trasgressivo che sfida ipocrisie e tabù e racconta un mondo strano e difficile, con ruoli mutevoli e più parti in commedia, con santi ed eroi sempre sull’orlo di un baratro aperto dalle loro stesse mani. Ora – scrive Forgione – è il tempo di rompere il silenzio e l’omertà che, per lungo periodo, hanno avvolto anche il mondo dell’antimafia e lasciato che alcuni suoi paladini ne espropriassero l’intera rappresentanza. Tanti di noi, preoccupati dal nemico che avevamo di fronte, non ci siamo occupati di alcuni compagni di viaggio che avevamo al nostro fianco>>. Il quotidiano osserva come il libro racconti <<con sguardo indagatore, associazioni vere e sigle inventate, fondazioni finanziate solo per la forza evocativa del nome cui sono intitolate, movimenti che per motivare soldi pubblici ricevuti e legittimare la propria esistenza, organizzano ogni anno un convegno più o meno pretestuoso>>. Forgione racconta inoltre anche l’esperienza di presidente della Commissione antimafia , ripercorre tante vicende successive come la rottura con Don Ciotti e su Libera afferma: <<Resto convinto che senza Libera l’antimafia sociale oggi non esisterebbe. Un fatto però è certo: nell’opinione pubblica la verginità di Libera è perduta>>.

E questi sono solo brevi cenni e pochi frammenti di un dibattito molto ampio che ha investito la società italiana, nel silenzio di Libera e di Ciotti. Il quale da parte sua in quel periodo era impegnato invece, per esempio, a cacciare da Libera Franco La Torre il quale non è ‘solo’ il figlio di Pio La Torre – e lo è totalmente e pienamente, anche nella totale identità del sentire e dell’agire etico, sociale e culturale – quel Pio La Torre al cui lascito morale e politico Libera deve la propria stessa esistenza, ma, a prescindere dal cognome che porta, è una figura di altissimo profilo e di cristallina integrità, votata al bene comune e alla causa di Libera di cui è stato fondatore ed attivista. Ciotti lo ha liquidato con un sms subito dopo che – era ottobre 2015 – nel corso di un’assemblea nazionale del movimento, La Torre, peraltro dopo avere espresso su Libera un giudizio altamente positivo, osò osservare che forse su’ Mafia capitale’ e sul ‘sistema Saguto’ c’erano state distrazioni o sottovalutazioni.

Quindi, per oltre quattro anni dopo le prime notizie dell’inchiesta della Procura di Caltanissetta, abbiamo assistito ad un sostanziale silenzio di Libera e di Ciotti sul ‘sistema Montante’, interrotto solo, il 16 marzo 2016, dall’auspicio augurale affettuosamente e pubblicamente espresso all’impostore che da 26 anni stava nel cuore di un boss mafioso e da due era indagato per mafia.

In quello stesso periodo in cui Ciotti taceva – e, quando parlava, più che altro sembrava avere a cuore le sorti personali di ‘Antonello’ – il fronte dell’Antimafia sociale ribolliva e tante figure di primo piano non ci stavano alla consegna del silenzio.

Ecco perché, a novembre 2018, con Montante da sei mesi in carcere, con Ciotti sempre muto e dopo la puntata di Report che prende di petto questi silenzi e affronta il tema dei rapporti di Libera con Montante, ho ritenuto utile ascoltare la voce di Guidotto il quale non ha diffamato nessuno ed ha offerto, in forma pacata, civile e propositiva, un contributo di analisi ed una riflessione critica di grande utilità generale, mosso unicamente da piena sintonia con le ragioni fondative di Libera e dalle anomalie dell’ultimo periodo.

Lo rifarei cento volte, convinto come sono che l’Antimafia sociale sia un grande patrimonio civile, culturale e sociale dell’Italia contro le mafie e che il sentire spontaneo e sincero di tante migliaia di aderenti, sostenitori e attivisti di Libera meriti la limpidezza, la vitalità e la freschezza delle origini.

Ciotti, che di Libera è legale rappresentante, mi ha querelato per diffamazione a mezzo stampa dando vita al processo in corso a Ragusa.

Dovendo riferire dell’ultima udienza ai tanti che mi hanno chiesto, ho finito per determinare senza volerlo un proficuo scambio di idee ed un confronto – con decine di personalità di cui nutro molta stima – non solo nel merito della vicenda, ma anche sulle condizioni allarmanti in cui versano la libertà di manifestazione del pensiero e il dialogo democratico  nella realtà viva della società italiana (con note di indignazione per l’espulsione di La Torre da Libera) nonché, su un altro piano, il pessimo stato di salute della giustizia e dell’informazione libera e critica.

Dalle analisi raccolte, dalla lettura degli eventi, dalle autorevoli opinioni formatesi sulla vicenda e a me rappresentate, un punto centrale che emerge si può esprimere così: cara Libera, con Montante Ciotti ti ha tradita, ma se avrai il coraggio della verità e se saprai tornare alle ragioni autentiche per cui sei nata e hai così bene operato nel primo decennio, potrai rimetterti sulla via della ricerca di quella che Forgione ha definito la <<verginità perduta>>. Ma occorrono verità, rifiuto di ogni tentazione di accomodamento, ipocrisia o compromissione (rischi magari spinti dall’intento di difendere l’esistente e di sopravvivere, ma da scacciare con decisione) onestà intellettuale e umiltà nell’avere la capacità di ammettere pubblicamente errori, omissioni, disattenzioni, sottovalutazioni, silenzi, imprudenze, frequentazioni e rapporti inopportuni, cointeressenze se del caso, condizionamenti o autocondizionamenti, e perfino vere e proprie latitanze come dalla posizione di parte civile nel processo ‘Montante + 22’ dove Libera ha scelto di non essere, al punto che non ha neanche avanzato la richiesta.

I temi emersi dai vari dialoghi sono anche tanti altri e le cose da raccontare innumerevoli.

Ma intanto, dopo avere dovuto assolvere in privato alle richieste di notizie sul processo, ho preso atto che tali notizie, e soprattutto i contributi di analisi e di riflessione che esse hanno suscitato in decine di telefonate e videoconferenze, meritassero anche un minimo di condivisione pubblica.

Cosa che con questo articolo – non potendo a questo punto andare oltre nella lunghezza del testo – comincio a fare.

1 – continua