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Cuffaro e quella ‘soffiata’ al cognato di Matteo Messina Denaro, nel 2001, dopo l’elezione a palazzo d’Orleans

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L’articolo dal titolo  ‘Modica, il mistero di una gara fuorilegge da otto milioni di euro per la riscossione dei tributi …..’ (qui ) pubblicato ieri ha suscitato diverse interazioni. Molti messaggi sono arrivati anche in forma privata, tanti di apprezzamento, uno di critiche. E’ su questo che voglio soffermarmi.
Mi è stata obiettata un’incompletezza specifica per non avere precisato a chi Salvatore Cuffaro rivelò – venendo per questo condannato con aggravante mafiosa – notizie coperte da segreto istruttorio. Purtroppo ci sono limiti nella scrittura giornalistica e non è mai possibile dar conto di tutto. Ma sul punto intervengo volentieri.
Il destinatario finale dell’informazione fu Giuseppe Guttadauro di Bagheria, cognato di Matteo Messina Denaro e capomafia di Brancaccio succeduto in tale ruolo ai fratelli Graviano dopo il loro arresto. Quindi non proprio un personaggio di secondo piano al quale la notizia delle microspie piazzate dagli inquirenti fu soffiata da Cuffaro attraverso due passaggi intermedi: Domenico Miceli e Salvatore Aragona. Quindi la sequenza è questa: da Cuffaro a Miceli, da questi ad Aragona e infine a Guttadauro.
Prima che Cuffaro mettesse in guardia i suoi sodali, Guttadauro, intercettato, parlando con Miceli aveva dato ampie attestazioni di come la mafia avesse finanziato la campagna elettorale del presidente della Regione eletto nel 2001.
Guttadauro è un medico come Cuffaro, come Aragona e come Miceli il quale a quel tempo era anche assessore alla Sanità del Comune di Palermo (sindaco Diego Cammarata, eletto nel 2001 come Cuffaro).
Guttadauro, condannato per quei fatti a 13 anni e 4 mesi (di cui tre non scontati per buona condotta) e arrestato nuovamente il 13 febbraio scorso per reati di mafia, era solito recapitare a Cuffaro le richieste di Cosa Nostra e di Matteo Messina Denaro attraverso i due ‘colleghi’ medici e mafiosi Miceli e Aragona, quest’ultimo arrestato nel 2002 insieme ad un altro medico, Vincenzo Greco, cognato di Guttadauro, poi assolto.
Medici e sanità nel core business della mafia, come rivela la vicenda di un altro boss, Michele Aiello di Bagheria, prima imprenditore edile e poi re delle cliniche. Il suo nome salta fuori per la prima volta il giorno dell’arresto di Totò Riina e presto emerge la sua caratura criminale (sua segretaria personale e amministratrice di proprie società è la sorella dell’amante di Matteo Messina Denaro), soprattutto negli affari che a Bagheria hanno la loro base. Forse non è un caso se il primo progetto di assassinio di Paolo Borsellino prende forma in Cosa Nostra quando il magistrato comincia ad indagare sull’uccisione, a Bagheria appunto, del capitano dei Carabinieri Basile comandante la locale compagnia.  Per il boss mafioso bagherese e ras della sanità Aiello gli affari diventano d’oro a metà del 1999 (a palazzo d’Orleans è in carica il Governo guidato da Angelo Capodicasa, Ds, del quale fa parte Cuffaro, all’Agricoltura) quando Lorenzo Iannì viene nominato direttore del distretto sanitario di Bagheria e comincia a mettere le mani nella documentazione delle società di Aiello, gonfiando i rimborsi a dismisura con cifre miliardarie. Al suo fianco in quegli anni anche il direttore generale dell’Asl 6, Giancarlo Manenti, presentatogli da Antonio Borzacchelli mesi prima. Soltanto con il regime di assistenza diretta, quindi dai primi mesi del 2002, alle cliniche di Aiello, considerato prestanome di Provenzano che a Bagheria ebbe una forte rete di protezione, vengono accreditate qualcosa come 100 milioni di euro: una ruberia gigantesca. Ma nel giugno 2003, succede qualcosa di inaspettato. Dopo più di un anno di generosi accreditamenti, il nuovo direttore generale dell’Ausl 6 Guido Catalano blocca i finanziamenti alle società di Aiello. Catalano era succeduto a Manenti nel febbraio 2002.
A settembre 2003, Antonio Borzacchelli, vecchio “collaboratore” di Aiello e deputato regionale Udc arrestato, condannato in primo grado e poi assolto, va a fargli visita per dimostrargli la propria solidarietà. Durante l’incontro, però, l’ex maresciallo lo mette al corrente di una lobby, sostenuta da Forza Italia, che rema contro di lui e sostiene un altro gruppo sanitario, quello dell’imprenditore Guido Filosto proprietario della clinica “La Maddalena”.
Uno scontro di potere tra Udc e Fi: Cuffaro (la cui moglie, Giacoma Chiarelli, è socia del Laboratorio Ria diagnostica ormonale appartenuta ad Aiello) è schierato per l’imprenditore e boss mafioso di Bagheria. Fi (con Miccichè, Cittadini ed altri) sono per ‘La Maddalena’, la clinica – considerata una delle migliori strutture oncologiche in Sicilia – dove ieri mattina è stato arrestato Matteo Messina Denaro e il cui patron, Guido Filosto, il giorno prima ha festeggiato il 94° compleanno in una villa del centro con il presidente della Regione Renato Schifani, il sindaco di Palermo Roberto Lagalla e il capo della ‘Dc Nuova’ Salvatore Cuffaro.
Ovviamente tutti in veste privata per i rapporti personali con il festeggiato rispetto ai quali non rilevano il ruolo poliitico e/o istituzionale oggi ricoperto ed esercitato, nè le biografie pubbliche.
Di Cuffaro, pregiudicato per reati commessi con l’aggravante mafiosa, abbiamo detto.
Schifani, incensurato, ha avuto assidue, intense e lunghe frequentazioni, anche come socio d’affari, con esponenti mafiosi d’alto livello: tra gli altri Benny D’Agostino, condannato per mafia, amico del boss Michele Greco; Nino Mandalà, capomafia di Villabate, grande favoreggioatore di Bernardo Provenzano e fondatore di uno dei primi club di Forza Italia a Palermo; Giuseppe Lombardo, presidente e consigliere delegato della società dei cugini Nino e Ignazio Salvo ‘esattori’ della mafia. Rapporti  attestati dai magistrati nei provvedimenti giudiziari che hanno archiviato nei suoi confronti i reativi procedimenti.
Roberto Lagalla, incensurato, medico radiologo come Cuffaro e già assessore, dal 2006, nel secondo governo regionale da lui presieduto dopo essere stato per cinque anni il presidente del Polo universitario di Agrigento, è sindaco di Palermo da sette mesi e – quanto a precedenti, rapporti, vicinanze o distanze dal mondo criminale – a parte un’inchiesta poi archiviata, può solo lamentare la sfortuna di avere scelto come donna della sua vita la nipote del capomafia di Canicattì Antonio Ferro, vicino ai Corleonesi e in ottimi rapporti con Nitto Santapaola. A tale ‘sfortuna’ per l’ex rettore fa da contrappeso una certa ‘fortuna’ politica nell’essere riuscito a sgominare a maggio scorso l’agguerritissima concorrenza per palazzo delle Aquile – dove infatti ha vinto poi a mani basse – di ben sei rivali interni ritiratisi dalla corsa dopo l’endorsement, evidentemente risolutivo e convincente, di Marcello Dell’Utri – pregiudicato per concorso in associazione mafiosa – e dell’amico di lunga data Cuffaro.
Per tornare alla festa di domenica scorsa per il compleanno del patron della clinica La Maddalena – divenuta celebre il giorno dopo per l’arresto di Messina Denaro – e ai suoi invitati illustri, Schifani, oltre a quanto già rilevato, è anche imputato nel processo al cosiddetto ‘Sistema Montante’, divenuto il ‘processone’ in corso nell’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta: deve rispondere di concorso in associazione per delinquere e rivelazione di notizie riservate.

Tra gli altri imputati: l’ex presidente della Regione Rosario Crocetta, gli ex assessori Linda Vancheri e Mariella Lo Bello; l’ex commissario Irsap Maria Grazia Brandara, gli imprenditori Giuseppe Catanzaro, Rosario Amarù e Carmelo Turco; l’ex vicequestore Vincenzo Savastano all’epoca dei fatti in servizio nella Polizia presso l’ufficio di frontiera di Fiumicino, Gaetano Scillia capocentro Dia (Direzione ivestigativa antimafia) di Caltanissetta dal 2010 al 2014; Arturo De Felice, direttore della Dia dal 2012 al 2014; Giuseppe D’Agata, colonnello dei carabinieri, e Diego Di Simone Perricone, ex poliziotto ed ex capo della security di Confindustria.

Sotto processo anche l’ex direttore dell’Aisi (I Servizi segreti interni) Arturo Esposito, il caporeparto dell’Aisi Andrea Cavacece, il “re dei supermercati” Massimo Romano; il tributarista Massimo Cuva; il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata; il sindacalista Maurizio Bernava; gli imprenditori del settore sicurezza Andrea e Salvatore Calì; i dipendenti di Montante Rosetta Cangialosi, Carmela Giardina e Vincenzo Mistretta; il poliziotto Salvatore Graceffa; il dirigente di Confindustria Carlo La Rotonda; il maggiore della Guardia di Finanza Ettore Orfanello; il luogotenente Mario Sanfilippo e il colonnello dei carabinieri Letterio Romeo.