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A Ragusa va in scena un processo per il “reato” di critica: querelante (con i soldi dei contribuenti) il solito Dispenza

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Con una dichiarazione rilasciata ad un’agenzia di stampa e ripresa anche da In Sicilia Report (articolo leggibile qui ) ho comunicato di avere presentato querela nei confronti di Filippo Dispenza, ex dirigente di polizia andato in pensione con il titolo di prefetto (una delle tante nomine firmate da Angelino Alfano, il “ministro istituzionalmente genuflesso ad Antonio Calogero Montante” al quale non poteva mai dire di no: così è scritto nella sentenza di un tribunale della Repubblica) e, più di recente, già pensionato, capo – proprio in forza del titolo di prefetto – della commissione straordinaria che ha amministrato il Comune di Vittoria da fine luglio 2018 a fine ottobre 2021.

Ho già chiarito le ragioni della querela nella quale chiedo all’autorità giudiziaria di accertare eventuali reati – quello di calunnia mi sembra il più verosimile – commessi da Dispenza il 21 marzo scorso in un’aula di tribunale, in continuazione peraltro rispetto alla denuncia presentata alla Dda di Catania di cui egli ha riferito. Nell’articolo sopra richiamato i fatti sono ricostruiti con sufficiente chiarezza, ma devo rispondere, anche con considerazioni e analisi finora tralasciate, a tante domande che continuano ad essermi poste da un’ampia comunità di lettori la quale ha a cuore i temi della giustizia e dell’informazione e che segue costantemente alcune vicende come i processi scaturiti dalle querele e dagli atti di Dispenza e quello che mi vede imputato, per diffamazione a mezzo stampa, su denuncia dell’associazione Libera.

Qui il tema è solo il primo e ci rimanda all’udienza, tenutasi il 21 marzo scorso dinanzi al Tribunale di Ragusa in composizione monocratica (giudice Laura Ghidotti, pm Adelaide Mandarà, già nota ai nostri lettori in riferimento al giudizio penale avviato dalla Procura di Ragusa su querela di Libera: articolo leggibile qui) del processo che vede imputato del reato di diffamazione Cesare Campailla, da otto mesi assessore del Comune di Vittoria e all’epoca dei fatti, nel 2019, cittadino ed attivista politico querelato da Dispenza per alcune parole critiche espresse sull’operato dell’amministrazione comunale. Pare che l’imputazione più grave sia la frase “Vittoria offesa da questi amministratori straordinari”! Come se qualcuno potesse produrre la prova che una città si senta, o non si senta, offesa dalla sua pubblica amministrazione e, nel caso di verità ‘non provata’, questo pensiero possa risultare diffamatorio!

Partendo dalle ragioni per le quali, a suo dire, Dispenza ha querelato Campailla, ben presto l’ex poliziotto estende il campo e definisce Campailla membro di un gruppo dedito alla commissione di più reati contro la commissione straordinaria da lui capeggiata: un’associazione per delinquere in ‘piena regola’.

E Dispenza denuncia anche il perché tale associazione criminale agiva contro la commissione: <<perché (la commissione) – ha spiegato – voleva fare semplicemente il proprio dovere>>. Dal che, l’autorità giudiziaria non può non prendere atto che tra i tanti reati chiamata ad accertare, così come denunciati da Dispenza, vi sia anche quello di “violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti” punito dall’art. 338 del codice penale con la pena da uno a sette anni di reclusione.

Neanche sui membri dell’associazione per delinquere Dispenza ha dubbi, tanto che ne ha indicato il numero, cinque, ed anche i nomi. La trascrizione della fonoregistrazione dell’udienza depositata agli atti ne riporta solo quattro: il sindaco di Vittoria Francesco Aiello, l’assessore Cesare Campailla, il dirigente della Società di regolamentazione dei rifiuti Ato 7 Ragusa Fabio Ferreri e il sottoscritto.

In precedenti articoli dedicati a quell’udienza (leggibili qui e qui)  abbiamo potuto svelare tutti e cinque nomi così come chiaramente indicati da Dispenza: il quinto, mancante nella trascrizione, è quello di Salvatore Messina, avvocato.

Ai cinque, denunciati da Dispenza come membri di un’associazione per delinquere, sono attribuiti molteplici reati che spetterà all’autorità giudiziaria accertare e configurare, al di là delle parole usate da Dispenza che vanno esaminate con cura.

Egli per esempio denuncia ‘vilipendii’ nei confronti della commissione straordinaria.

Non sappiamo che rapporto il dirigente generale di polizia nonché prefetto Filippo Dispenza abbia con il codice penale e con i possibili livelli di conoscenza, ma le norme sono chiare. Il vilipendio può essere commesso nei confronti delle seguenti figure e simboli istituzionali e religiosi: Presidente della Repubblica (art. 278 del codice penale); Repubblica, istituzioni costituzionali e forze armate (art. 290); nazione italiana (art. 291); bandiera italiana (art. 292); bandiera o emblema di Stato estero (art. 299); religione (art. 403-404); tombe (art. 408); cadaveri (art. 410). Un elenco che dottrina e giurisprudenza considerano tassativo.

Ora, pur tenendo nel debito conto la circostanza che della commissione straordinaria ‘vilipesa’ faccia parte una figura come il Dispenza, è difficile comprendere l’affermazione, almeno fino a quando lo stesso Dispenza venga in soccorso collocando la commissione, e soprattutto sè stesso che ne era il dominus assoluto, in una delle otto categorie indicate dal codice penale.

E ciò senza volere neanche lontanamente, almeno qui ed ora, affrontare il tema imbarazzante della qualificazione diffamatoria (traduciamo con questo aggettivo il ‘vilipendio’ concepito dal cervello di Dispenza) attribuita agli atti denunciati dall’ex poliziotto-prefetto.

Dispenza peraltro ribadisce più volte il termine: <<…queste azioni denigratorie nei confronti della commissione straordinaria … vilipendii, accuse ingiustificate…accuse ignominiose……ci siamo sentiti denigrati e offesi … e alla fine abbiamo compreso … abbiamo avuto la netta sensazione che si fosse creato un piccolo gruppo …. per ogni cosa si veniva aggrediti, vilipesi…>>. E ancora: <<…le persone che ci hanno vilipeso, ci hanno oltraggiato, che ci hanno minacciato sono sempre le stesse … soprattutto sono cinque persone … dall’attuale sindaco a Campailla, … Di Natale … a Ferreri>>.

Il suo difensore poi lo invita a parlare degli effetti delle sue denunce, con questa domanda: <<…rispetto alla situazione che si è creata con questo gruppo ristretto di persone, il ministero ha ritenuto di doverle dare una tutela particolare che sta durando tuttora?>>. Risposta: <<… mi chiamano dal ministero, … io ero stato anche a Catania a denunciare alla Dda degli episodi che io reputo di competenza della Dda. Sono stato dal procuratore … dal procuratore generale a denunciare anche quei nomi che vi ho fatto prima … dopo di che … tutela quarto livello>>.

Quando, ad un certo punto, si fa riferimento alla discussa definizione di Vittoria ‘città irredimibile’ data da Dispenza, questi spiega e riferisce: <<…c’è stata una certa reazione da parte dei soliti noti, vergognosa, inammissibile, …inaccettabile, irricevibile…>>. E alla domanda della difesa dell’imputato  << ci sono anche personaggi politici, giornalisti?>> Dispenza risponde <<… ma certo, certo…>>.

Quindi un’associazione criminale, secondo la denuncia di Dispenza, ha operato nel tempo (e magari continua a farlo) commettendo tutti i reati indicati ai quali, come già chiarito, stando alle parole di Dispenza, bisogna aggiungere quello previsto dall’art. 338 del codice penale contro la commissione <<che (perché) voleva fare semplicemente il proprio dovere>>.

Che tipo d’attività investigativa abbiano prodotto tali singolari denunce non è dato sapere. Certo è che essa deve essere stata, ed essere, molto intensa se la denuncia di Dispenza risale probabilmente a due anni fa e se il pm titolare dell’inchiesta di recente ne ha chiesto una proroga. Ancora più certo è che le denunce di Dispenza devono essere state gravi, ben documentate e convincenti se, in seguito e per effetto di esse, è stato aumentato sostanziosamente il livello delle misure di protezione della sua sicurezza così pesantemente minacciata dall’associazione per delinquere di cui – così assicura Dispenza – faccio parte.

In proposito, con certezza assoluta, posso parlare solo per me e, conoscendo ovviamente tutti gli ‘atti da me commessi’, l’ho già fatto nell’articolo sopra richiamato nel quale … ho reso piena confessione.

Ma, come sempre, ci soccorrono le parole di Dispenza, non quelle scritte nella denuncia che avrà presentato alla Dda di Catania (non mi è dato conoscerla come, credo, non sia dato agli altri quattro membri dell’associazione criminale) ma quelle pronunciate nell’udienza del 21 marzo scorso dinanzi al Tribunale di Ragusa nell’ambito del processo per diffamazione da lui intentato contro Cesare Campailla.

Ecco un concetto più volte espresso da Dispenza nell’ambito di quello che avrebbe dovuto essere un esame testimoniale e che spesso è diventato un comizio da parte sua, respinto fermamente dal tribunale ma apprezzato da un gruppo di suoi ‘sostenitori’ accorsi per l’occasione. Riproponiamo qualcuna delle frasi più volte da lui pronunciate: <<… No critiche politiche perché io non sono un politico …>>. Poi <<… vilipendi, accuse ingiustificate, non tollero che si dica che queste espressioni possono essere considerate espressioni di un esponente politico .. io non sono un politico…>>. E ancora: <<… Ma io non sono un politico e non accetto critiche>>.

Con maggiore continenza, ma non minore gravità, lo stesso concetto ha espresso l’ex vice prefetto Giovanna Termini, numero due di quella commissione straordinaria in carica a Vittoria (dopo il siluramento di Giancarlo Dionisi indotto alle dimissioni perché ‘dissentiva’ dal metodo Dispenza). Termini ha parlato di dinamiche di <<dissenso-consenso>> precisando <<non siamo stati eletti>> per porre sostanzialmente ogni critica fuori dal lecito.

Ma è sulle parole di Dispenza che conviene concentrarsi. Egli – per suo mero impulso, senza il vaglio di un giudice e con il fervente sostegno di pm sensibili ad ogni sua pretesa – ha trascinato in tribunale tanti cittadini ‘colpevoli’ solo di essere tali e, quindi, di parlare della città, segnalando problemi ed esprimendo più che legittime opinioni su di essi e sulle soluzioni auspicate.

Sappiamo benissimo come, nel nostro ordinamento, non esista, per fortuna, il ‘reato’ di critica. Eppure è questo l’oggetto del processo come candidamente ammesso dal promotore di tutto, ovvero lo stesso Dispenza, quando pronuncia dinanzi al tribunale le frasi riportate: e per tutte valga <<io non sono un politico e non accetto critiche>> (ecco quindi il ‘reato’ che Dispenza confessa di avere chiesto, e ottenuto, che sia perseguito: ‘reato di critica’).

Non so se esistano parole adeguate a rappresentare fedelmente l’enormità di questa mistificazione.

Qualcuno dovrebbe spiegare a Dispenza che non basta definirsi ‘servitori dello Stato’ per esserlo sul serio, né definirsi ‘non politico’ per salire su un piedistallo, al di sopra della Costituzione e delle leggi della Repubblica, e criminalizzare ogni critica che qualcuno abbia l’ardire di rivolgere al proprio operato, in quanto la critica legittima possa essere lecitamente rivolta solo a coloro a cui Dispenza, con insindacabile atto d’imperio, attribuisca la ‘patente’ di politico.

Se ne faccia una ragione Dispenza. Nessuno lo ha obbligato ad amministrare il Comune di Vittoria. Se egli ha accettato l’incarico avrebbe dovuto avere ben chiaro che non si trattava di un’operazione di polizia (e anche questa deve scrupolosamente osservare ogni norma di legge e non è esente da critiche, né indiscutibile) ma, appunto, dell’amministrazione di un comune, cioè della ‘polis’.

‘Politico’ – naturalmente e inevitabilmente – è già ciascun membro della ‘polis’, per il solo fatto di esser tale. Certo lo sono di più i cittadini che esercitano più diffusamente attività politica e lo sono, ancora di più, coloro che amministrano la ‘res pubblica’, come Dispenza quando ha accettato di gestire un comune che è ‘res pubblica’ e non ‘res privata’, né, tanto meno, ‘res’ o ‘cosa sua’. In quanto ‘res pubblica’, come tale è totalmente soggetta a piena trasparenza (spesso mancata nel Comune di Vittoria sotto gestione commissariale) e, quindi, al più ampio esercizio di tutte le prerogative costituzionali fondative della cittadinanza.

L’unica differenza tra un ex-poliziotto (che Angelino Alfano ha fregiato del titolo di prefetto) incaricato, in questo caso insieme a due funzionari prefettizi, di esercitare le funzioni del sindaco, della giunta e del consiglio comunale e questi ultimi è che egli, e così gli altri due funzionari, non è stato eletto, ma nominato.

Per tutto il resto, gli atti compiuti rientrano totalmente nella stessa categoria, sono atti di gestione della res pubblica, soggetti a tutte le forme di trasparenza – e quindi a tutte le critiche, salutari in una democrazia sana – che chiunque voglia esprimere.

Ancora una volta, se ne faccia una ragione Dispenza. L’incarico che fu conferito a tre pubblici funzionari a luglio 2018 e che egli, il più titolato (in quanto prefetto) dei tre, liberamente accettò era quello di amministrare un comune, esercitando le funzioni del sindaco, (oggi a Vittoria c’è Francesco Aiello, con ben altro titolo – in quanto sindaco eletto – di legittimazione), della giunta (di cui oggi fa parte Cesare Campailla) e del consiglio comunale. Funzioni che, per definizione, sono strumentali al bene della città e dei cittadini. Ciascuno dei quali ha pienissimo titolo ad esprimere la propria opinione, anche – e soprattutto (per la migliore ricerca del bene comune) – critica.

In un mio recente articolo relativo al processo per diffamazione nei miei confronti intentato dal presidente di Libera Pio Luigi Ciotti, ho ampiamente argomentato come quello sia – e se vi fossero dubbi il pm Adelaide Mandarà li ha fugati del tutto – un processo all’informazione perseguita per il ‘reato’ di giornalismo.

Allo stesso modo il processo che vede imputato Cesare Campailla (e quello che in futuro se e quando – dopo anni di indagini seguite alla singolare denuncia di Dispenza alla Dda di Catania – il pm dovesse ritenere di aprire esercitando l’azione penale contro l’associazione per delinquere di cui faccio parte) è un processo per il reato di ‘dissenso’ o di ‘critica’. Non sono io a prospettare questo stato di cose. A farlo sono le parole di Dispenza, il noto ‘cliente’ di Antonio Calogero Montante che, con i soldi dei cittadini, ha voluto questi processi. E li ha incredibilmente ottenuti.

Infine, due integrazioni a margine dell’udienza del 21 marzo scorso.

Abbiamo detto dei toni da comizio – proprio mentre si affannava a dire ‘non sono un politico’ – usati da Dispenza quando era teste chiamato a rispondere a domande. Questa non è la nostra percezione, ma quella del Tribunale di Ragusa. Citiamo, come da verbale, le parole del giudice Laura Ghidotti, rivolte a Dispenza: <<.. però lei non è qua per fare un comizio..>>; e ancora: <<…lei non può parlare a ruota libera … lo vuole condurre lei il controesame? (in replica alle parole dette da Dispenza al difensore dell’imputato il quale gli faceva domande: <<…no, no, adesso andiamo su questa … perché questo è un punto importantissimo… (voleva decidere in pratica domande e risposte! n.d.r.)>>. E ancora il giudice a Dispenza: <<…lei mi sta impedendo di parlare…>>.

La seconda notazione è questa e ve la proponiamo senza commento, a proposito di ‘res pubblica’ e ‘res privata’.

Quando, durante il ‘comizio’ improvvisato dinanzi al tribunale, Dispenza ha inteso esaltare il suo operato (‘prova’ regina, a suo avviso, della valenza criminale delle critiche), ad un certo punto ha rivendicato il merito di avere evitato il dissesto e ha spiegato con quali strumenti ci fosse riuscito: <<… abbiamo evitato il dissesto grazie alle buone amicizie con i vertici dell’Inps…>> (Sic!).