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Ecco il drammatico racconto della religiosa ai pubblici ministeri di Roma nel procedimento a carico di Giovanni Salonia per violenza sessuale aggravata. Risultati delle indagini alla mano, la Procura chiede il rinvio a giudizio del sacerdote cappuccino ma il processo è arrestato dal Tribunale per querela tardiva. E’ questo il nodo corposo del fitto intreccio: nella ‘scatola nera’ c’è il movente della rappresaglia ritorsiva dopo la testimonianza non gradita al potente frate. Perciò Nello Dell’Agli è condannato in sede canonica e la sua fraternità di Nazareth soppressa. Nel dettaglio tutti i passaggi, le date, le sequenze della macchinazione ordita con l’ok dei piani alti del Vaticano

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Riprendiamo la ricostruzione dei fatti nel punto in cui l’abbiamo lasciata nell’articolo precedente, il quarto.

Abbiamo visto i numerosi punti di contatto, oltre che di comune appartenenza alla famiglia dei frati francescani minori sia pure in un diverso ordine, di Giovanni Salonia – sacerdote, cappuccino e ‘vescovo mancato’ per via della rinuncia all’ordinazione episcopale, dopo la nomina –  con Josè Rodriguez Carballo, amico di papa Francesco che nel 2013 lo vuole fortemente (è la sua prima nomina) a capo della congregazione per gli istituti di vita consacrata dove a lungo lo mantiene nonostante i tanti scandali che lo investono e, alla fine, solo di recente, con provvedimento del 14 settembre scorso esecutivo dal primo novembre, lo silura.

In precedenza è emerso come big sponsor nel 2017 della nomina episcopale di Salonia sia l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice ma ciò non esclude che una figura come quella del potente frate galiziano possa perorarne la causa, prima e dopo l’infausta elezione vescovile rimasta incompiuta. Certo è che Salonia per lungo tempo sia docente incaricato nella pontificia università Antonianum di cui Carballo, durante l’intero periodo di carica al vertice dell’ordine religioso, è Gran cancelliere.

Le impronte di Carballo appaiono, in qualche caso anche documentate, nella lunga serie di abusi, soprusi, violazioni, stranezze inspiegabili passate in rassegna. Qui bisogna avere presenti, pur distinti, l’ambito giudiziario e quello amministrativo.

In entrambi le incursioni del vescovo spagnolo sono evidenti perché è lui che fin dall’inizio prende in mano il dossier d’accusa contro la fraternità di Nazareth di Ragusa quando questa, all’improvviso, diventa una realtà pericolosa, da colpire e da cancellare, con punizione esemplare del suo responsabile. Il che, come i fatti dimostrano, è solo una macchinazione calunniosa e ritorsiva: proprio ciò di cui, falsamente, i suoi promotori, al contrario, incolpano vittime innocenti. Come Nello Dell’Agli, teologo, psicoterapeuta e sacerdote dimesso dallo stato clericale in quanto punito con la pena massima prevista dal codice di diritto canonico, a conclusione del processo imbastito da un tribunale ad hoc e sfociato in una sentenza che l’intervento di Carballo sull’amico Papa rende inappellabile. Nell’ambito della stessa partita di potere e della prova muscolare condotta da Carballo, con i suoi uomini fidati e l’azione congiunta dei sostenitori di Salonia, la fraternità di Nazareth di Ragusa fondata da Dell’Agli viene soppressa.

La spedizione punitiva in tre atti contro Dell’Agli colpevole di verità:  processo

con tribunale ad hoc, condanna e commissariamento della fraternità di Nazareth

Nel primo ambito è di Carballo la pressione finalizzata all’apposizione della firma del Papa che impedisce ogni riesame della sentenza, falsa e assurda, comminata dal tribunale ad hoc nei confronti di Dell’Agli ‘colpevole’ di testimoniare sul conto dell’influente cappuccino di Ragusa, sommerso da accuse infamanti dopo l’improvvida nomina episcopale come ausiliare dell’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice il quale lo propone e, anche dopo lo scandalo che l’avvolge, lo vorrebbe a tutti i costi con sè.

In questo stesso ambito si deve sempre al potente frate spagnolo, alla sua spinta e alla sua azione esperita su più piani, l’imposizione del tribunale ad hoc, in luogo di quello ordinario correntemente costituito. Tale imposizione si concretizza nel periodo in cui è assente di fatto il vescovo di Ragusa Carmelo Cuttitta, ammalato e impossibilitato ad esercitare la sua funzione la quale transita nelle mani del vicario generale Roberto Asta, poi anche amministratore apostolico. E’ in questa fase che il tribunale ad hoc viene di fatto imposto al vescovo di Ragusa il quale, nel pieno esercizio – lineare, trasparente e secondo giustizia – delle proprie prerogative potrebbe e dovrebbe decidere diversamente. Su questo punto torneremo anche in riferimento alle lobbies e al peso da esse esercitato in fatto di selezione di candidati a qualsivoglia posizione curiale e di nomine da parte del Pontefice.

Peraltro la sentenza canonica che condanna Dell’Agli è talmente squilibrata, illogica e incredibile da impedire d’immaginarne una analoga ad opera di altro giudice. Ecco  perché chi la vuole ha bisogno di blindarla con il catenaccio dell’inappellabilità, possibile solo con atto d’imperio del Papa che il suo amico vescovo José non fatica ad ottenere.

Quindi un tribunale ad hoc per fare condannare un innocente e, raggiunto lo scopo, un veto di riesame perché altrimenti, in un secondo grado di giudizio, il falso di una sentenza, che è tutta una fantasiosa menzogna, per mano di un altro giudice verrebbe a galla. Un doppio blitz portato a termine dal vescovo spagnolo.

Nell’ambito amministrativo la clava impugnata è quella del commissariamento della fraternità di Nazareth, l’associazione privata di fedeli fondata a Ragusa nel 2008 da Nello Dell’Agli non ancora sacerdote (sarà ordinato nel 2011) e riconosciuta dal vescovo Paolo Urso. Abbiamo visto le contestazioni subìte dalla fraternità nel tempo: in proposito è sufficiente e utile rilevare che esse si dispiegano in tre fasi.

Una prima, proprio nel 2011, parte da doglianze di persone che lasciano la comunità e si chiude con un esito di verifica dell’infondatezza delle segnalazioni e della regolarità della vita della Nazareth, anche grazie a testimonianze tutte convergenti tra le quali quella di Giovanni Salonia, collega di Dell’Agli in quanto psicoterapeuta. Peraltro sarà il frate cappuccino a presentarlo per l’ordinazione sacerdotale.

Una seconda fase scatta nel 2014 dopo che Dell’Agli rompe, sul fronte del proprio impegno professionale, con l’istituto di psicoterapia Kairòs di Salonia perché non accetta e non è disposto ad assecondare promiscuità e cointeressenze tra la fraternità e gli affari di lavoro, con annesse implicazioni personali nei due diversi contesti tali da renderne ombrosa e incerta la linea di distinzione.

Una terza fase, decisiva e prorompente fino a quella Caporetto della verità e della giustizia nella quale ci siamo imbattuti, sussegue e consegue alle testimonianze, in sede canonica e dinanzi alla procura di Roma, rese da Dell’Agli sul conto di Salonia.

La missione di Carballo e le azioni sul campo del suo inviato Farì: rapporti,

scambi e quel riguardo dell’arcivescovo Lorefice verso il parroco di Napoli

Tornando al potente Carballo e all’ambito amministrativo della sua azione, un primo dato risalta in tutta evidenza: essa, oltre a tutto quanto già rilevato nel merito, è illegittima perché la congregazione, oggi dicastero, per gli istituti di vita consacrata da lui guidata non è legittimata ad agire rispetto ad un’associazione privata di fedeli – realtà di primo livello, non istituto – riconosciuta dalla diocesi che è quindi l’istituzione competente, come del resto avviene nel 2015 quando il vescovo Paolo Urso è l’autorità investita del precedente procedimento che definisce con propri provvedimenti. Ma siccome Carballo è a capo della congregazione suddetta ed è lui che può portare a termine la ‘missione’, ecco una lampante violazione compiuta, reiterata e – ai livelli più alti del governo vaticano – tollerata fino alle conseguenze estreme.

Allo stesso modo chiedere, se del caso, il processo nei confronti del responsabile della fraternità di Nazareth spetterebbe alla congregazione per il clero perché l’accusato è un appartenente al clero, non quindi a Carballo o all’area di competenza di cui è a capo.

Peraltro tale decisione, con applicazione del tribunale ad hoc, avviene in totale assenza di ogni accusa nuova rispetto a quelle formulate nel 2015 e pienamente definite con i provvedimenti del vescovo Paolo Urso, a capo della diocesi di Ragusa dal 12 aprile 2002 al 7 ottobre 2015. Provvedimenti comunicati il 27 giugno 2015 alla congregazione per gli istituti di vita consacrata. E’ una semplice comunicazione di decisioni prese in autonomia ma sulla base di mandato ricevuto, sempre con eccesso di poteri, dalla congregazione di Carballo che però nel primo caso, 2015, sceglie una modalità soft di tale eccesso esorbitante, chiedendo e raccomandando al vescovo di procedere. Quando, quattro anni dopo, gli servono ben altri provvedimenti, scavalca la diocesi – o la costringe ad una supina acquiescenza – e si affida solo ai suoi uomini, in una linea di totale copertura e di fervido sostegno da parte del primate di Sicilia, l’arcivescovo di Palermo Lorefice.

In totale assenza di accuse nuove viene altresì disposto il commissariamento, appunto per volere di Carballo, il 15 aprile 2019 quando imperversa la terza fase, più violenta della seconda e a questa accomunata dall’identico movente ritorsivo evidentemente più forte del precedente, mentre la prima, nel 2011, nasce in modo naturale e senza retroscena o manovre occulte.

Carballo dunque commissaria la fraternità di Nazareth e spedisce a Ragusa il fido Salvatore Farì, pugliese di Maglie, religioso dell’ordine dei frati vincenziani, oggi quarantaseienne, sacerdote dal 2003, parroco della chiesa di San Gioacchino a Napoli, superiore della casa della missione dei vergini e vicario episcopale per la vita consacrata dell’arcidiocesi partenopea.  In Puglia e Campania è noto come missionario vincenziano in carriera per via del suo attivismo e della salda integrazione in certe cordate ben piazzate nei palazzi curiali. Al suo attivo varie pubblicazioni, alcune con prefazione di Carballo spesso fisicamente al suo fianco in presentazioni promozionali e incontri pubblici. Domenica 29 ottobre 2023, nella sua parrocchia a Napoli è l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice a celebrare una messa nel trentesimo anniversario del martirio di don Pino Puglisi. Presenza sicuramente apprezzabile da parte dei fedeli, dato il legame del beato con la chiesa palermitana (l’intera sua vita si svolge nella trincea delle periferie mafiose del capoluogo siciliano) ma certo poche altre parrocchie o forse nessun’altra, tra le venticinquemila sparse in Italia, possono fregiarsi dell’intervento del capo dell’arcidiocesi di Palermo per celebrare la memoria del parroco di Brancaccio. Privilegio concesso a Farì forse anche in nome dei buoni comuni rapporti con Carballo e degli scambi rispettivi.

Ritorsione uno e ritorsione due: la prima un avvertimento, la seconda una rappresaglia subito dopo la testimonianza di Dell’Agli in Procura a Roma

Dunque, per riprendere il filo dei fatti che dobbiamo tenere ben presenti, nel 2014 Dell’Agli, sacerdote e psicoterapeuta, interrompe i rapporti di collaborazione con l’istituto Kairòs del frate e collega psicoterapeuta Giovanni Salonia, istituto che offre i propri servizi all’insegna del metodo Gestalt basato sul contatto fisico, oltre che sulla parola.

Dell’Agli compie questa scelta per difendere la fraternità di Nazareth, da lui fondata quattro anni prima a Ragusa, dalle insidie di una commistione che non approva. Salonia non la prende bene e non ne fa mistero: immediato, a fine 2014, scatta l’intervento punitivo. Lo dispone Carballo, senza titolo né competenze (ed in effetti in questo primo caso si ‘limita’ a chiedere al vescovo perchè proceda) e la fraternità di Nazareth viene passata ai raggi x. Il vescovo Urso che la conosce e nel 2008 ne ha approvato la regola, anche per difenderla da vendette che egli scorge nitidamente come ammetterà in qualità di teste, dispone le misure che reputa giuste e opportune. Il movente ritorsivo è chiaro, ma l’effetto finale, poiché rimesso nelle mani di un giudice naturale che agisce secondo coscienza, il vescovo di Ragusa Urso, si rivela contenuto (abbiamo visto le misure adottate) e tutto finisce lì. O almeno così dovrebbe essere.

E invece ad agosto 2018 matura una sete di vendetta ben più forte e feroce. A provocarla le due testimonianze rese da Dell’Agli: la prima a marzo 2017 quando è interpellato dalle autorità vaticane in sede canonica sul conto di Salonia nominato vescovo ma costretto alla rinuncia per lo scandalo sopravvenuto in relazione a suoi precedenti scabrosi; la seconda a luglio 2018 quando come persona informata dei fatti viene convocato dalla procura di Roma nell’ambito delle indagini sul cappuccino accusato di violenza sessuale aggravata ai danni di una suora.

Questo piano ritorsivo, affidato al solito Carballo e sostenuto dagli aderenti alla sua cordata (vedremo poi la natura degli interessi che la cementano e l’alimentano) viene eseguito a partire da una denuncia del 18 agosto 2018 senza neanche lo sforzo d’ingegno nel fabbricare nuove – anche false – accuse. E così è documentale che, senza alcun elemento ulteriore né contestazione di qualsivoglia natura, la situazione già definita con le misure decise nel 2015, all’improvviso, in un certo preciso momento, riprenda nuova vita e produca determinazioni aberranti aventi un solo elemento di contatto con la realtà dei fatti: una ‘lezione’, ben più severa della prima che si era ridotta ad un avvertimento, da impartire al testimone che osa sottrarsi alla linea di sostegno del falso secondo le regole d’ingaggio della commissione-Gisana  e, addirittura, rispondere – raccontando i fatti di propria conoscenza – alle domande dei pubblici ministeri i quali vogliono verificare la fondatezza delle accuse della suora al potente frate cappuccino.

La finzione di un governo ordinario della fraternità di Nazareth, ma la chiusura

è già decisa in partenza. Quella nomina di Farì in conflitto d’interessi

Vedremo le date: il via alla ritorsione pesante e definitiva scatta il 18 agosto 2018, un mese dopo la testimonianza resa, il 17 luglio 2018, da Dell’Agli alla procura di Roma.

E’ così che il 15 aprile 2019 la spedizione punitiva produce il commissariamento della fraternità di Nazareth, ad opera di Carballo che, come abbiamo visto, non ha titoli nè competenze per occuparsene, tanto meno il potere di disporlo. Il suo inviato sul posto, con i gradi di commissario pontificio e visitatore apostolico, è Farì il quale a Ragusa fa solo brevi e fugaci apparizioni: non sembra tanto interessato a verificare le cose e governare la comunità quanto a portare a termine, con occhi bendati e orecchie tappate, il mandato ricevuto: chiuderla e mettere sotto processo il suo fondatore. Nell’esercizio dell’incarico il 4 ottobre 2019 nomina come propria socia Lidia Curcio, biologa e psicologa della comunicazione, perché con lui <<collabori nel governo ordinario dell’associazione privata di fedeli fraternità di Nazareth>>. Di ordinario quell’esperienza non ha nulla perché i soli atti compiuti, e di conseguenza il loro scopo, sono solo quelli che servono a sopprimere l’associazione. E infatti, al pari di Farì, anche Curcio a Ragusa si vede appena ogni tanto.

Non c’è bisogno del suo impegno: basta Farì a cui basta Carballo a cui, a sua volta, basta l’input ricevuto. Con buona pace di chi creda nella Chiesa, nel suo amore di verità, nel suo senso di giustizia, nella bontà e nella fratellanza, nell’inclinazione al bene e nel rifiuto del male.

Per la cronaca, quando Curcio viene nominata socia del commissario della fraternità di Nazareth, è membro di una comunità della quale il missionario Farì (quante missioni da compiere!) è commissario con funzione ispettiva: la ‘famiglia ecclesiale Chiesa-mondo di Catania’, realtà nata come istituto nel 1968 sull’onda del Concilio Vaticano II, la quale nel tempo cambia natura, subisce controlli e viene commissariata. Nel 2001, arcivescovo Luigi Bommarito, è riconosciuta, con la denominazione attuale, come <<nuova forma di vita consacrata>> ma in seguito finisce nel mirino ed è oggetto di ispezioni con le relative ‘cure di discernimento’. Il 13 novembre del 2020, come si legge nel sito ufficiale, <<l’arcivescovo Salvatore Gristina, su indicazione della congregazione per gli istituti di vita consacrata, approva il testo riveduto delle costituzioni>>.

A capo della congregazione c’è Carballo che a Catania ha le antenne – ed anche occhi, braccia e quant’altro serva – del fido inviato Farì. Infatti il 27 agosto 2022 il nuovo arcivescovo di Catania Luigi Renna <<a conclusione dell’assemblea della famiglia ecclesiale, presieduta dal commissario arcivescovile padre Salvatore Farì c.m., ha nominato – riporta sempre il sito – nuova responsabile generale della famiglia ecclesiale la dottoressa Lidia Curcio … I membri della famiglia ecclesiale iniziano così una nuova fase della loro missione, dopo il periodo di discernimento degli ultimi anni, in cui sono stati illuminati dallo Spirito e accompagnati dal commissario p. Farì>>.

Due missioni con esiti diversi. Nella ‘famiglia etnea’ Lidia Curcio, nel momento stesso in cui è parte in causa, viene prescelta per affiancare, nella ‘fraternità iblea’, il suo stesso commissario: Farì, commissario dell’una e dell’altra ed ora anche socio di lei, pur parte in una delle due strutture commissariate. Difficile pensare che se la sua ‘famiglia’ a Catania le sta a cuore possa coltivare a Ragusa autonomia d’esame e indipendenza di giudizio.

Niente di nuovo se pensiamo alla vicenda del vescovo dell’Illinois Michael Fors Olson nominato commissario, come abbiamo visto, del monastero la cui priora ha denunciato i suoi abusi e gli ha fatto causa: figura di arbitro-giocatore che tanto piace a Carballo. In questa luce si comprende meglio la singolarità del doppio ruolo di Lidia Curcio, prima parte della ‘famiglia’ sotto commissariamento, quindi socia del commissario e alla fine responsabile generale, carica di vertice, della stessa ‘famiglia’ tornata a nuova e prospera vita dopo la cura Carballo-Farì a lei tanto salutare.

Tra l’allora commissario e la socia nominata nel dossier-Ragusa c’è piena sintonia peraltro: pubblicazioni a quattro mani come ‘Nella bottega di San Giuseppe’, prodotto editoriale distribuito con cinque cortometraggi sulla vita consacrata; inoltre convegni, prefazioni, presentazioni, trasmissioni tv, talvolta anche con l’intervento e la presenza di Carballo a sostegno, in veste di testimonial-promoter.

Intrecci e cordate dell’affaire-Salonia. L’arcivescovo di Catania Renna, la copertura prestata a preti pedofili e le referenze pregresse tra debiti, mafia e scandali sessuali

La nomina di Curcio a responsabile generale della ’Chiesa-mondo’, come abbiamo visto è firmata dall’arcivescovo Luigi Renna. Pugliese come Farì, Renna giunge a Catania a febbraio 2022 con il peso di tutte le ombre del suo primo episcopato nella diocesi di Cerignola-Ascoli-Satriano: rapporti con imprese vicine alla mafia, debiti delle chiese della sua diocesi per centinaia di migliaia di euro verso lo Stato per la tassa sui rifiuti non pagata, scandali sessuali come quello del prete di Candela le cui foto in autoscatto con il pene in bella mostra viaggiano per settimane tra migliaia di telefonini nel territorio della diocesi. E il vescovo sempre al suo fianco, anche nella comune celebrazione di una messa in cui attacca i fedeli colpevoli di chiedere serietà, verità e pulizia.

La destinazione di Renna a capo dell’arcidiocesi di Catania dopo l’era Gristina conferma un doppio segno dei tempi: la forza di certe lobbies, sempre le stesse, nelle dinamiche del potere vaticano e la debolezza, fuori da esse e contro di esse, della chiesa siciliana o di quello che ne resta.

In una piazza importante come quella catanese la scelta di un esterno, di prestigio etico e lignaggio pastorale così poco evidenti da non poterne sanare o giustificare la provenienza extraregionale, ha il sapore di uno schiaffo. Peraltro nell’isola non è facile trovare esempi molto diversi da quelli forniti, per fare un nome, da Rosario Gisana (l’abbiamo visto prodigarsi a tutela dei preti pedofili e contro le vittime nella diocesi di Piazza Armerina) o dallo stesso presidente della conferenza episcopale siciliana Antonio Raspanti, in precedenza vice presidente della Cei per l’Italia meridionale. Come vescovo di Acireale il prelato si segnala, purtroppo in linea con un’ampia maggioranza di colleghi in Italia e in varie parti del mondo, per la prassi d’insabbiare gli abusi sessuali del clero e d’ignorarne le accertate responsabilità in sede penale come nel caso di don Vincenzo Calà Impirotta, sacerdote condannato nel 2014 in primo grado a quattro anni di reclusione (oltre all’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici, perpetua da quelli implicanti relazioni con ambienti frequentati da minori) e, nel 2018, a tre anni nel giudizio d’appello; ma salvato l’anno dopo in Cassazione per la tagliola provvidente della prescrizione la quale scatta per appena nove giorni.

Il processo accerta ben sei episodi di violenza sessuale in danno di un minore ma, fin dalla prima denuncia Raspanti non dispone neanche una temporanea sospensione a divinis. E subito dopo il proscioglimento, intervenuto come abbiamo visto per mera prescrizione, il prete pedofilo è assolto in sede canonica nella quale – sentenziano i giudici del Vaticano – <<non risulta che egli abbia commesso i delitti ascritti>>: formula magica e sempiterna, buona in ‘copia e incolla’ e senza mai motivazione, a chiudere per sempre ogni vicenda di abominevoli abusi più che accertati nelle sedi proprie ma sempre meritevoli della più ampia assoluzione canonica.

Il richiamo a quest’ultimo caso di cronaca ci è utile perchè ci aiuta a rilevare come questa prassi non risparmi neanche figure come Raspanti meritevole d’apprezzamento, su altri piani e in altre circostanze ma sempre in relazione ai valori laici di verità e giustizia che sostengono il filo dei fatti oggetto della presente inchiesta. All’interno di questa prassi d’insabbiamento sempre imperante e dura a morire occorre distinguere, almeno nell’ottica interna della Chiesa (al di fuori non può esservi giustificazione alcuna) e rispetto alle responsabilità personali, tra un prima e un dopo lo spartiacque temporale dell’editto ‘tolleranza zero’ verso i preti pedofili. Spartiacque annunciato da papa Francesco con tre documenti a marzo 2019, dopo un vertice sul fenomeno degli abusi sessuali del clero in danno di minori: <<la lettera apostolica in forma di motu proprio sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili, la legge sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili dello Stato della Città del Vaticano e le Linee guida per la protezione dei minori e delle persone vulnerabili per il Vicariato della Città del Vaticano>>. In concreto la linea giuridica di questo spartiacque è dettata dal Motu proprio papale Vos estis lux mundi del 7 maggio 2019 che fa cadere il segreto pontificio sugli abusi del clero in danno di minori e persone fragili, e dalle istruzioni sulla riservatezza delle cause contenute nel rescritto del 17 dicembre successivo.

Riprendendo il filo dei fatti, Carballo e Farì portano a termine la missione di chiudere la fraternità di Nazareth, incriminare e fare condannare, con tribunale ad hoc e sentenza resa inappellabile, il suo fondatore colpevole di ‘verità’ nelle testimonianze alle quali è chiamato sul conto di Giovanni Salonia.

Abbiamo visto come, dopo tali testimonianze rese da Dell’Agli per motivi di giustizia, la soluzione finale scatti nel 2018, senza alcuna accusa nuova (falsa o vera che in astratto possa essere) rispetto a quelle già vagliate e definite nel 2015 e immediatamente successive al primo fatto scatenante, avvenuto nel 2014, costituito dalla fine della collaborazione di Dell’Agli con l’istituto di psicoterapia Gestalt Kairòs di Salonia.

Nessuna nuova accusa a Dell’Agli ma Carballo questa volta si affida ai suoi uomini: spedizione punitiva e blitz sulla diocesi di Ragusa allora fragile e indifesa

Per avere piena e specifica contezza della mancanza di nuove accuse dobbiamo mettere a confronto le ‘notitiae criminis’ utilizzate nei due procedimenti.

A determinare il primo è un esposto del 2014. Vi fa riferimento la congregazione per gli istituti di vita consacrata che l’11 dicembre dello stesso anno scrive al vescovo di Ragusa Paolo Urso per chiedere di <<promuovere un’accurata e approfondita visita canonica nella fraternità di Nazareth e al sacerdote Nello Dell’Agli>>. La congregazione, retta da Josè Rodriguez Carballo, avanza la richiesta avendo ricevuto «un lungo e dettagliato esposto contenente seri addebiti nei riguardi dell’associazione privata di fedeli denominata Fraternità di Nazareth ed in particolare del suo iniziatore ed attuale responsabile, P. Nello Dell’Agli, sacerdote e psicoterapeuta>>.

La visita apostolica viene eseguita nel mese di aprile 2015. Alla fine il vescovo dispone che il sacerdote Nello Dell’Agli debba <<farsi seguire da mons. Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, e sospendere per un anno la pratica psicoterapeutica, in modo da meglio assimilare la “novità” dell’azione pastorale in quanto presbitero>>. Nei riguardi dell’associazione privata di fedeli le misure adottate sono le seguenti:  <<tutta la fraternità deve farsi seguire da mons. Calogero Peri, accettare nuovi ingressi in fraternità solo dopo essersi consultata con il vescovo e avere avuto il suo permesso (in modo da cautelarsi evitando l’ingresso di persone non adatte), non portare l’abito monastico fuori dalla fraternità>>.

Il 27 giugno 2015 Urso informa il Vaticano dei provvedimenti presi, con lettera che il 1 settembre 2015 la congregazione retta da Carballo conferma di avere ricevuto. Tutto ciò che scaturisce da quell’esposto del 2014 finisce qui. O, almeno, così dovrebbe essere e, certamente, così sarebbe stato se nel 2017 e nel 2018 non fossero intervenute le testimonianze di Dell’Agli, per fatti successivi a quelli oggetto di giudicato: la nomina episcopale di Salonia il 10 febbraio 2017 e la lettera della suora sua ex amante la quale, indignata, avverte il Papa al fine di evitare alla Chiesa una caduta così rovinosa.

Perciò Carballo torna in campo modulando il suo intervento con la forza direttamente proporzionale alla nuova richiesta, del tipo di quelle che il fervido credente Manzoni metterebbe in bocca a Don Rodrigo, a lui pervenuta in seguito alle vicende descritte.

La ‘lezione’ impartita nel 2015 tramite avvertimento non è servita o non è bastata e questa volta occorre rincarare la dose. E così Carballo, in servizio permanente effettivo su certe pratiche, si mette all’opera e il 15 aprile 2019, come abbiamo visto, nomina il fidatissimo Salvatore Farì commissario pontificio della fraternità di Nazareth. Come risulta evidente, questa volta Carballo fa da solo e mette in campo il suo personale esercito. Non si affida al vescovo – nel frattempo, dal 7 ottobre 2015 è Carmelo Cuttitta, succeduto a Urso il quale peraltro già quattro anni prima ha risolto la questione – perché per fare ciò che ha in mente, così come gli è stato chiesto, ha bisogno dei ‘suoi uomini’. Al capo della diocesi semmai risultano imposti veri e propri atti d’arbitrio come il tribunale ad hoc che un vescovo potrebbe certamente respingere ma dovrebbe averne la forza e la volontà. A Cuttitta, nel 2019 già seriamente ammalato (lascerà la carica l’anno dopo), manca certamente la prima. A chi ne fa le veci, il vicario generale Roberto Asta (che dopo l’atto di servizio, nella sopravvenuta vacatio per la rinuncia del vescovo è nominato amministratore apostolico) certamente la seconda e forse entrambe. In ogni caso l’esito è quello già ampiamente illustrato e qui ci interessa accertare in che modo Farì, Carballo e danti causa riescano a prepararlo e determinarlo.

Una denuncia che non ‘denuncia’ nulla, ma basta a scatenare il piano già deciso

Le accuse sono contenute in una lettera inviata il 18 agosto 2018 da tre persone, tutte donne che hanno in comune una singolare caratteristica: avere lasciato la comunità da molto tempo. Una ne ha fatto parte per un breve periodo nel 2003-2004 quando non era associazione privata di fedeli e non aveva una regola approvata (avverrà nel 2008): in pratica ne è uscita quattro anni prima che venisse formalmente eretta, sette anni prima che Dell’Agli fosse ordinato sacerdote e quattordici anni prima di inviare la denuncia. Un’altra se ne è separata nel 2010 dopo aver emesso i voti temporanei, un anno prima dell’ordinazione di Dell’Agli. La terza infine l’ha abbandonata nel 2013 anche in questo caso dopo aver emesso i voti temporanei. I fatti sui quali quindi queste tre ex sodali possano testimoniare per conoscenza diretta sono di molto risalenti nel tempo, tutti precedenti a quelli già oggetto di verifica e definiti nel 2015, e in gran parte anche alle prime segnalazioni rivelatesi totalmente infondate come, in quel caso e in quel momento, siamo nel 2011, testimoniato dallo stesso Salonia.

Nella lettera non ci sono denunce nuove. Le tre donne non hanno più frequentato la fraternità né il suo fondatore. Eppure lo accusano genericamente di <<continuare a comportarsi in modo illecito>> mentre tutti gli appartenenti alla comunità, partecipi e presenti, escludono violazioni o anomalie di qualsivoglia natura e rappresentano solo in termini positivi l’intera esperienza associativa anche in riferimento all’integrale rispetto della regola fondativa.

Ma vediamo esattamente cosa le tre donne dicano.

Il primo addebito è che Dell’Agli <<ha ripreso a pieno ritmo le sue attività formative, esponendo nuovamente in pubblico la fraternità e circondandosi nuovamente di giovani donne>>. Un’accusa che non è tale perché denuncia fatti totalmente leciti. Al fondatore della fraternità nessuno, neanche nello specifico il vescovo Urso con le sue prescrizioni del 2015, ha mai vietato attività formative, ma, solo per un anno, quella professionale di psicoterapeuta perché egli – è questo il senso della motivazione prima testualmente richiamata – possa immergersi meglio nella novità della vita sacerdotale intrapresa da poco tempo. Cosa vuole dire quindi <<ha ripreso>> se non ha mai smesso né, in ogni caso, gli è mai stato chiesto o ordinato di smettere?

Analogamente oscura, priva di senso, ingannevole e fuorviante appare la contestazione di <<esporre nuovamente in pubblico la fraternità>> dal momento che nessun provvedimento ne ha mai impedito o limitato le attività in pubblico.

Un’altra goccia di veleno, in apparenza in forma d’accusa ma in realtà del tutto vuota e priva di senso, è quella con cui le tre esponenti dicono che Dell’Agli nel riprendere l’attività su descritta <<sia tornato a circondarsi di giovani donne>>. Anche in questo caso nessun divieto risulta infranto. Uomini e donne, giovani e meno giovani fanno parte dell’associazione e ne seguono le attività: lo prevede e lo consente la regola approvata dal vescovo nel 2008.

A fronte di tali accuse, nelle quali già dichiaratamente manca ogni sussistenza di illecito, tutti i testimoni a conoscenza dei fatti escludono ogni possibile violazione o anomalia ed anzi raccontano la piena osservanza delle regole e la positività dell’esperienza.

Dopo questo elemento segnalato nella lettera dalle tre donne insieme, vediamo quali altre accuse ciascuna di loro aggiunga: altre accuse che – giova ripeterlo – in nessun caso sono ‘nuove accuse’ rispetto a quelle già giudicate e definite nel 2015.

L’accusa di una teste surreale a Dell’Agli: ha calunniato Salonia dicendo ai

magistrati che ha abusato di una suora, <<cosa assolutamente non vera>>!

Cominciamo dalla donna che da più tempo ha lasciato la fraternità di Nazareth: quattordici anni prima di tale nuova denuncia e molto prima sia dell’approvazione diocesana che dell’ordinazione di Dell’Agli.

Uscita dalla comunità nel 2004, estranea alle segnalazioni del 2011, ‘ripescata’ in quelle del 2014 e ora nuovamente nel 2019 nonostante la loro ripetitività, viene accettata dal famoso tribunale ad hoc apparecchiato da Carballo e Farì come teste contro un sacerdote che tale non era al tempo della sua partecipazione a quella che solo diversi anni dopo sarebbe divenuta un’associazione privata di fedeli riconosciuta dalla diocesi. Vediamo cosa dichiari questa teste singolare e surreale, così come riportato nel capo d’accusa ‘calunnia’. Prima, in proposito giova evidenziare che sono otto i capi d’imputazione per Dell’Agli, due dei quali rientranti nei delicta graviora di competenza pertanto non del tribunale ad hoc ma della congregazione per la dottrina della fede la quale su di essi lo assolve pienamente ritenendo i fatti insussistenti e tali che mai il procedimento avrebbe dovuto essere avviato.

Dunque al capo ‘calunnia’ la donna 14 anni dopo essere uscita dalla fraternità dichiara che << Dell’Agli (le cui testimonianze sono del 2017 e 2018, quindi recentissime in quel momento) ha calunniato padre Salonia dicendo che questi ha abusato di una suora, cosa assolutamente non vera>>. Come fa a sapere che il sacerdote avrebbe calunniato Salonia? Ma, soprattutto, come fa ad affermarlo?

Proviamo ad argomentarne. Io (un io ipotetico) posso non sapere di un fatto ma non posso essere certo che un fatto (lo stesso? Un altro analogo o simile?) riferito da altri sia non vero se non ne ho piena e diretta contezza o specifica esperienza diretta. Peraltro nel 2019 Salonia si trova in una doppia situazione, certa e documentata: è imputato di violenza sessuale aggravata ai danni di una suora, imputazione da cui uscirà prosciolto il 28 febbraio 2020 solo per asserita tardività della querela da parte della vittima; ha ammesso il 18 ottobre 2018 dinanzi alla procura di Roma di avere a lungo intrattenuto una relazione sentimentale e sessuale con un’altra suora la quale per scrupolo di coscienza ha spontaneamente lasciato il suo ordine religioso, mentre lui avanza imperterrito nella carriera di sacerdote e nei gradi del suo ordine religioso fino alla nomina a vescovo.

Questi sono dati incontestabili, rispetto ai quali le domande da porsi acquistano un rilievo illuminante. Come fa questa teste a dichiarare che l’affermazione di abusi commessi da Salonia in danno di una suora sia una calunnia? Sa di quale suora e di quali specifici episodi si parli? Era presente nel luogo e nel momento in cui Salonia abusava (se abusava) sessualmente di una o più suore o, quanto meno, in quelli in cui intratteneva rapporti sessuali con quella determinata suora e potere quindi escludere che non fossero abusi ma normali relazioni sessuali tra un religioso ed una religiosa entrambi con voti perpetui di castità? Inoltre come fa a sapere cosa abbia dichiarato Dell’Agli e, qualora le sue dichiarazioni abbiano effettivamente avuto ad oggetto gli abusi di Salonia su una suora, come fa ancora una volta a sapere di quale suora tali supposte dichiarazioni trattino, in relazione a quale determinato episodio, in quale momento e in quale luogo e se siano abusi?

Poiché sono tutte domande senza possibilità alcuna di risposta tale da mantenerci su un piano di pertinente sostenibilità delle accuse, l’unica conclusione logica è che la teste ripescata sia addestrata e imbeccata. Perché e ad opera di chi è materia che ciascun lettore e ciascuna lettrice possano definire da sé. Sorprendente che il reclutamento riesca e che la teste reciti la parte: vedremo se in proposito possano soccorrerci indizi utili.

Tutti i punti di una realtà falsata: esclusione delle prove che rivelano la verità,

credito a testimoni addestrati e imbeccati che nulla sanno delle cose che dicono

Una seconda esponente, firmataria della lettera inviata al Papa il 18 agosto 2018, è la donna che ha lasciato la fraternità nel 2010, ovvero otto anni prima, quando l’associazione di fedeli è riconosciuta e approvata da due anni e il suo fondatore non è ancora sacerdote. Anche in questo caso una teste surreale disinvoltamente accettata dallo speciale tribunale chiamato alla speciale missione. Troviamo sue dichiarazioni in due distinti capi d’accusa: ‘violazione degli obblighi di una pena’ e ‘disobbedienza all’ordinario’. L’ex sodale sottoscrive le stesse parole in entrambi tali capi d’accusa, in una sorta di ‘copia e incolla’ sbrigativo e magari, per presunta rassicurazione o istruzione ricevuta e concordata, sufficiente allo scopo. La donna si riferisce a Dell’Agli: <<Ho saputo che il vescovo di Ragusa gli aveva dato delle indicazioni che lui non ha rispettato. Il vescovo gli aveva chiesto di non fare lo psicoanalista, ma lui ha continuato a farlo. Gli era stato chiesto di non indossare l’abito e ha continuato a farlo. Gli era stato chiesto di non accogliere altre persone in comunità, ma lui ha continuato a far entrare persone>>. Tre violazioni degli obblighi imposti dal vescovo che non sussistono o non sono state commesse: in alcuni casi perché a non sussistere è l’obbligo stesso (divieto di attività professionale: era solo per un anno ed è stato rispettato; divieto di indossare l’abito monastico solo fuori dalla fraternità) in altri sono le asserite violazioni ad essere smentite da testi ben più qualificati come il vescovo stesso come abbiamo visto. La donna dichiara anche: <<mons. Cuttitta mi disse che a don Nello era stato chiesto di farsi seguire da mons. Peri, ma che lui non era mai andato da mons. Peri>>.

Anche in questo caso una domanda e un’osservazione sono naturali. La prima è questa: chi informa e imbecca una teste d’accusa totalmente estranea e distante dall’intera sfera di conoscibilità, anche astratta e potenziale, dei fatti sui quali depone? E come può accadere che essa sia presa in considerazione al di sopra di testi qualificati e a diretta specifica conoscenza dei fatti medesimi?

La seconda, l’osservazione, è d’obbligo. Il vescovo Cuttitta quindi avrebbe detto a questa donna (quando da molti anni non fa più parte della comunità) che Dell’Agli abbia violato la prescrizione impartita dal predecessore Urso di <<farsi seguire dal vescovo Peri quale supervisore e accompagnatore>>, ma non c’è alcuna conferma diretta da parte di Cuttitta sicché siamo dinanzi ad un assurdo: il vescovo di Ragusa citato de relato dalla teste tace e di lui (il solo a potere dare prova certa) non c’è menzione agli atti del processo mentre viene presa per buona la confidenza riservata che lo stesso le avrebbe fatto. Perché questi ‘giudici ad hoc’ scelgono di ritenere credibile, senza prova né riscontri, questa presunta strana confidenza concessa dal vescovo ad una persona così distante dai fatti di causa e non avvertono il bisogno di sentire lui che invece quei fatti li conosce direttamente e li controlla personalmente?

Gli altri due vescovi, Urso e Peri, interpellati, rendono dichiarazioni totalmente contrarie a quelle della teste d’accusa che però il famoso tribunale ad hoc decide di rendere decisiva!

Proprio nella sentenza che condanna Dell’Agli leggiamo, in relazione al capo d’imputazione di ‘disobbedienza all’ordinario’ (ovvero il vescovo), le dichiarazioni del vescovo medesimo Paolo Urso al quale Dell’Agli avrebbe disubbidito, e per questo condannato: <<Posso dire che Sebastiano (Nello Dell’Agli, n.d.r.), finchè sono stato vescovo a Ragusa, ha seguito le indicazioni che io gli avevo dato».

Quanto all’obbligo di Dell’Agli e dell’intera fraternità di Nazareth di farsi seguire da Peri (capo d’accusa ‘violazione degli obblighi di una pena’, in realtà misura prescrittiva adottata dal vescovo Urso nel 2015) la sentenza stessa esclude ogni violazione in quanto in essa è riportata la dichiarazione del vescovo di Caltagirone: «posso dire che all’indicazione che avevano ricevuto di farsi guidare da me tutti i membri della comunità sono rimasti sempre fedeli. Infatti, sempre con cadenza regolare sono venuti da me per confrontarsi con me».

Le accuse a Dell’Agli da persone che non conoscono i fatti che denunciano

ma hanno motivo d’essere grate a chi ispira la ritorsione contro di lui

Infine la terza donna, anche lei teste d’accusa.

Dichiara, così come affermato nella lettera sottoscritta che <<Dell’Agli ha ripreso a pieno ritmo le sue attività formative, esponendo nuovamente in pubblico la fraternità e circondandosi nuovamente di giovani donne>>. Sul contenuto delle dichiarazioni abbiamo già osservato. Da aggiungere che questa teste ha il merito e la fortuna di una rapida e brillante carriera nell’Istituto di Gestalt Kairòs diretto da Salonia e nello Studio teologico San Paolo di Catania. Merito e fortuna sono da intendersi anche quelli di guadagnarsi o comunque di fruire del pieno sostegno dell’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice e del ‘quasi vescovo’ e suo mancato ausiliare Giovanni Salonia.

Il nome di questa teste peraltro è legato anche ad un elemento specifico della sua denuncia. Dichiara infatti di avere subito abusi sessuali da parte di Nello Dell’Agli. Nella sua versione tali abusi sono baci e toccamenti che il sacerdote avrebbe compiuto. Emergerà poi dalle testimonianze, compresa quella del vescovo Urso, che si trattava di abbracci. Gesti che quella teste surreale, smentita dagli altri testi anche d’accusa, interpreta come abusi o preliminari d’abuso.

Ne parla pubblicamente anche Dell’Agli nella sua dichiarazione alla stampa il 18 luglio 2023 dopo la sentenza di condanna.  <<…Sono stato accusato di gravi e reiterati atti sessuali. Qui siamo al super assurdo. Vi può essere condanna solo se vi è pedofilia, violenza, ricatto o persistenza scandalosa in rapporti sessuali completi in caso di concubinato (questo perché la chiesa distingue, chiaramente, tra peccato e reato). Nessuno mi ha accusato di questo. Eppure – osserva Dell’Agli –  sono stato condannato. Non solo. Nessuno mi ha mai accusato nemmeno di rapporti sessuali. E nessuno mi ha mai accusato nemmeno di proposte sessuali. Solo una donna (la teste di cui parliamo, una delle tre firmatarie della lettera del 18 agosto 2018 n.d.r.) mi ha accusato di baci e toccamenti, da vestiti. Senza prove. Da me e da altri testimoni, anche dell’accusa, smentita. In ogni caso si tratta di un’accusa non riconducibile al capo di imputazione, in quanto, ripeto, questo prevede pedofilia, ricatto, violenza, o persistenza scandalosa in rapporti sessuali completi in caso di concubinato. Le accuse, tra l’altro, in grandissima parte, risalgono al periodo in cui ero psicoterapeuta e non ero stato ancora ordinato prete: e quindi, dal punto di vista canonico-penale non hanno alcun valore. Riporto la testimonianza di mons. Urso: “Gli abusi che mi erano stati denunciati consistevano essenzialmente in abbracci. (…) Nelle accuse che ricevetti ebbi l’impressione che c’era in chi accusava un tentativo di vendetta. A me sembrava che ci fosse qualcuno che voleva far pagare a Sebastiano qualcosa”».

La dichiarazione di Dell’Agli prosegue poi con un riferimento all’elemento tipico del metodo psicoterapeutico Gestalt: <<a margine della questione, vorrei dire, in quanto psicoterapeuta, che solo qualcuno in mala fede, o che vuole suscitare prurigine in ambito ecclesiale, o legato a una psicologia ormai superata – osserva il sacerdote dimesso dallo stato clericale – può vedere in gesti corporeo-affettivi un necessario significato sessuale. Così ad esempio, un abbraccio in terapia è lecito (per lo Stato italiano e per la comunità scientifica internazionale) e può essere utile. In tanti anni in cui ho esercitato la professione di psicoterapeuta e di didatta in una scuola di specializzazione, nessuna allieva si è mai lamentata di me. Anzi, le manifestazioni di stima, affetto e gratitudine nei miei confronti sono state tantissime>>.

Qualcuno quindi – la terza teste firmataria della lettera-esposto del 2018 – di cui abbiamo potuto riscontrare l’impossibile conoscenza diretta dei fatti denunciati nonché la (questa, sì, diretta) sfera di relazioni coltivate e interessi perseguiti, tenta di coinvolgere Dell’Agli in ipotesi di abusi sessuali indicandone come prova fattuale gli abbracci.

Per questa verità falsata ad uso e consumo di potenti, passano ambizioni episcopali, carriere, fedeltà senza scrupoli e obbedienze immorali date per mero tornaconto

Su un altro piano della vicenda sappiamo come il contatto fisico e gli abbracci siano contemplati dalle tecniche di psicoterapia della Gestalt e ad esse si riferisca Dell’Agli in un passo della sua dichiarazione alla stampa. Vedremo tra poco come invece di tutt’altro tenore siano, così come risultano dal processo penale che fino al 2020 vede imputato Salonia di violenza sessuale, certe ‘tecniche di contatto’ e, complessivamente, il caso della suora del Nord Italia che denuncia di essere stata violentata da Salonia, diversa dall’ex suora del centro Italia la quale, quanto meno e per ammissione dell’interessato, ne è stata a lungo amante.

Ciò che scatena la soluzione finale contro Dell’Agli e la fraternità di Nazareth è la lettera che le tre ex sodali (abbiamo visto da quando tempo ‘ex’) scrivono il 18 agosto 2018, una data da collocare con attenzione nella sequenza temporale dei fatti.

In quel momento è morta e sepolta la prospettiva di Salonia di diventare vescovo: ha dovuto rinunciarvi oltre un anno prima, ad aprile 2017, e la petizione del settembre successivo non può avere alcuna chanche per le ragioni ampiamente spiegate; è prosciolto in sede canonica ad aprile 2017 dalla commissione-Gisana dinanzi alla quale testimonia Dell’Agli, ma è indagato – come abbiamo visto per violenza sessuale in danno di una religiosa – dalla procura di Roma che il 17 luglio 2018 interroga Nello Dell’Agli come persona informata dei fatti. A giugno e luglio 2018 la stessa procura ascolta inoltre la suora firmataria, il 9 marzo 2018, della querela da cui prende il via il procedimento e l’ex suora che racconta la relazione sessuale con Salonia.

Nella sfera dell’esperienza diretta o delle relazioni familiari di talune denuncianti troviamo performances di carriera, in alcuni casi con ruoli direttivi e docenze nella Gestalt, nello studio teologico San Paolo nonchè attività di successo nell’area degli interessi e delle influenze di Salonia e Lorefice. La loro lettera che mette in moto il potente e disinvolto Carballo è del 18 agosto 2018, un mese dopo la deposizione di Dell’Agli in procura. Ne conseguono il commissariamento della fraternità di Nazareth, con mandato a decretarne la chiusura, l’incriminazione e il processo affidato ad un tribunale ad hoc per condannare Dell’Agli con sentenza resa inappellabile. Effetti resi possibili dal peso di Carballo e dall’azione del suo inviato-commissario Farì anche se formalmente passano per la firma del vescovo di Ragusa, in questo caso un Cuttitta già fortemente provato e turbato dalla malattia. Quanto a Carballo e Farì, se è questi ad apporre la firma su determinati atti, è il primo che lo ha scelto, lo guida, lo garantisce e lo sostiene.

Nella diocesi a seguire il dossier è il vicario generale Roberto Asta, diligente esecutore della linea Carballo-Farì e – all’atto di rinuncia del vescovo, accettata dal Papa il 28 dicembre 2020 – promosso amministratore apostolico della diocesi fino all’insediamento del successore Giuseppe La Placa, il 16 luglio 2021, quando il sacerdote di Comiso torna ad essere semplice vicario generale.

In seguito, nel lavorìo sotterraneo che precede le nomine di nuovi vescovi nelle sedi vacanti circola anche il nome di Asta ma, per esempio a luglio 2022, a tagliare il traguardo, per la diocesi di Mazara del Vallo, è un altro ibleo, della diocesi di Noto in questo caso, Angelo Giurdanella di Modica il quale indossa la mitra a 66 anni dopo quarant’anni di sacerdozio e altri dieci di formazione: mezzo secolo di vita e di lavoro negli stessi luoghi e negli stessi ambienti che sospingono Gisana e Lorefice dei quali il neo vescovo è più anziano (di tre anni del primo, di sei del secondo) ma taglia per ultimo il traguardo che segna e conferma la forza di una squadra e dei suoi life coaches.

La difesa d’ufficio di Salonia, imputato di violenza sesssuale, da parte di Lorefice.

Le parole dell’arcivescovo, basate su un falso, offendono e aggrediscono

la suora che ha avuto la dignità, il coraggio e la forza di denunciare gli abusi

Per tornare all’affaire-Salonia, abbiamo visto e vedremo ancora importanti cointeressenze nella cerchia di chi, con vari ruoli, porta avanti la macchinazione contro Dell’Agli. Tra le persone firmatarie della lettera-esposto del 2018 emergono rapporti di collaborazione, di nomine e di incarichi nella sfera d’attività o d’influenza di Salonia. Ed in questo stesso ambito di lucrosi incarichi e gratificanti carriere, fin dal 2015 anno in cui scatta la prima azione ritorsiva contro Dell’Agli, risaltano le appassionate attestazioni pro-Salonia nella comunicazione social (con centinaia di post, articoli celebrativi, testimonianze promozionali degne di agit-prop di collaudata esperienza) soprattutto nei momenti cruciali in cui c’è da difendere il frate sostenendo falsamente ch’egli sia vittima di calunnia come del resto faranno in tanti, comprese figure investite di alta responsabilità e connessi doveri, anche di ‘fede pubblica’, come l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice.

Il riferimento è alla sua dichiarazione pubblica dopo il proscioglimento, il 28 febbraio 2020, per querela tardiva della vittima.

Ne vedremo il tenore e la portata, violenta e ripugnante, agli occhi della suora che denuncia. Intanto, nello spazio finale di questa puntata, conviene cominciare a guardare nello scrigno segreto che racchiude la scatola nera e quindi la chiave dell’intero intreccio di vicende oggetto di questa inchiesta, introducendo quello che ne è il capitolo centrale: il processo che da marzo 2018 vede Salonia indagato e poi (dal 7 luglio 2019 in virtù della richiesta di rinvio a giudizio) imputato per violenza sessuale aggravata in danno di una suora.

Il 9 marzo 2018 la religiosa, della quale abbiamo rivelato un solo elemento, l’essere di una regione del Nord Italia, presenta una querela che già qualche giorno dopo è all’attenzione della procura di Roma la quale apre un fascicolo per violenza sessuale aggravata e iscrive Giovanni Salonia nel registro degli indagati.

Segue un’intensa attività d’indagine, con l’esame di fonti di prova e l’interrogatorio di diversi testimoni.

Sesso orale della suora al sacerdote per guarire. La ricetta del frate psicoterapeuta

nel racconto della religiosa, sofferto e drammatico, ai pubblici ministeri di Roma.

Ecco in sintesi il racconto della vittima ai magistrati, il 19 giugno 2018, con l’assistenza di una psicologa specializzata in audizioni di persone in condizioni di vulnerabilità. Di lei – che chiameremo suor Teresa – oltre all’area territoriale di provenienza, aggiungiamo che ha circa vent’anni in meno di Salonia, è molto stimata come religiosa sincera e fedele ai voti, apprezzata per il servizio da sempre e tuttora prestato nel suo ordine religioso e nelle realtà scolastiche e sociali in cui è proficuamente impegnata mettendo a frutto la sua formazione culturale e i titoli accademici.

Di seguito, in carattere corsivo, il suo racconto sul quale sarà necessario tornare per chiarirne i vari aspetti, dar conto delle dichiarazioni di Salonia, riferirne gli sviluppi fino allo stop al processo per tardività della querela e riprendere in conclusione il filo dei fatti.

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Ho conosciuto – racconta suor Teresa – padre Giovanni Salonia nel 1998 in un convegno e poi ho avuto una conoscenza ed una frequentazione più approfondite quando tra il il 2005 e il 2007 ho frequentato un corso triennale per formatrici nell’ambito religioso, in quanto padre Giovanni era il direttore del corso di formazione. Lo stesso ha svolto anche delle lezioni unitamente ad altri formatori.

Padre Giovanni è uno psicoterapeuta della formazione Gestalt. In particolare è co-direttore di una scuola di formazione gestaltica “Gesta Terapy HCC Kairos”; tale scuola ha tre sedi, una a Ragusa, una a Roma ed un’altra a Venezia. Lo stesso insegna anche nell’università Gregoriana, il Pontificio Ateneo Antonianum nonché alla Cattolica di Roma.

Durante la frequentazione del corso triennale, per mie vicissitudini personali, ho parlato con padre Nello Dell’Agli, il quale mi ha consigliato di parlare con padre Giovanni e in quella occasione ho fatto un colloquio. Siamo nel luglio del 2007.

Mi sono rivolta a padre Nello in quanto avvertivo da tempo delle sensazioni di malessere e di stati ansiosi depressivi. La mia sofferenza derivava da una pregressa sofferenza traumatica che non avevo ancora elaborato consapevolmente e che solo a partire della fine del 2008 ho affrontato, rivolgendomi a padre Giovanni.

Non avevo ancora coscienza degli abusi sessuali che avevo subito all’età di circa 3 anni e mezzo da parte di mio padre quando mi sono rivolta a padre Giovanni tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. All’epoca io mi trovavo a … mentre padre Giovanni si trovava a Siracusa.

I miei sintomi erano peggiorati, ossia avevo crisi di ansia, insonnia, attacchi di panico e depressione e i primi contatti con padre Giovanni a causa della nostra distanza erano avvenuti via e-mail. Lo stesso mi aveva indirizzato a dicembre del 2008 presso uno psichiatra di sua conoscenza a … e poi mi aveva dato dei suggerimenti su come affrontare questi momenti di grande difficoltà. La prima volta ci siamo incontrati a … nel febbraio del 2009 e gli avevo chiesto l’opportunità di essere seguita da uno dei suoi collaboratori facenti parte della sua scuola a … ma lo stesso mi aveva detto che non c’era nessuno. Ho saputo dopo che a … in realtà vi era un istituto di terapia gestaltica la cui direttrice era stata co-direttrice con lui precedentemente. Poi ho saputo che si erano separati. La terapia era una volta ogni mese e mezzo-due mesi a Roma e due volte sono scesa a Siracusa. Talvolta ci siamo incontrati anche a … (indica in dettaglio le varie località, n.d.r.) Ogni qualvolta padre Giovanni si spostava, in tali sedi avvenivano gli incontri.

Non ha mai fatturato le mie sedute e io non ho mai pagato. Lui mi chiedeva di dire tre Ave Maria.

La prima volta che ci siamo incontrati mi ha abbracciato in maniera particolarmente affettuosa. Mi ha detto che avremmo fatto una terapia prevalentemente corporea e non verbale per superare le mie difficoltà corporee. Avevo delle difficoltà con il mio corpo. Mi ha detto che avevo bisogno di calore, e che dovevo imparare a provare piacere, scollegato dall’angoscia che avevo vissuto a causa degli abusi subiti.

Durante l’incontro avvenuto a …, padre Giovanni mi ha fatto spogliare e mi ha fatto rimanere in biancheria intima, eravamo in un convento all’interno di una camera da letto da soli. Ha cominciato a toccare ogni parte del mio corpo, il seno, la pancia, e tutte le altre parti intime compresi i miei genitali e ogni qualvolta toccava una parte del mio corpo, io dovevo dare il nome a quella parte. Ciò è avvenuto nel settembre del 2009.

Queste modalità di trattamento sono andate nel tempo ad intensificarsi fino ad arrivare a dirmi di andare in braccio a lui, di mettermi sulle sue gambe. Alcune volte mi sono rifiutata di fare ciò che mi chiedeva per una questione morale e lo stesso reagiva, talvolta bruscamente dicendomi che se non mi fidavo di lui mi sarei dovuta rivolgere ad alto terapeuta, altre volte dolcemente cercando di rassicurarmi. Ricordo che in un incontro avvenuto a … nel 2009, lui mi invitava a sedere con le gambe aperte sopra di lui. Mi chiedeva di muovermi come un animale in quanto secondo padre Giovanni dovevo liberare le energie bloccate per il gesto interrotto. Mentre mi trovavo sulle sue gambe lui mi baciava sulle guance e ricordo che la mia percezione era allora quella di essere tornata bambina nelle braccia di un papà, però buono, che mi coccolava.

Quando ero sulle sue gambe ero terrorizzata al pensiero che si potesse eccitare facendomi muovere sopra di lui; non ho avuto la percezione della sua eccitazione ma posso dire che quando terminava la seduta si recava in bagno. In queste circostanze io ero sempre rimasta vestita, con l’abito monastico, gonna e vestaglietta. Ricordo un particolare, ossia che quando mi faceva muovere, le sue mani erano sui miei glutei ed accompagnava il movimento ondulatorio. Da questo momento in poi i nostri incontri avvenivano per lo più nelle camere da letto, nei luoghi in cui ci si incontrava.

Durante questi incontri mi faceva togliere gli abiti per sentirmi più libera e per non stropicciarli mentre lui rimaneva vestito; subito dopo mi si avvinghiava e mi stringeva forte dicendo di muovermi ‘come un animale’, in alcuni casi mi toccava sotto il reggiseno, mi strizzava i capezzoli e qualche volta ha cercato di baciarmi sui capezzoli. Ricordo inoltre che mentre mi baciava sulle guance, scivolava sulla bocca. Io gliel’ho sempre impedito perché mi dava fastidio, ma una volta è riuscito nel suo intento. Ricordo in una circostanza la sua lingua nella mia bocca. Inoltre mi toccava con il dito dentro la vagina allo scopo di farmi eccitare, cosa che riusciva e mi guardava intensamente. Questi episodi avvenivano tutte le volte in cui ci siamo incontrati tra il 2009 e il 2013.

Io partecipavo a questi incontri perché  ero convinta che si trattasse di una cura terapeutica come lui mi aveva spiegato e assicurato ma al tempo stesso provavo un grande conflitto interiore e mi chiedevo se era lecito quello che stavamo facendo. Non posso negare che in alcune occasioni uscivo da questi incontri in uno stato di benessere. Ricordo perfettamente che in qualche occasione io gli dicevo di sentirmi una sorta di “puttana” e lui mi chiedeva se era un mio pensiero oppure la voce di mia madre (lo psicoterapeuta conosceva i traumi, il contesto e le figure familiari della paziente, n.d.r.). Io mi persuadevo di quest’ultima soluzione ed ammettevo che si trattava della voce di mia madre perché in casa mia il sesso era considerato tabù.

Nel 2012 padre Giovanni mi ha proposto durante i nostri incontri di fare delle sessioni pratiche perché io diventassi parte attiva e superassi il disgusto che provavo verso il corpo maschile. Una prima volta mi fece toccare il suo pene, dopo che si era abbassato i pantaloni e gli slip. Era un’attività finalizzata all’esplorazione secondo quanto lui mi diceva, tranquillizzandomi perché io ero molto imbarazzata e tesa. La seconda volta lui mi ha detto di baciarlo sul pene dicendomi che era ciò che io volevo ed io l’ho baciato provando un disgusto indescrivibile. Preciso che questi inviti erano fatti in maniera molto suadente e convincente nonché con modalità rassicuranti spiegandomi che era la terapia. La terza volta mi ha detto di prenderlo in bocca e per convincermi diceva che era ciò che io volevo e di non lasciarmi fermare dalla paura di farlo. Ricordo che quella volta l’ho messo in bocca provando un disgusto incredibile e rimanendo ferma. Ricordo perfettamente di avere avvertito lo stesso odore percepito con mio padre e che solo di recente ho ricollegato agli abusi subìti.

Il trauma della stessa violenza subìta in famiglia all’età di tre anni:

<<Padre Salonia che doveva curarmi ne era perfettamente a conoscenza>>

Ricordo – prosegue suor Teresa – che da bambina di frequente mi tornava questo odore e mi chiedevo cosa fosse: mi davo come risposta “che era un budino bianco che avevo mangiato”. In realtà mio padre mi faceva fare sesso orale e ricordo che durante la notte svegliavo mia mamma per chiederle da bere perché non riuscivo ad ingoiare ciò che avevo in gola…

Dopo avere praticato un rapporto orale con padre Giovanni ricordo di avere vomitato e ancora oggi provo un senso di repulsione molto forte.

Non ricordo che lo stesso in questa occasione si sia eccitato perché mi diceva rassicurandomi che il suo membro non si sarebbe mosso e non sarebbe successo nulla. Faccio presente che padre Giovanni era perfettamente a conoscenza degli abusi sessuali di natura orale che ho subìto da parte di mio padre e del fatto che mia madre ne avesse piena contezza. Ho il ricordo di questa madre rigida ed anaffettiva che si seccava quando io di notte le chiedevo un bicchiere d’acqua.

Ricordo che gli incontri con padre Giovanni sono cessati nel 2013, perché alla fine dell’anno io continuavo a manifestare il mio malessere mentre lui mi diceva che io ormai avevo superato i problemi e non avevo più bisogno di incontri. Lui mi diceva altresì che io gli facevo presente il mio malessere per non essere da lui abbandonata e quindi mi ha indirizzata verso altro psicoterapeuta, dott…

In seguito io di nuovo ho incontrato padre Giovanni ma non ci sono stati più contatti di natura fisica, solo colloqui superficiali. Ricordo che il nuovo psicoterapeuta dott… mi diceva che i contatti con padre Giovanni erano ancora attivi probabilmente perché voleva controllare in qualche modo cosa io dicessi.

Io ho preso coscienza di quello che mi aveva fatto padre Giovanni in data 11 settembre 2017 perché ero stata malissimo, era peggiorata la depressione ed ero andata da uno psichiatra per avere una terapia adeguata alla mia patologia, il dott… Questi mi chiedeva quale tipo di terapia avessi svolto fino a quel momento e una volta raccontato per sommi capi che era una terapia di tipo corporeo con padre Giovanni, lui disse che conosceva le terapie corporee e, una volta dettagliato maggiormente cosa avveniva, lo psichiatra mi disse che nessuna terapia corporea prevede un tale trattamento fino ad arrivare a toccare gli organi genitali, ma che si trattava di un abuso sessuale commesso nell’esercizio della professione di psicoterapeuta.

Ho presentato la querela solo il 9 marzo 2018 perchè ero stata malissimo, ho passato periodi brutti di estrema sofferenza e inizialmente avevo pensato di fare una denuncia canonica, ciò in quanto a febbraio del 2017 padre Giovanni era stato nominato vescovo ausiliare di Palermo. Tuttavia sono a conoscenza di un supplemento di indagini a seguito della pubblicazione della sua nomina a vescovo, in quanto vi erano state delle accuse per violazione del voto di castità contro padre Giovanni tanto che la sua nomina è stata bloccata. Mi risulta che lui abbia fatto un atto di rinuncia. Padre Giovanni ha subìto un processo canonico per infedeltà al voto di castità e sono stati ascoltati come testimoni … (la teste fa il nome della suora che con Salonia ha avuto una relazione sessuale da lui stesso in seguito ammessa ai magistrati, n.d.r.).

Sono a conoscenza – conclude suor Teresa – che anche costei è stata molestata da padre Giovanni avendo con lo stesso avuto rapporti di natura sessuale mentre costui svolgeva la sua funzione di sacerdote. La stessa mi ha detto che vi erano altre quattro-cinque suore che come lei avevano vissuto la stessa esperienza.

La stessa abita a … e non fa più parte dell’ordine religioso.

A settembre del 2017 quando mi sono resa conto di quello che mi aveva fatto padre Giovanni ho cancellato molte delle e-mail scambiate con lo stesso tra il 2008 e il 2009 ma ne conservo molte altre che mi riservo di consegnare.

5 – continua

Le puntate precedenti sono state pubblicate il 14 ottobre 2023 (qui), 21 ottobre 2023 (qui), 28 ottobre 2023 (qui), 4 novembre 2023 (qui).

Qui invece una breve nota pubblicata il 6 novembre scorso dopo le parole pronunciate dal Papa in difesa del vescovo di Piazza Armerina Rosario Gisana, uno degli esponenti del clero di cui si parla nell’inchiesta.