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Assostampa Sicilia, due fazioni in guerra su tutto, unite su una sola cosa: vendersi alla controparte, a qualunque costo

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Il sindacato dei giornalisti abbandona un procedimento per un’acclarata condotta antisindacale contro la Rai, per volere di quest’ultima, propria controparte che anzichè difendersi in giudizio trova la scorciatoia della collusione

Quando, a giugno scorso ho raccontato la vicenda del mio rapporto-scontro con la Rai, dando notizia nel contempo della sentenza di assoluzione nei miei confronti dall’accusa di calunnia (avevo detto la verità e per questo sono stato perseguitato), mi furono poste, tra le altre, due domande ricorrenti e insistenti: E il sindacato? E l’Ordine?

Oggi provo a rispondere alla prima, rimandando, per la comprensione del contesto, a quel mio racconto-riflessione di giugno (link alla fine di quest’articolo).

Fui licenziato tre anni dopo avere posto in redazione il tema della qualità del prodotto informativo di Tgr Sicilia asservito in molti casi ad interessi privati. Tre anni in cui  feci di tutto perché quel confronto fosse sincero e propositivo, nel merito dei fatti e secondo i principii e i doveri che ci vincolano nell’interesse degli utenti che pagano il canone. Ma, ben presto, per la reazione furiosa dell’allora capo redattore di Tgr Sicilia Vincenzo Morgante e dei giornalisti al suo servizio personale, quel confronto divenne mio malgrado un tiro al bersaglio di tutti loro contro il sottoscritto e contro chi osasse ragionare in coscienza e in verità, perciò disturbando inevitabilmente gli affari del caporedattore. In quei tre anni, compreso il momento dell’atto finale costituito dal mio licenziamento, il sindacato si palesò in due modi: o assente o di fatto schierato dalla parte opposta.

Mi riferisco sia al sindacato aziendale, il Cdr (Comitato di redazione) sia a quello territoriale nella duplice forma dell’Associazione siciliana della stampa, o Assostampa, aderente alla Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) sia all’Usigrai (Unione sindacale giornalisti Rai) che di quest’ultima è organismo di base, l’unico, oltre a quello dei giornalisti pensionati.

Il Cdr in almeno metà dei componenti, a volte tre quarti, era occupato dal ‘cerchio magico’ di Morgante il quale – pur essendo dell’organismo controparte naturale – elettoralmente riusciva in questa misura numerica a far valere il suo potere di condizionamento, pressione, corruzione e intimidazione.

Il sindacato territoriale, regionale e nazionale, pur libero in apparenza da questo tipo di giogo non ritenne mai di intervenire, non dico sui principii etico-professionali che pure sono la loro stessa ragion d’essere statutaria, ma neanche sulle vessazioni persecutorie che un’azienda metteva in campo contro lavoratori ‘colpevoli’ solo di chiedere il rispetto delle norme a vantaggio non proprio, ma dell’intera comunità degli utenti del servizio prodotto, oltre che dell’impresa stessa e dell’etica della professione.

Se questo è il quadro generale in cui si snoda la vicenda, ancora più interessante e singolare è un suo versante specifico successivo a quel triennio, perché per forza di cose maturato dopo il mio licenziamento.

Una sigla con potere di monopolio: i giornalisti e il ‘privilegio’ antistorico di avere un sindacato unico. Ma se non c’è pluralismo abusi e tradimenti sono senza appello 

Da premettere che i giornalisti hanno (abbiamo) la ‘fortuna’ di avere un solo sindacato, uno e uno solo: con una bella parola definito ‘unitario’, ma in effetti ‘unico’, con tutte le conseguenze del caso. Comprendo che niente potrebbe impedire la nascita di altre organizzazioni sindacali ma ciò finora non è avvenuto o, quando qualche tentativo è stato esperito, non ha avuto successo. Credo che non vi siano altre categorie di lavoratori riunite in una sola sigla e non organizzate nelle grandi realtà del sindacalismo confederale. Con tutto ciò che questa posizione di ‘monopolio’ assoluto comporta.

Ecco il versante della complessa vicenda che, meglio di ogni altra, contiene la risposta a quella domanda: <<E il sindacato?>>.

Senza minimamente sfiorare gli elementi di merito del mio licenziamento e delle sue motivazioni che qui non rilevano affatto, e distanziandoci dal conflitto tra l’azienda e un suo dipendente, qui occorre focalizzare la sfera degli interessi morali e materiali del sindacato la cui azione di protezione lo legittima e gli consente di potersi avvalere delle ampie tutele previste dal nostro ordinamento fin dai suoi fondamenti costituzionali.

Il provvedimento del mio licenziamento non fu mai comunicato al Cdr, in violazione delle norme. Violazione che, pertanto, lo rende nullo o inefficace. La norma di riferimento è uno dei capisaldi dello Statuto dei lavoratori, l’art. 28 che punisce e reprime la condotta antisindacale: un esempio classico di tale condotta è, proprio, la mancata comunicazione nei termini previsti di determinati provvedimenti, come il licenziamento, agli organismi sindacali, in questo caso il Cdr.

Per fugare ogni dubbio, è vero che al datore di lavoro è consentito di omettere questo adempimento nel caso di licenziamento per ‘giusta causa’, quella cioè talmente grave da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro e da troncarlo all’istante: si pensi ad un delitto commesso dal lavoratore nel luogo di lavoro. Ed è vero che Rai spa decise di licenziarmi per ‘giusta causa’ che, fantasiosamente, trovò in una presunta violazione del dovere di esclusiva. Violazione mai da me commessa come ho potuto sempre documentare ma se mai, per assurdo, come sostenuto dalla Rai l’avessi commessa, ciò sarebbe unicamente avvenuto attraverso atti da me compiuti fin dall’inizio, sedici anni prima, del rapporto di lavoro: atti mai fino a quel momento contestati, sempre noti all’azienda, come quelli, analoghi, compiuti, allora come ora, da tanti altri giornalisti.

Il licenziamento fu disposto quattro mesi dopo l’avvio del procedimento e la contestazione di quei fatti, ben noti da sedici anni ma all’improvviso diventati…tanto gravi da non consentire la prosecuzione del rapporto! Ma se dalla ‘scoperta’ di quella fantasiosa violazione il procedimento durò quattro mesi, è singolare che la Rai non abbia potuto adempiere all’obbligo di legge, entro i termini, ovvero almeno 72 ore prima di emettere il provvedimento, violando palesemente non una procedura ma uno dei pilastri della tutela legislativa del lavoro che è fondamento della Repubblica, e del sistema di relazioni sindacali che ne è garanzia.

Il Cdr ha reagito? Il sindacato ha assunto iniziative? Per nulla.

In ogni caso, in tutti i gradi di giudizio del procedimento da me promosso contro la legittimità del licenziamento, è stata esclusa la ‘giusta causa’, convertita per la minore gravità della contestata inadempienza nei miei confronti, in ‘giustificato motivo soggettivo’: conversione che non lascia scampo al datore di lavoro, in questo caso l’editore Rai spa, rispetto all’obbligo di informare il Cdr.

Una condotta antisindacale conclamata, ammessa anche da chi l’ha compiuta, la Rai, ma l’unica parte lesa, Assostampa Sicilia,  non vuole agire neanche senza costi    

Quando, dopo il Tribunale, anche la Corte d’Appello ha ribadito l’insussistenza della giusta causa, segnalai la sentenza all’Associazione siciliana della stampa, parte lesa, l’unica, secondo la specifica individuazione – operata dall’art. 28 dello Statuto dei lavoratori – dei soggetti legittimati ad agire in giudizio per la repressione della condotta antisindacale.

Tutto coerente, chiaro, documentale. Una condotta (antisindacale) del datore di lavoro ha leso le prerogative fondamentali del sindacato, le quali ne rappresentano la stessa ragion d’essere, ed esso può chiederne e ottenere la repressione. Qui non vengono in alcun rilievo il merito del licenziamento (che avrebbe anche potuto essere giusto e sacrosanto e nulla cambierebbe ai fini della condotta antisindacale da reprimere) né il mio interesse di lavoratore licenziato, ma conta unicamente la mancata comunicazione preventiva al Cdr. E si dà il caso che tale omissione fosse, già in tempi non sospetti, documentata proprio dal Cdr il quale, il giorno dopo il licenziamento, aveva scritto e comunicato all’intera redazione di non saperne nulla e di averne appreso, solo dopo, dal sottoscritto. E la stessa Rai aveva ammesso di non avere informato il Cdr, sia pure, avendo invocato la ‘giusta causa’, sostenendo di non esservi tenuta.

Segretario regionale dell’Associazione siciliana della stampa, unico soggetto legittimato per legge ad agire (ecco i ‘vantaggi’ del sindacato unico) allora era Alberto Cicero, in carica dal 2006 al 2018, il quale alla mia segnalazione rispose di doverne parlare con il consulente legale e, dopo averlo fatto, mi riferì un parere negativo. Un parere in tutta evidenza assurdo ed estraneo alla realtà dei fatti provati per tabulas e alle norme giuridiche vigenti. Perciò non mi limitai a prenderne atto, ma mi confrontai direttamente con il legale. Il quale, dinanzi ai miei rilievi, argomentazioni e attestazioni documentali, dovette ripiegare dalla linea ostentata in precedenza da Cicero sulle scarse o nulle probabilità di successo dell’azione e si limitò a concludere: comunque io non la faccio.

Ebbi allora la sensazione chiara che Cicero e il legale di Assostampa Sicilia, pagato con i soldi degli iscritti al sindacato (tra i quali anch’io), avessero messo in campo un gioco delle parti. Perciò decisi di pretendere chiarezza e rimuovere l’ostacolo, speciosamente frapposto, delle ‘scarse possibilità di successo dell’azione’, con il mio impegno, agli atti, di totale assunzione del costo e di ogni onere economico dell’azione stessa.

Il nodo infatti era ben stretto al … collo della libertà sindacale e dei diritti che da essa pendono: a causa del ‘monopolio’ prima accennato, ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori c’era e c’è una persona sola, per legge legittimata a promuovere l’azione per la repressione di quella macroscopica condotta antisindacale: il segretario dell’Associazione siciliana della stampa, che allora era Cicero.

Le ‘scarse possibilità di successo’ non erano il vero ostacolo, ma una finzione che nascondeva altro. Quindi, quando mi sono offerto di neutralizzarlo, Cicero decise di mettere in scena un altro gioco delle parti.

La determinazione di promuovere l’azione per la repressione della condotta antisindacale rientrava totalmente nelle sue competenze individuali e nei suoi poteri di legale rappresentante pro tempore dell’Assostampa. Ma egli, volendo tradire i doveri della carica e, però, incapace di assumerne apertamente la responsabilità, ne investì la giunta. Appena seppi di tale suo intendimento – e ben conoscendo quel parere ingannevole che faceva a pugni con la verità, la logica e il diritto – gli chiesi di essere audito da tale organismo affinchè potessi illustrare i termini della vicenda sulla quale poi esso avrebbe preso la decisione. Richiesta ignorata. La giunta decise poi di non esperire quell’azione, nonostante la garanzia che mi sarei fatto carico io dei costi economici.

Questa appena raccontata è solo la prima parte della storia. Ce n’è una seconda che spiega, arricchisce e rende ancora più comprensibile la prima.

Da Cicero a Ginex, ecco come Assostampa Sicilia tratta un caso lampante di violazione di proprie essenziali prerogative, quelle per cui ha ragione d’esistere  

Quando anche la Corte di Cassazione confermò l’esclusione della giusta causa, tornai a segnalare il dato all’Associazione siciliana della stampa, nel frattempo – da aprile 2018 – retta da un nuovo segretario, Roberto Ginex, succeduto a Cicero, passato alla carica di presidente del consiglio regionale.

Mentre sul volto di Cicero avevo sempre visto, fin dalla prima occasione de visu, un ‘niet’ alla mia segnalazione (finalizzata comunque ed unicamente – è bene ricordare –  al ripristino delle prerogative lese del sindacato, nell’interesse di quest’ultimo e non mio), ‘niet’ comunque operato attraverso il gioco delle parti messo in scena; quando, sempre de visu ne parlai a Ginex, in lui colsi una sincera disponibilità. Tant’è che, previa mia totale assunzione degli oneri economici, utile a spazzare via l’unica argomentazione contraria in apparenza sostenibile, dopo resistenze, riflessioni e ritardi, quell’azione alla fine è stata avviata.

La mia dichiarazione liberatoria dei costi nei confronti di Assostampa è del 22 febbraio 2021; subito dopo Ginex conferisce il mandato al legale da me indicato, Vincenzo Iacovino con studio a Roma, giuslavorista con all’attivo diversi successi in favore dei giornalisti contro il potere opaco e discriminatorio della Rai, a totale conoscenza peraltro di ogni atto e fatto sull’intero rapporto tra me e la Rai. Infatti il consulente dell’associazione, prescelto da Ginex in sostituzione di quello in attività durante la segreteria-Cicero, preferì non patrocinare direttamente la causa, sempre con la motivazione delle scarse probabilità di successo.

In tutti i passaggi di questa decisione ho sempre parlato unicamente con Ginex (alla sola presenza del legale di fiducia di Assostampa), né egli mi ha mai fatto cenno di avere condiviso con altri la scelta, comunque rientrante pienamente nelle sue prerogative individuali di segretario pro tempore. Il legale da me proposto, appunto l’avvocato Iacovino insieme all’avvocato Antonio Rubino dello stesso studio, – e da Ginex, nella sua qualità, incaricati con apposito mandato – predispone il ricorso e lo deposita il 24 aprile 2021: un ricorso molto ben costruito, pienamente fondato in fatto e in diritto, contenente ogni elemento costitutivo della possibile declaratoria, e conseguente repressione, della condotta antisindacale di Rai spa, tale da potere ragionevolmente alimentare piena fiducia della parte attrice in altissime chanches di successo.

Il Tribunale di Catania, competente per territorio, cui, in funzione di Giudice del Lavoro, il ricorso è destinato, fissa l’udienza l’11 giugno 2021, un mese e mezzo dopo il deposito, secondo l’urgenza propria di questa procedura.

Da quando, a febbraio, Ginex conferisce il mandato, a quando il ricorso viene depositato, tutto fila liscio. Il segretario regionale appare convinto, tranquillo e sicuro dell’atto compiuto, mentre tutto lascia ritenere che, a parte io, lui, il legale dell’Assostampa e i due professionisti che lo hanno materialmente redatto, nessuno sia a conoscenza della cosa, neanche all’interno degli organismi dirigenti dell’associazione. E tutto fila liscio anche oltre il 24 aprile.

Questa normalità si rompe all’improvviso. Per capire come e perché dobbiamo focalizzare alcune date.

Il ricorso viene notificato alla controparte, Rai spa, la sera di mercoledì 19 maggio, appena in tempo utile nel rispetto dei termini previsti.

Finalmente l’azione è avviata, il successo vicino, ma l’ingenuo segretario che a sua insaputa ha violato il “non s’ha da fare” è richiamato “all’ordine” e deve inchinarsi

 

Tre giorni dopo mi telefona Ginex per dirmi, dichiarandosene dispiaciuto, che dovrà revocare il mandato per pressioni ricevute e posizioni contrarie della giunta (totalmente priva di competenza in materia, come già rilevato). Insomma Ginex aveva posto la propria firma su un atto promosso a costo zero per il sindacato che egli rappresenta, esclusivamente finalizzato alla tutela dei supremi interessi di libertà e autonomia sindacale dello stesso. Un atto avente altissime probabilità di successo in giudizio, contrariamente alla tesi bizzarra sostenuta da Cicero nella fase precedente e dal consulente legale d’allora. Un atto che la Rai teme, come dimostra la memoria di costituzione depositata dinanzi al Tribunale di Catania.

Però questo speciale datore di lavoro, che è anche il più grande editore italiano, anziché difendersi in giudizio, cosa fa?

Qui ognuno può dare libero sfogo alle supposizioni verosimili, ma è bene stare ai fatti, o almeno partire da essi. Eccoli..

Fino a quando nessuno, in Assostampa Sicilia, a parte Ginex, sa nulla, tutto va bene.

Appena il ricorso è notificato alla controparte (sì, la parte avversaria in giudizio, informata secondo obbligo di legge per la validità dell’azione) diversi giornalisti – in questo caso sindacalisti tutori di interessi contrapposti a quelli della Rai – riescono ad imporre a Ginex la revoca del mandato conferito, pur in presenza di un’udienza già fissata in Tribunale in cui avrebbe potuto essere accertata e repressa la condotta antisindacale della Rai e in cui Assostampa Sicilia avrebbe potuto conseguire un successo importante, limpido ed esemplare.

Un successo però che i ‘presunti’ sindacalisti dei lavoraori temevano come la peste (come, prima di loro, l’ha temuta Rai spa, loro parte avversaria in teoria) tant’è che hanno avuto la forza di imporre a Ginex l’inqualificabile sconfessione del suo operato, sul quale pure aveva pienezza di prerogative. Insomma un sindacato (l’unico dei giornalisti) fatto di ferventi servitori della controparte e guidato da un ‘don Abbondio’ subito prono dinanzi ai suoi ‘bravi’, in dispregio anche della minima parvenza di coscienza etica del ruolo e di dignità della funzione assunta.

Un atto di “prostituzione” di Assostampa Sicilia nei confronti del più ricco degli editori, attraverso il ruolo dell’Usigrai, potente unione sindacale dei giornalisti Rai

Ma se appaiono chiare, negli atti e nel movente, la risposta singolare del datore di lavoro – non in giudizio, dove avremmo trovato i fragilissimi argomenti affidati alla memoria di costituzione – e la decisione del sindacato dei giornalisti di prostituirsi tradendo alla radice la propria identità e il proprio ruolo, in questa trama c’è un terzo soggetto che, mosso da non si sa quali interessi, induce, sfrutta ed incassa quell’atto di prostituzione.

Questo soggetto è l’Usigrai, unione dei giornalisti Rai, allora guidata da Vittorio Di Trapani, sostituito il mese scorso, dopo nove anni di carica, da Daniele Macheda.  Usigrai è una realtà potentissima dentro la Fnsi, perché associa i giornalisti più garantiti e meglio pagati (con i soldi dei contribuenti) sicchè anche l’Inpgi, l’istituto previdenziale di categoria, fin quando esisterà, ringrazia. Tali giornalisti associati nell’Usigrai, poiché l’editore è lo Stato, e quindi il ceto politico, puntano ad esercitare ampie quote di questo potere editoriale di gestione, snaturando la dialettica industriale e finalizzando la propria forza alla tutela di interessi impropri: certamente corporativi, certamente particolari e non di rado di dubbia liceità, certamente distanti da quelli degli utenti che pure pagano tutto e pagano caro il costo di questo intreccio perverso che alimenta reti di affari e traffici d’influenza.

Questi i dati di fatto essenziali, oltre i quali possiamo supporre, presumere, ragionare. Ma una cosa è certa. A mettere in collegamento – con un raid lampo – l’ufficio legale della Rai, a Roma, cui la sera di mercoledì 19 maggio giunge la notifica del ricorso, e la giunta di un’associazione regionale di stampa, che a Palermo lunedì 24 maggio (dopo essere stata debitamente convocata ed essersi riunita) ha già imposto al segretario la revoca, sono esponenti Usigrai. Così abituati a colludere con la loro apparente controparte, da essere chiamati immediatamente dall’ufficio legale della Rai, o da qualcuno che da esso è stato reso edotto del ricorso, perché si mettessero in moto e intervenissero, non sappiamo con quali armi o mezzi persuasivi certamente di sicura efficacia, nella sfera di disponibilità dell’avversario naturale del loro ‘mandante’ Rai spa, il sindacato dei lavoratori di categoria: in questo caso, purtroppo, sindacato unico, sicché tale azione, anche quando sacrosanta, può essere compiuta da una sigla ed una sola, perciò da una persona ed una sola, il legale rappresentante pro tempore.

“Sistema-Montante”:  i giornalisti asserviti come l’ex direttore di Rai Tgr Morgante, oggi a capo di Tv2000, rete dei vescovi italiani, e le refluenze in Assostampa

Perchè il puzzle in cui collocare ogni tassello sia completo giova ricordare che, sul versante centrale della vicenda (il mio rapporto con la Rai fino al licenziamento) ho sempre avuto come controparte Vincenzo Morgante e il suo carico di interessi e di contiguità con Antonio Calogero Montante, ‘dante causa’ di diversi altri giornalisti, alcuni dei quali ben piantati, allora come ora, in Assostampa Sicilia e nei suoi organi di vertice. In proposito la vasta rete di contiguità, collusione e affari, con evidente commistione e asservimento della professione agli interessi di Montante da parte di diversi giornalisti è agli atti dell’inchiesta e del processo prossimo alla sentenza d’appello dopo la condanna in primo grado, con rito abbreviato, a 14 anni di reclusione, del falso campione antimafia.

Ovviamente non è dato conoscere tutti i fili, gli intrecci, le trame che hanno portato il “sindacato unitario dei giornalisti” in Sicilia – dopo il normale, ovvio, atto dovuto compiuto, peraltro a costo zero, dal suo segretario nell’interesse dell’associazione che rappresenta – a revocarlo in un rapporto incestuoso che ne azzera ogni credibilità e, in questo caso, ne degrada i gruppi dirigenti a manipolo di reclute vendute al nemico. Un nemico, o quanto meno avversario in quanto editore, nei solenni pronunciamenti dello statuto, ma, un ‘amico’ se incrocia i fili di consorterie trasversali, compagnie di giro e vasto reticolo di interessi inconfessabili come quello che vedeva i sedicenti ‘cani da guardia del potere’ farsi ubbidienti animali da salotto a casa Montante, e farsi da lui imboccare le briciole di un sistema di proventi criminali che il processo di Caltanissetta ha svelato, tratteggiandone, anche al di qua dei confini di rilevanza penale, le aree perverse come quella occupata da diversi giornalisti: da Morgante allora capo redattore (capace, come abbiamo visto, di fare eleggere i rappresentanti della sua diretta controparte sindacale) e poi direttore di Tgr Sicilia, oggi di Tv2000; a diversi altri giornalisti svelati dagli atti dell’inchiesta (in qualche caso negli organismi di Assostampa Sicilia), alcuni dei quali sottoposti a procedimento disciplinare. Ma questa, che investe l’Ordine e riguarda la seconda delle due domande da cui siamo partiti, è un’altra storia, da raccontare a parte.

In definitiva è tutto qui per sommi capi il racconto dell’azione per condotta antisindacale: giusta, sacrosanta, più che fondata, necessaria e doverosa ma che <<non s’aveva>> e <<non s’ha da fare>>. E non perché in questo caso i ‘bravi’ avessero minacciato con la violenza qualcuno, ma semplicemente perché alla loro chiamata il sindacato unitario dei giornalisti non poteva dire di no, in quanto i suoi singoli dirigenti, prostituita e messa in vendita la funzione, mentre fingono di tutelare gli interessi rappresentati in realtà servono (in cambio di cosa? Quale il prezzo della prestazione resa?) quelli della controparte.

Significativo in proposito un elemento.

Le due parti della storia conducono a due periodi diversi, a due segreterie diverse, a due gruppi dirigenti diversi o, quanto meno, a due diverse figure di segretario, carica di vertice regionale del sindacato. Non solo figure diverse, ma totalmente contrapposte, peraltro da tempo a capo di due fazioni avverse impegnate in un duello senza esclusione di colpi. Cicero, segretario per dodici anni consecutivi fino ad aprile 2018, successivamente e fino a pochi giorni fa presidente, poche settimane fa è stato colpito da una mozione di sfiducia e costretto alle dimissioni. Contro di lui è schierata la maggioranza che fa capo a Ginex in una battaglia che dura da tempo, con accuse di gravità senza precedenti, commissariamento del gruppo cronisti, scontro di pareri legali, in un profluvio di lettere al vetriolo, querele e azioni giudiziarie annunciate, dimissioni varie e molto altro.

Ebbene, queste due parti in guerra pare che su una sola cosa siano state e siano totalmente d’accordo: rinunciare, con scuse puerili e pretesti fasulli a far valere le prerogative del sindacato violate nella vicenda raccontata; e quando, finalmente un segretario, Ginex, in silenzio e, pare, riservatamente, finalmente trova l’ardire di compiere l’atto dovuto, quelle due parti in guerra sanno unire le forze e correre ai ripari, afferrando per l’orecchio l’ingenuo loro capo eterodiretto e infliggendogli senza colpo ferire una ritirata imbarazzante, tale da togliere ogni dignità alla carica ricoperta. Lungo questa linea,  Cicero, evidentemente più ‘esperto’, non volle mai correre il … rischio di fare vincere il sindacato, come invece ’ingenuamente’ stava capitando all’inaccorto Ginex.

Portare a termine e vincere la causa per condotta antisindacale contro la Rai era gratis: Assostampa Sicilia paga per ritirarsi e non “rischiare” il successo

Riepilogando, Assostampa Sicilia si sottrae ad un suo diritto-dovere primario con la fantasiosa motivazione, nonostante la totale assenza di costi economici per le sue casse, che nel caso concreto siano nulle o pochissime le possibilità di successo.

Quando, finalmente e per accidente, l’azione, solidissima sul piano giuridico,  viene avviata, con richiesta di condannare la parte avversaria Rai, questa anziché limitarsi a difendersi in giudizio chiede conto e ragione di quell’azione (che non s’aspettava ed era sicura che mai sarebbe stata promossa) e riesce a farla ritirare subito.

Infatti, come riepilogato, la sera di mercoledì 19 maggio, di quell’azione viene informato l’ufficio legale di Rai spa e già il sabato mattina la giunta del sindacato unitario dei giornalisti siciliani, come apprendo dalla telefonata del segretario, ha deciso di cancellarla, senza alcuna motivazione: nella lettera di revoca, il primo giugno, del mandato legale conferito a febbraio, Ginex si limita a <<manifestare la propria irrevocabile volontà di revocare la difesa del nominato difensore di fiducia avv. Vincenzo Iacovino>> e <<contestualmente di nominare difensore di fiducia l’avv.…>>, ovvero il consulente di Assostampa Sicilia il quale non aveva voluto assumere direttamente il patrocinio quando si trattava di presentare il ricorso.

Tutto ciò avviene a pochi giorni dall’udienza fissata dal Tribunale per l’11 giugno. E tutto lascia credere che quel ricorso sia più che fondato ed abbia altissime probabilità di essere accolto. Proprio per questa ragione, liberato il campo dai falsi argomenti risalenti alla segreteria Cicero, ormai tutto è avvenuto: l’azione è pienamente avviata a costo zero per Assostampa Sicilia nonostante l’interesse tutelato sia il suo, ha già prodotto rapidamente un risultato, l’udienza è fissata, la decisione in questo tipo di procedimenti è immediata, sicché basterebbe aspettare i pochi giorni che mancano per scoprire l’esito.

E invece no. Ginex si affretta a cancellare tutto, pasticciando perché nella frenesia dimentica di revocare il mandato anche al secondo legale, Antonio Rubino, che affianca l’avvocato Vincenzo Iacovino e che, sempre su mia indicazione, era stato incaricato di patrocinare la causa e pertanto rimane in campo, sicchè l’11 giugno in Tribunale a Catania si presentano due avvocati in nome e per conto di Assostampa Sicilia: uno, l’avv. Rubino, giunto appositamente da Roma, il cui mandato è sopravvissuto (per dimenticanza di revoca) alla tagliola scattata per volere della Rai e cofirmatario del ricorso depositato; l’altro è il consulente legale dell’associazione, in rapporto fiduciario con Ginex e da questi nominato in sostituzione al solo fine di spazzare via il procedimento.

Il giudice che quel giorno avrebbe dovuto pronunciarsi sulla sussistenza, e conseguente repressione, della condotta antisindacale della Rai denunciata da Assostampa Sicilia, prende atto con un certo stupore che questa si presenta, come un camaleonte, nelle vesti della parte avversaria. E ciò non perché abbia raggiunto un accordo a tutela del suo diritto, ma semplicemente per avervi misteriosamente rinunciato: una diserzione, un tradimento, un atto prostitutivo della funzione in cambio evidentemente – si può solo presumere – di una prestazione degna dello scambio, e con l’ulteriore beffa, inflitta al sindacato e agli iscritti, per il costo economico dell’operazione.

Gli ‘iscritti per bene’ hanno diritto di pretendere che il costo della diserzione prostitutiva sia a carico dei dirigenti responsabili e non delle casse del sindacato

Io avevo assunto l’impegno a farmene carico, ovviamente perché l’azione venisse avviata e portata a conclusione. Non certo perché venisse arrestata in omaggio e per gli interessi della controparte. E però il lavoro dello studio legale Iacovino – complesso anche per l’imponente documentazione e ricostruzione dei fatti e per la corposa ricerca giurisprudenziale – era compiuto, le spese maturate, comprese quelle vive della missione da Roma a Catania per l’udienza dell’11 giugno dell’avv. Rubino cui Ginex ‘dimentica’ di revocare il mandato, e tante altre.

Io credo che ciascun iscritto, a partire da me, possa e debba chiedere conto di tali spese sostenute, o che da Assostampa Sicilia dovranno necessariamente essere sostenute, per avere voluto cancellare l’azione promossa, ad un passo dal più che probabile successo. E sarebbe stato il successo del sindacato dei giornalisti, delle sue ragioni e finalità statutarie, dei valori e degli interessi che esso ha il dovere di tutelare e per i quali ha ragione d’esistere.

Insomma Assostampa Sicilia era sul punto di vincere, senza alcun costo economico, una causa importante e di grande valenza per i principii su cui si fonda la sua funzione.

Il suo gruppo dirigente (unito solo su questa posta in palio, mentre due bande al suo interno si fanno la guerra su tutto) decide però di rinunciare alla gratuità di quella partita prossima al traguardo al solo fine di interromperla per non ‘rischiare’ di vincerla, con ciò accollandosi l’esosa assistenza legale che, se si fosse giunti alla conclusione, in ogni caso, sarebbe stata a mio carico.

I giornalisti ‘per bene’ iscritti al sindacato, oltre a stigmatizzare questo pactum sceleris con la controparte e a revocare, con marchio di indegnità e disonore, ogni forma di consenso ai dirigenti che lo hanno stretto ed eseguito, credo che possano e debbano pretendere che – non le casse dell’associazione ma – le singole persone responsabili siano chiamare a sostenere (o a rifondere per equivalente)  il costo dell’abbandono del campo inflitto all’associazione per regalare la vittoria all’avversario. E ovviamente ci sono ben altri ‘costi’, non economici ma infinitamente più gravi.

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