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Gherardo Colombo e la Rai dei peggiori: se anche un ‘campione etico’, messo alla prova dei fatti … si perde

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Prima di raccontare i fatti che seguono, e di esprimere su di essi le considerazioni del caso, una premessa.

Ho grande stima di Gherardo Colombo, per 33 anni magistrato, da 15, ormai, ‘ex’ dopo le dimissioni a febbraio 2007, clamorose perché rarissime e, nel nostro caso, uniche per quanto concerne i motivi della decisione.

Colombo, allora sessantenne, giudice della Corte di Cassazione, lasciò l’ordine giudiziario non per assumere un incarico più lucroso o per una carriera politica, bensì per dedicarsi anima e corpo all’educazione alla legalità, spinto e travagliato da una riflessione interiore sull’inadeguatezza del sistema penale: non quello vigente – allora come ora – ma il sistema penale tout court.

Da quindici anni l’area del suo impegno è vastissima, totalmente segnata da un preciso intendimento: fare ciò che, ben prima dell’intervento della magistratura penale, possa essere utile a prevenire i fattori, ovvero la commissione di reati, che lo rendono necessario: un inno alla dignità della persona umana.

Presidente della casa editrice Garzanti dal 2009, Colombo promuove nelle scuole l’educazione alla legalità, la conoscenza della Costituzione, il volontariato nelle carceri, la formazione degli insegnanti ed è impegnato su decine di fronti in un’imponente missione essenzialmente etica votata alla formazione, soprattutto nei bambini e nei giovani, di una coscienza libera, responsabile, autenticamente democratica. Impossibile indicare tutti gli incarichi ricoperti da Colombo, le attività svolte, i progetti realizzati, l’impegno continuo in varie organizzazioni, alcune appositamente fondate a questo scopo, sempre all’insegna di questi valori e della testimonianza dei precetti costituzionali, soprattutto quelli già indicati e quelli relativi alla giustizia sociale, alla solidarietà, al rispetto della dignità umana sempre e comunque.

Da quindici anni Gherardo Colombo è, a tempo pieno, votato a questa missione etica. Nei precedenti 33 era stato un magistrato: un ottimo magistrato come attesta, solo per fare un esempio, la scoperta della loggia massonica segreta P2 e dei suoi 963 iscritti nel 1981 quando, giudice istruttore, indagava sul delitto Ambrosoli e sul falso rapimento Sindona; per non dire del suo impegno, dal ’92 al ’05, per 13 anni, in prima linea nel pool Mani pulite.

Scrivo oggi questo articolo dopo avere, in questi giorni, visto e sentito Colombo più volte, intervistato sui trent’anni della storica inchiesta milanese, esperienza da cui sembra avere preso le distanze per una grave crisi di coscienza che lo ha portato a non credere affatto nel sistema penale (“un sistema che con la minaccia della pena mira ad acquisire l’obbedienza, il che non è democratico”) e a lasciare, già molto tempo fa, la magistratura.

Ho conosciuto personalmente e incontrato Colombo, in un convegno sull’educazione alla legalità nelle scuole in cui era stato chiesto insieme al suo il mio intervento, nella primissima fase di questo suo nuovo impegno da ex magistrato.

Diverso tempo dopo, nel 2012, quel ‘campione etico’ di limpida riconoscibilità ebbe la ventura di amministrare la Rai, l’azienda finanziata dai cittadini-contribuenti e occupata dai partiti non già per presidiarne gli indirizzi di Servizio pubblico nell’interesse degli utenti – ovvero la comunità tutta – ma per ricavarne posti, prebende, spazi asserviti ai loro interessi particolari.

Nel 2012, da tre anni alla guida del Pd c’è Pierluigi Bersani il quale da tempo, durante il governo-Berlusconi in carica da maggio 2008 a novembre 2011, poneva inutilmente il tema della necessità di una riforma della governance. Bersani assume la guida del Pd a novembre 2009 ma a febbraio dello stesso anno è stato rinnovato il Cda Rai (Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten per il Pd). Alla nuova scadenza, a giugno 2012, quando da sette mesi è in carica il governo-Monti, Bersani decide – fatto senza precedenti – di chiedere ad una rete di associazioni della società civile il nome delle due personalità che dovranno sedere, su indicazione del partito, nel consiglio d’amministrazione. I prescelti dalle associazioni sono Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi, i quali si insediano a luglio 2012, come gli altri cinque designati dai vari partiti e fatti votare dalla Commissione di vigilanza, e come i due nominati dal ministro dell’economia, lo stesso Mario Monti che fino all’11 luglio 2012 è anche titolare del Mef. Nuovo direttore generale della Rai è Luigi Gubitosi, nominato dal Cda e investito, rispetto ai predecessori, di poteri più ampi che ne fanno un capo azienda.

In quel momento, da oltre due anni mi batto in Rai, nella mia redazione e non solo, per la qualità del prodotto informativo, per la sua integrità e intangibilità rispetto a interessi e commistioni private che non di rado lo attraversano, lo infiltrano, lo occupano: fenomeno che il capo redattore di Tgr-Sicilia, Vincenzo Morgante, impone a colpi di intimidazioni, vessazioni, minacce ai giornalisti dotati di limpida coscienza professionale, discriminati rispetto a quelli ubbidienti i quali al contrario sono premiati e gratificati. Atti – gli uni di inquinamento del prodotto, gli altri strumento di imposizione, corruttiva o intimidatoria, dei primi – che infliggono all’azienda anche uno spreco gigantesco di risorse economiche e umane, oltre a degradare la funzione del Servizio pubblico.

In questo vortice, e in lotta da oltre due anni contro questo sistema, non mi sembra vero che nel Cda Rai possa sedere una figura come Colombo. Già poco dopo il suo insediamento, gli parlo nel suo ufficio al settimo piano di viale Mazzini alla presenza di Tobagi, espongo il problema, fornisco la documentazione a supporto, faccio presente che non sto andando a perorare una situazione individuale – sia pure, tale sarebbe stata, di legittima difesa contro gli atti persecutori e ritorsivi da tempo in atto contro di me ed altri giornalisti dalla schiena dritta – ma pongo all’attenzione unicamente il dato generale dell’assoggettamento del Servizio pubblico a interessi privati e degli enormi costi, ulteriori, imposti all’azienda nelle modalità distorsive di gestione discriminatoria della redazione, necessarie per imporre quel sistema.

Colombo e Tobagi si mostrano attenti e si dicono interessati. Mando loro la documentazione necessaria, li aggiorno via via sugli sviluppi, ma non succede niente; mentre, dall’altra parte, quel caporedattore, ora molto più aggressivo e potente perché spalleggiato totalmente da Gubitosi (che gli è molto grato per averlo messo in contatto confidenziale con il neo procuratore di Roma Vincenzo Pignatone, ma questa è un’altra storia, una ‘storiaccia’ enorme che merita specifici approfondimenti) preme sull’acceleratore della macchina ritorsiva. E infatti a giugno 2013 io vengo licenziato.

Ma qui non è questo ciò che conta, bensì il passo successivo.

Pochi mesi dopo, a ottobre 2013, Morgante viene nominato direttore della Tgr: una scelta sconsiderata, immotivata, illogica e quasi comica alla luce dei requisiti propri del profilo richiesto, nonchè del livello culturale e dell’esperienza professionale concreta di quel candidato, prima del quale centinaia di altri giornalisti già in forza alla stessa testata, la Tgr, e molti altri anche di altre testate Rai, hanno caratteristiche molto più degne e appropriate.

La cosa, per me incredibile, è che quella scelta abbia il voto favorevole anche di Tobagi e Colombo peraltro regolarmente contrari agli atti e alle proposte di Gubitosi e della maggioranza del Cda.

Come ciò sia potuto accadere non so, anche perché stento ancora a crederlo.

Morgante ovviamente si fregia anche pubblicamente del voto di Gherardo Colombo rivendicandolo come una medaglia. Rivendicazione che ribadisce anche in un’aula di tribunale, a settembre 2016, come parte civile nel processo per calunnia nei miei confronti: processo originato dalla sua querela e basato sulla presunta falsità delle mie segnalazioni a difesa del Servizio pubblico; processo poi conclusosi con la mia assoluzione definitiva, perché avevo detto la verità.

Ero presente, a quella come a tutte le altre udienze, ben 26, di quel processo e rimasi profondamente colpito in quanto Morgante in quell’esame dibattimentale non si limitò a quella rivendicazione ma andò oltre, informando il tribunale che io avevo sottoposto quelle stesse segnalazioni (per la cui ipotizzata falsità ero imputato) a Colombo il quale, evidentemente, le aveva ritenute non veritiere (e calunniose, nel tendenzioso ‘non detto’ di Morgante), visto che da amministratore Rai non aveva assunto alcuna iniziativa e, trovatosi ad esprimere il suo voto sulla proposta di Gubitosi di promuovere, con doppio salto, il caporedattore Morgante, uno dei 22 nelle sedi regionali della Tgr, a direttore (unico) della Tgr, unì il suo sì a quello della maggioranza del Cda che tutti i giorni contrastava e dalla quale si teneva ben distinto, insieme a Tobagi, votando ‘contro’, o astenendosi’, su ogni proposta di Gubitosi.

Per Morgante Colombo quindi fa un’eccezione. Con mio stupore allora, era ottobre 2013. Con mio sconcerto tre anni dopo quando, a settembre 2016, Morgante, nel processo in cui ero imputato, non si limita ad ostentare quel voto e a farne velo delle sue malefatte ma racconta che Colombo gli rivelò di avere parlato con me, di avere da me ricevuto le segnalazioni e i documenti sugli atti di Morgante, sulle sue condotte e sulla gestione di Tgr-Sicilia e di averle ritenute false, o non credibili: parola di Gherardo Colombo!

Sto raccontando tutto ciò (chi legge tenga presente la premessa, perché quelle mie parole di stima sono tuttora sentite) solo perché vorrei riflettere  e tentare di capire – non da solo, ma con chiunque abbia, come me, voglia di farlo – come sia potuto accadere che una persona come Gherardo Colombo, che a luglio 2012 viene informato e documentato su fatti e situazioni incontestabili che colpiscono al cuore un bene pubblico come la Rai che egli amministra – interpellandone perciò la sua limpida coscienza etica e morale, prima ancora che i poteri e doveri di servizio – non abbia fatto nulla, al pari di un Gubitosi, o dei maneggioni e faccendieri che occupavano poltrone nel Cda o altri posti di comando.

Non solo non abbia fatto nulla. Ma abbia – con la sua scelta di riferire a Morgante delle mie segnalazioni, cosa che solo lui poteva fare – fornito allo stesso un’arma nuova e ben più potente, stante la credibilità di Colombo, a protezione delle sue tresche e dei suoi affari nella prostituzione del Servizio pubblico pagato dai cittadini-contribuenti.

Le altre armi utilizzate da Morgante – alle quali Colombo con quella rivelazione ne aggiunge una di grande pregio, il proprio nome e la propria limpida reputazione – erano quelle con cui l’allora direttore Tgr scalava tutte le posizioni di potere e di carriera, nell’unico campo del suo impegno: il traffico di influenze e di interessi di ogni tipo, purché utili allo scopo. Tali armi sono la contiguità, fino all’asservimento dell’informazione del Servizio pubblico, con politici come Salvatore Cuffaro, Renato Schifani, Giuseppe Lumia solo per citarne alcuni, e con personaggi come Antonio Calogero Montante.

Certo, Gherardo Colombo a ottobre 2013 non sapeva che la proposta di Gubitosi di nominare Morgante direttore della Tgr andasse a coronare un disegno che un anno e mezzo prima lo stesso Morgante aveva affidato proprio a Montante, l’impostore fattosi icona antimafia il quale a dire il vero, il 4 aprile 2012, da Morgante aveva ricevuto la supplica ad essere promosso da caporedattore a vice direttore della Tgr (neanche lui osava ‘sognarsi’ direttore) ma, pronto a spendersi per l’amico, gli aveva nella sostanza obiettato: “perchè solo vicedirettore”? Perché devo lasciare che, quando mi servirà qualcosa che non potrai fare tu in quanto vice, mi debba preoccupare anche di un direttore che metterà qualcun altro? Insomma Montante, del quale ben sappiamo che prova abbia dato delle sue capacità, sa che Morgante è totalmente a sua disposizione e quindi gli è più utile come direttore che come uno dei tanti ‘vice’.

E’ con Montante che l’ambizione di Morgante cresce e si concretizza. La svolta è l’avvento di Gubitosi il quale, grato a Morgante per i rapporti che gli fa allacciare con l’allora procuratore di Roma Giuseppe Pignatone (magistrato in pensione per lo Stato italiano, ma da ottobre 2019 presidente del Tribunale dello Stato Città del Vaticano, mentre Morgante da ottobre 2018 dirige la tv dei vescovi italiani) lo vuole a capo della Tgr. E glielo porta con il voto unanime del Cda, compresi Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo che da un anno e tre mesi hanno ogni possibilità di sapere chi sia Morgante.

Il loro mandato in Rai scade a luglio 2015 e non viene rinnovato. Alla guida del Pd nel frattempo c’è Matteo Renzi il quale punta su Franco Siddi, Rita Borioni e Guelfo Guelfi, mentre il Governo (guidato dallo stesso Renzi) sceglie come capo azienda Antonio Campo Dall’Orto.

Colombo esce dal Cda Rai a luglio 2015 dopo un’esperienza che non lascia alcun segno.  In quel momento pensavo, già con amarezza, che la mancanza di un’impronta (per esempio non avere dato alcuna considerazione alle mie denunce) fosse la cosa più grave di cui dolermi. Non mi aspettavo, prima di scoprirlo a settembre 2016, che avesse fornito a Morgante l’arma cui ho accennato, mentre il direttore della Tgr continuava a condividere i suoi interessi con Montante, nel frattempo plurimputato e accusato di mafia, e  lo frequentava tranquillamente anche quando erano note a tutti l’inchiesta dell’autorità giudiziaria e le accuse nei suoi confronti per concorso in associazione mafiosa fin dal 1990.

E’ grazie a tale inchiesta, alla pretesa di Montante di sventarla minacciando i magistrati e schierando uno stuolo di infedeli servitori dello Stato a sua disposizione, grazie quindi alle successive indagini, all’arresto e al sequestro del suo armadio segreto che abbiamo saputo della mail inviata da Morgante il 4 aprile 2012 a Montante affinchè, con le sue armi tipiche (perché altrimenti? Che c’entrava Montante con la Rai?) lo facesse salire dal posto di caporedattore in cui lo aveva piazzato Cuffaro fino al vertice della più grande testata giornalistica d’Europa: grande solo per numero di giornalisti, pagati con i soldi dei cittadini contribuenti.

Con quel voto unanime del Cda Rai, a ottobre 2013, si compie quel disegno.

Io già allora non compresi affatto come a quei voti si siano potuti unire quelli di Tobagi e Colombo. Ma soprattutto, per quanto mi riguarda, quello di Colombo.

Ho già detto del successivo mio, più grande, stupore per la dichiarazione di Morgante nel processo a settembre 2016.

Poi qualche volta accade che la realtà si incarichi, anche con molto ritardo, di fornire risposte o elementi per cercarle. E così, dopo l’arresto di Montante il 13 maggio 2018, la pubblicazione di alcuni contenuti del suo archivio segreto ci ha consentito di conoscere le sue frequentazioni, i diari in cui annotava con precisione maniacale ogni appuntamento, pranzo, cena, incontro, colloquio o telefonata, con tutte le richieste di favore che riceveva e, se del caso – molto spesso – esaudiva.

I pranzi, le cene, le richieste di raccomandazione, gli scambi con Montante anche quando è noto che sia indagato per associazione mafiosa fanno luce sul vero volto di Morgante il quale, a settembre 2018, lascia la Rai per andare a dirigere Tv2000. Successivamente, per l’affaire Montante, viene sottoposto a procedimento disciplinare da parte dell’Ordine dei giornalisti.

Ancora oggi non riesco a comprendere perché a luglio 2012 io non sia riuscito, con la documentazione di quanto denunciato, ad ottenere considerazione – non per me, ma nell’esclusivo interesse del Servizio pubblico – da un amministratore Rai come Gherardo Colombo, né come egli, un anno e tre mesi dopo, abbia potuto unirsi al resto di quel Cda Rai e plaudire alla proposta di Gubitosi.

Ancora meno, ovviamente, capisco come l’ex magistrato abbia potuto rivelare a Morgante i tentativi da me esperiti per metterlo in guardia sull’operato di quel dirigente Rai pupillo di Montante, dentro la Rai che Gherardo Colombo – proprio in quanto Gherardo Colombo e non uomo di questo o quel partito – era chiamato ad amministrare.

Sia chiaro, non mi dolgo affatto per me di tale rivelazione: non c’è atto o fatto che io abbia interesse a nascondere. Il mio interesse e i miei intenti si muovono sempre in direzione opposta.

La rivelazione racconta però qualcos’altro: o una posizione netta assunta da Colombo sulle mie segnalazioni e sulla documentazione da me fornita, quindi oggetto di attenta valutazione e non superficialmente trascurata; o la scelta di ostentare e motivare in qualche modo a Morgante il suo voto favorevole pur in presenza, e nonostante quelle mie segnalazioni.

Non so quali di questi due elementi si avvicini maggiormente alla verità, né se ve ne siano altri. Ma è certo che Morgante ne dà la sua interpretazione e corre in Tribunale, a puntare quella ‘moneta d’oro’ sul tavolo del processo per calunnia intentato contro di me.

Io, da quel processo, dopo dieci anni, sono uscito definitivamente, con sentenza irrevocabile di assoluzione perchè il fatto non costituisce reato: avevo detto la verità. L’avevo scritta dovunque. Anche … sui muri.

Nessuno evidentemente era interessato.

Ma, tra tutti, la mia sorpresa è solo per Colombo: il perchè è nella premessa.