Da Modica un caso di studio: il ‘fenomeno’ Abbate. Per spiegarne il boom elettorale bisogna analizzare i suoi nove anni da sindaco e scoprire le prove del suo talento: le tante manutenzioni (molte finte per celare opere pubbliche e aggirare le norme), ‘autoaffidamenti’ e perfino ‘appalti telefonici’, arbitrio nei pagamenti, bonifici non tracciabili, bilanci fasulli, spesa facile e dissesto dei conti. E c’è una sentenza che attesta: il Comune mosso da interesse privato
Dopo 14 anni Modica è tornata ad eleggere un proprio rappresentante all’Ars, l’Assemblea regionale siciliana, l’equivalente del consiglio regionale che nell’isola, denominato ‘parlamento’, dispensa ai suoi componenti il titolo di ‘deputato’.
L’ultima volta era avvenuto con Riccardo Minardo anche se, almeno su questo punto, il paragone non regge.
Il 25 settembre 2022 è stata proprio Modica, in quanto tale come città, ad eleggere Ignazio Abbate mentre nel caso precedente, il 13 e 14 aprile 2008, si può dire semplicemente che uno dei cinque eletti nel collegio provinciale di Ragusa fosse, di Modica: appunto Minardo, con 5.148 preferenze, nella lista Mpa, il Movimento per l’autonomia di Raffaele Lombardo, aggiudicataria dell’ultimo dei cinque seggi in palio nella provincia di Ragusa sui novanta dell’isola (ora sono quattro su settanta) con 14.155 voti di lista pari all’8,9%.
Abbate ha totalizzato 12.493 preferenze (agli altri tre suoi compagni di strada ne sono andate, sommate tutte insieme, appena 612) su un totale di voti di lista di 13.701, risultando in assoluto il candidato più votato in provincia e l’ottavo in Sicilia. Per i curiosi delle statistiche i primi sette recordmen di preferenze nell’isola sono stati nell’ordine Edy Tamajo (21.700, Forza Italia, Palermo), Luca Sammartino (21.011, ‘Prima l’Italia-Lega’, Catania) Giuseppe Lombardo (14.132, Popolari e autonomisti, Catania), Cateno De Luca (14.080, Sud chiama Nord, Messina) Gaetano Galvagno (13.961, Fratelli d’Italia, Catania) Marco Falcone (13.352, Forza Italia, Catania) Fabio Venezia (12.528, Pd, Enna).
Qualcuno ha detto che grazie ai voti dell’ex sindaco di Modica, la ‘Dc Nuova’ (la ‘vecchia’ è quella di De Gasperi e Moro, ma anche di Andreotti, Lima, Ciancimino e tanti altri) fondata da Salvatore Cuffaro che nelle sue liste ha accolto l’Udc, abbia raggiunto il 5% ma ciò non è vero in quanto a fronte dei 121.691 voti ottenuti in Sicilia, pari al 6,5%, quelli ricevuti con le 12.493 preferenze per Abbate rappresentano poco più dello 0,6%, sicché sarebbe rimasto un abbondante 5,8 a dare semaforo verde alla squadra di Cuffaro.
Abbate e, prima di lui, Minardo sono i soli deputati all’Ars di Modica eletti in questo secolo: l’ultimo prima di loro Giuseppe Drago, a palazzo dei Normanni dal 1991 al 2001, peraltro anche presidente della Regione per dieci mesi nel ’98.
Se la carriera parlamentare di Drago a Roma si concluse, a settembre 2010, con le dimissioni, un attimo prima della decadenza imposta dagli effetti della condanna definitiva per peculato relativa a fatti risalenti alla carica di presidente della Regione (l’uso dei fondi riservati), quella di Minardo all’Ars, dopo tre elezioni fra Camera e Senato dal 1996 al 2008, si consuma nell’arco di una sola legislatura, dal 2008 al 2012, segnata dalla sospensione dalla carica, mentre egli è anche presidente della commissione Affari istituzionali, per oltre cinque mesi in seguito all’arresto avvenuto ad aprile 2011 per associazione per delinquere, truffa, malversazione ed altri reati in relazione all’uso di diversi milioni di fondi europei: è la vicenda Copai che intreccia quella dell’acquisto dei palazzi Pandolfi a Pozzallo e Lanteri a Modica, dell’emittente Radio Onda libera e tante altre con diciotto imputati coinvolti. Minardo a novembre 2017 è assolto dal tribunale.
Tornando alle elezioni del 25 settembre scorso, Abbate giunge a palazzo dei Normanni con l’esperienza di consigliere provinciale dal 2007 al 2012 e di sindaco dal 2013 fino alle dimissioni, a maggio 2022, necessarie per la candidatura.
In comune con Drago, il neo deputato all’Ars ha le pregresse esperienze di sindaco e di consigliere provinciale; con Riccardo Minardo quest’ultima e con entrambi, almeno in parte, una certa militanza politica: in effetti tra le insegne di partito indossate da Minardo, andando a ritroso nel tempo, troviamo Mpa, Fi, Udr, Ccd e Cdu dai quali poi nasce l’Udc in cui però il geometra di Modica – altra analogia, questa volta di titolo di studio e professionale, con Abbate – non ha mai militato.
L’Udc è a lungo la casa di Drago come, dalla prima elezione a sindaco, lo è per Abbate che però ben presto insedia a palazzo San Domenico un potere personale assoluto senza legami con il partito, il cui simbolo infatti scompare dalle liste nell’elezione trionfale della riconferma nel 2018. Da allora, forte anche della quasi coincidenza temporale del voto (a novembre ’17 le regionali, a giugno ’18 le comunali) Abbate mette subito nel mirino un seggio all’Ars e vive ogni suo atto, decisione, provvedimento, dichiarazione e gesto da sindaco come strumento di consolidamento del suo potere e del suo consenso personale, senza mediazioni o legami con partiti, tant’è che fino all’ultimo – quando già si è dimesso da sindaco, appena prima della scadenza del termine – tutti sanno che sarà candidato ma quasi nessuno è in grado di dire con certezza in quale partito.
Per correre in una lista avente concrete chanches di superamento della soglia di sbarramento, Abbate non esita a gettarsi tra le braccia di Salvatore Cuffaro, pregiudicato per reati commessi con l’aggravante mafiosa, anche se l’ex sindaco precisa di rapportarsi, unicamente, con il partito di Lorenzo Cesa e un tempo di Buttiglione, Casini e Follini, mentre una figura storica dell’Udc iblea come Giuseppe Lavima, vice segretario regionale e segretario provinciale in quel momento in carica, sbatte la porta per difendere la dignità di una più che ventennale militanza dinanzi ad un partito che si inchina ad un candidato in cerca solo di un taxi per entrare all’Ars, dopo averne inseguito uno qualunque e dovunque. Per la cronaca Cesa, segretario nazionale Udc in carica da diciassette anni, a differenza di Cuffaro, tecnicamente non è pregiudicato ma è stato coinvolto in tante inchieste di tangenti: in una di queste è condannato per concussione in primo grado e salvato prima da una fantasiosa estensione dei reati ministeriali che allunga i tempi, quindi dalla prescrizione, per una mazzetta da 600 milioni di lire che egli ammise di avere ricevuto, destinata – precisò – all’allora ministro Giovanni Prandini.
Questa Udc, che alla fine della scorsa legislatura dell’Assemblea regionale siciliana precipita all’1%, è anche quella il cui assessore regionale uscente Domenico Turano alla vigilia del voto lascia il suo partito, in direzione Lega, per superare lo sbarramento e sfuggire allo stop imposto da Cuffaro – ‘padre padrone’ e geloso custode del veicolo elettorale appositamente allestito – agli uscenti e conservare così lo scranno: operazione doppiamente riuscita al deputato di Alcamo, per un seggio all’Ars e per un posto in giunta.
Questa stessa Udc – contro cui lancia i suoi strali Lavima – è anche quella il cui segretario regionale Decio Terrana contratta e ottiene la candidatura, nel cosiddetto ‘listino’ del presidente, della moglie Serafina Marchetta, infatti neo deputata all’Ars, addirittura eletta dai suoi colleghi di maggioranza nell’ufficio di presidenza, nonostante raccolga solo 25 preferenze nel collegio provinciale di Trapani in cui si candida, essendo la presenza in una lista provinciale incombenza imposta ai ‘nominati’ al seguito del presidente eletto.
E visto che Abbate sale nel taxi di Cuffaro pur dicendo di indossare le insegne dell’Udc in effetti dismesse subito dopo la prima elezione a sindaco nel 2013, a proposito di analogie con Drago, l’ex sottosegretario agli Esteri e alla Difesa nel 2010 abbandona l’Udc, ‘colpevole’, in coerenza con il mandato elettorale del 2008, di volere restare all’opposizione del governo Berlusconi, aderisce al Pid (Popolari Italia Domani), il partito più cuffariano che esista, visto che lo fonda Saverio Romano, delfino dell’ex presidente della Regione in quel momento senatore prossimo alle dimissioni che darà a gennaio 2011 subito dopo la condanna della Corte di Cassazione e due ore prima di presentarsi in carcere per scontare la pena. Per la cronaca Cuffaro a settembre 2010 non lascia formalmente il gruppo Udc in Senato ma tutti i suoi seguaci fondano il Pid che, tra gli altri, accoglie Drago il quale, espiata nel frattempo la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, nelle sue liste si candiderà invano all’Ars a ottobre 2012.
Ma è con Riccardo Minardo, cui succede dopo dieci anni come deputato di Modica, che Abbate sembra presentare le maggiori somiglianze. Infatti ne assume a palazzo dei Normanni la stessa identica carica di presidente della Commissione Affari istituzionali che peraltro l’ex senatore riuscì a congelare anche durante la sospensione, da aprile a settembre 2011, dovuta alla detenzione cautelare, per poi riprenderla appena, rimesso in libertà, può rimettere piede nel ‘più antico parlamento’ del mondo.
In effetti Abbate aspirava alla carica di assessore ma Cuffaro – dominus assoluto della lista e del partito che ha permesso l’elezione dell’ex sindaco di Modica – gli dice no, forse infastidito da certe dichiarazioni elettorali in cui Abbate, arrampicandosi sugli specchi di una valenza meramente tecnica dell’accordo Udc-Dc, e cercando, a modo suo, di prenderne le distanze, urta la suscettibilità dell’ex presidente pregiudicato. In ogni caso è sempre a Cuffaro che Abbate deve la sua elezione a presidente della Commissione Affari istituzionali, carica che rientra tra quelle che la coalizione di maggioranza assegna, in quota parte rispetto al peso elettorale, ai suoi cinque partiti, FdI (15,1%, eletti 13) Fi (14,7%, eletti 13), Lega (6,8%, eletti 5), Popolari e autonomisti (6,8%, eletti 4), Dc (6,5%, eletti 5), ciascuno dei quali sceglie poi al suo interno come attribuirle. E nella Dc Nuova, partito che totalizza oltre il 13% del bottino di maggioranza e può rivendicare una poltrona su sette, è Cuffaro l’unico decisore il quale una poltrona più ambìta di quella basic da deputato semplice riesce a darla a tutti: tra i cinque eletti a Sala d’Ercole, due sono assessori (Nunzia Albano e Andrea Messina), uno è presidente del gruppo parlamentare (Carmelo Pace, Abbate ne è il vice), una è componente dell’Ufficio di presidenza (Serafina Marchetta), uno è presidente di commissione (Abbate): tutti posti con autisti, segretari personali, benefit vari e indennità aggiuntive che non spettano ai ‘peoni’ d’aula. Ciò grazie alla Dc Nuova di Cuffaro che ha raccolto 121.691 voti di lista, pari al 6,5%, non certo grazie all’Udc ridottasi miseramente alla poltrona-Marchetta, nè ai 12.493 voti di Abbate, utili solo alla sua elezione.
Vedremo quindi come, nella legislatura appena cominciata, Abbate tratterà gli ‘affari istituzionali’ nella veste di presidente della Commissione legislativa permanente che vi è preposta. Nell’attesa di scoprire come li maneggerà, qualche spunto utile potremo cercarlo nei tre lustri di impegno politico precedente e, soprattutto, nei nove anni da sindaco i cui atti a dire il vero raccontano molto di ‘affari’, ma troppo poco istituzionali.
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Ignazio Abbate, geometra diplomatosi nel 1989 a Modica, residente nella frazione rurale di Frigintini (appartenuta a Noto fino al 1952 quando l’Ars approva un’apposita legge accogliendo la proposta del deputato Dc di Modica Fedele Romano, dopo una petizione ed un referendum tra i residenti), imprenditore agricolo, comincia l’impegno politico nel Pds – poi Ds, divenendone il segretario cittadino – parallelamente all’attivismo nella Cia (Confederazione italiana agricoltori) di cui nel 2007 è presidente della sezione comunale quando si candida al consiglio provinciale, nelle liste dei Democratici di sinistra (a sostegno della corsa a presidente di Giuseppe Barone, capogruppo Ds uscente al Comune di Modica) venendo eletto, unico nel collegio di Modica, con 1.833 preferenze.
Il 2007 è anche l’anno in cui nasce il Pd, dalla fusione di Ds, Margherita ed altre formazioni politiche. L’allora trentasettenne Abbate al Pd preferisce una scelta più di sinistra ed entra, appunto, in ‘Sinistra democratica’ che però l’anno dopo nelle elezioni politiche, dentro la lista ‘Arcobaleno’, si schianta sul muro dello sbarramento e successivamente confluisce, e sparisce, in Sel. Il consigliere provinciale Abbate si sposta, ma sempre più a sinistra, per esempio sulle posizioni dei ‘Comunisti italiani’, il partito fondato da Armando Cossutta, in quel momento guidato da Oliviero Diliberto, e morto nel 2014 tra diaspore e cambi di nome.
Dopo l’esperienza del consiglio provinciale, cancellato dalla scena istituzionale a maggio 2012 per fare posto alla lunga stagione, tuttora in corso, di commissariamento dell’ente intermedio, Abbate si prepara alla conquista di palazzo San Domenico dove il sindaco uscente Antonello Buscema, Pd, ha concluso il suo mandato e non si ricandida. Per la cronaca, Buscema era succeduto a Piero Torchi dell’Udc, campione di consensi da primo cittadino nel 2002 e nel 2007 (sempre al primo turno con il 52,1 e 65,2%) ma bocciato nella corsa all’Ars nel 2008, finito terzo con 5.759 preferenze e soverchiato da Orazio Ragusa che ne raccoglie 12.286.
Le insegne dell’aspirante sindaco Abbate nel 2013 sono quelle dell’Udc (dove plana all’improvviso, direttamente da Sinistra democratica e dai Comunisti italiani) e delle immancabili liste civiche: raccoglie il 32,4%, va al ballottaggio con il democratico Giovanni Giurdanella e, al secondo turno, s’impone con il 63,1%.
Da quel momento Abbate è sindaco ‘fai da te’, senza partiti e senza identità politica, si specchia solo nel suo profilo personale, sempre più padrone della città, deciso a fare della propria poltrona la rampa di lancio verso l’Ars: obiettivo centrato. Merito di Cuffaro che gli offre un veicolo idoneo dopo che l’aspirante deputato ha bussato a molte porte. Merito ovviamente suo che, con quelle 12.493 preferenze (su 13.701 voti di lista), praticamente si costruisce il seggio dentro il Comune e nella città che gli attribuisce 9.932 consensi personali e tanti risultano sprecati perchè in molti casi il suo nome viene scritto accanto al simbolo sbagliato, Pd e altri. Quello giusto, l’unico che conta per votare Abbate, è il partito di Cuffaro.
Con 1.722 voti di lista in meno, lo scranno sarebbe toccato a Paolo Monaca di ‘De Luca sindaco di Sicilia – Sud chiama Nord’, compagine fermatasi infatti a 11.979.
Il dato dei voti di lista e di preferenza ottenuti da Nuova Dc e Abbate è impressionante quanto al rapporto tra i due numeri nell’intero collegio provinciale e lo è, altresì, in assoluto, come dato comunale: nessuno, prima, come lui a Modica, per l’Ars cui si viene eletti attraverso le preferenze, neanche tra le personalità più carismatiche e prestigiose, o di maggiore successo politico ed elettorale o, ancora, di più forte identificazione con la città.
I 12.493 consensi ricevuti in provincia rappresentano oltre il 91% di quelli attribuiti alla lista come tale. Se poi escludiamo quelli senza preferenze espresse, siamo ad oltre il 95%: in pratica gli altri tre candidati in lizza raccolgono, tutti insieme, meno del 5% del totale delle preferenze, esattamente 612, del tutto irrilevanti anche ai fini dell’attribuzione del seggio, frutto di 1.722 voti marginali decisivi. Insomma nell’efficiente veicolo messo in strada da Cuffaro, comunque capace, da solo, di condurre i passeggeri a sala d’Ercole, il proprio posto Abbate se lo prepara e se lo confeziona da solo. Ed è la città a spingerlo, come mai è accaduto prima.
A Modica il 25 settembre vanno alle urne 24.966 aventi diritto su 47.538, il 52,5%, una percentuale certamente molto bassa in assoluto ma ben più alta della media regionale (46,8) e provinciale (44,3). Quasi duemila, 1.920 per l’esattezza, si esprimono solo per il candidato a presidente della Regione. Sono quindi 23.046 gli elettori e le elettrici che a Modica scelgono anche una lista di candidati all’Ars. Però 938 di loro imbucano nell’urna una scheda risultata nulla e in 459 la lasciano bianca: in totale 1.397 voti non validi.
Pertanto i voti espressi nella scheda azzurra ed attribuiti a liste e candidati per l’Assemblea regionale siciliana, sottratte otto schede contestate, sono 21.641.
Quindi, tirando le somme, ciascun elettore ed elettrice ha potuto scegliere tra 14 liste e, al loro interno, tra 54 candidati. Ad una delle 14 liste, la Dc di Cuffaro, va oltre il 47,3% mentre le altre 13, tra cui tutti i maggiori partiti nazionali e regionali, si spartiscono il restante 52,6%.
Tale lista del politico pregiudicato, una volta noto come ‘Totò vasa-vasa’, raccoglie un bottino pari a cinque volte quello di ciascuno dei primi tre partiti italiani e siciliani (Fratelli d’Italia, Pd e M5), nove volte quello dei ‘Cento Passi’ di Claudio Fava, oltre dieci volte quello di Fi e Lega.
Se poi limitiamo l’analisi comparativa ai soli voti contenenti l’espressione di preferenze, il dato è ancora più schiacciante.
Il partito di Cuffaro che offre un seggio ad Abbate, se conteggiamo solo i voti di lista contenenti una preferenza, a Modica ne ottiene un numero ben nove volte superiore a quello di Fratelli d’Italia, undici volte a quello del Pd e della Lega, 15 volte a quello dei Cento Passi, 18 volte a quello del M5S, oltre 50 volte a quello di Forza Italia e della lista ‘De Luca sindaco di Sicilia’.
Insomma quasi un modicano su due (tra quanti scelgono una lista all’Ars) vota per quella di Cuffaro su cui viaggia Abbate e più di due su tre (tra quanti esprimano anche la preferenza ad uno dei 54 candidati) scelgono l’ex sindaco.
Un fatto senza precedenti, se proviamo a scorrere l’album dei politici più votati, in ogni partito, nella storia di Modica. E ciò anche se misuriamo il dato, per esempio, con le 29.259 preferenze, su 60.203 voti di lista, ottenute da Nino Avola, Dc, nel collegio provinciale alla sua seconda elezione nel ’63 (quando in Sicilia votò oltre l’81% degli aventi diritto) o le 17.598 sempre nell’intera provincia, su 24.353 di lista, di Drago, Ccd, nel ’96 o, ancora, le 16.449, su 35.323 voti di lista, nel ’91 quando il futuro presidente della Regione correva per il Psi.
Un autentico fenomeno quello di Abbate, che va analizzato, studiato, spiegato, compreso, indagato.
E l’oggetto di studio – nonché il campo d’indagine – proprio per la sua biografia cui abbiamo accennato, non può che essere il suo operato da sindaco.
In cosa, Abbate è stato un primo cittadino eccellente, straordinario, eccezionale, così apprezzato da una parte tanto ampia della città che l’ha votato?
Ciascuno ovviamente può dare la risposta che crede e, così liberamente esprimendo la propria opinione, è possibile che fornisca un contributo utile allo svelamento dell’arcano.
Ma qui a noi tocca utilizzare i criteri prodotti dal pensiero politico dei maggiori scienziati e studiosi della materia, dagli analisti, dagli esperti, nonché dal complesso delle pratiche del buon amministrare la cosa pubblica in conformità alle norme e dagli indicatori maggiormente idonei a stimare il prodotto dell’azione amministrativa di un ente pubblico in termini di interesse generale e di benefici alla comunità dei soggetti cui, anche solo potenzialmente, tale prodotto è destinato.
Se ci poniamo in questo solco il risultato è immediato, netto, evidente, tranciante: e può essere descritto come segue.
Quella di Abbate, nei nove anni in cui si esplicata, è stata una pessima sindacatura: disastrosa, fallimentare, pericolosa, dannosa per la comunità e il suo futuro; utile e positiva solo – ma qui siamo totalmente fuori dai canoni classici dell’interesse generale – per cerchie di beneficati diretti, clientele piò o meno pletoriche con tutte le estensioni prodotte da un fiorente ‘indotto’ che ha funzionato come irretimento tentacolare e, alla fine, strumento di confisca della dignità civica e della libertà elettorale, più per dinamiche di volontario, non di rado fervente, cedimento collusivo che di costrizione concussiva, lungo una massa di fili tenuti e dipanati da fedelissimi ben remunerati e pubblici dipendenti promossi a ranghi superiori con licenza di affaristi e faccendieri purchè inclini, senza fiatare, a stravolgere i fondamenti e i vincoli basilari della res pubblica e a farne cosa privata, oggetto di scambio e, alla fine, merce elettorale.
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Qui non c’è spazio per calare analiticamente ognuno dei buoni indicatori classici appena richiamati, nel prodotto amministrativo della sindacatura Abbate nel quale essi appaiono violati, negati, stravolti, piegati all’unica ratio del potere personale ed elettorale del solo dante causa: si avrà tempo e modo di farlo per dossier tematici. Basterebbe solo considerare i bilanci del periodo, il piano di riequilibrio ereditato dall’amministrazione-Buscema e il dato attuale, con i vari esercizi, le poste in entrata e in uscita, la gestione opaca, disinvolta e irresponsabile ispirata all’arbitrio quale linea guida dirimente, per avere il quadro, netto e chiaro, di un dissesto e di una bancarotta!
Se il Comune fosse un’impresa – come in effetti in un certo senso è se, per intenderci, poniamo che ‘proprietari’ ne siano, ciascuno in quota parte, tutti i cittadini-contribuenti – i libri sarebbero in tribunale dove i soci avrebbero già promosso azione di responsabilità, la bancarotta acclarata, il suo gestore alla sbarra.
Uscendo dalla similitudine, se nella realtà è così – ed è cosi: dati, fatti, atti, documenti e numeri alla mano – come è stato possibile che questa ‘malagestio’ sia proseguita, ininterrotta, per nove anni, anzi sospinta e incoraggiata fino ad ogni estremità dallo schiacciante successo elettorale di ‘mid term’, se così possiamo chiamare il voto del 2018 per il secondo mandato?
Qui sta la materia di studio appena introdotta dal cenno al sistema di irretimento, con i suoi fili, le sue dinamiche sulla scena, i suoi protagonisti, i suoi attori e le sue comparse.
Da sciogliere c’è un nodo culturale, prima che elettorale; sociale prima che politico; etico prima che amministrativo. E non riguarda la personalità, né la condotta di Abbate, ma l’intera comunità, nonché la coscienza e l’agire di ciascuno dei suoi membri proprio come soggetti ‘comunitari’, ovvero titolari, ciascuno in quota parte, del bene comune che è quello di tutti e, nello spazio cittadino, di ciascuno.
Chi ha ricevuto e accettato i benefici di quella più che discutibile condotta amministrativa di riduzione della res pubblica a cosa privata, ha inflitto un danno ingiusto alle persone che non lo hanno fatto e, magari, hanno tentato di combattere e criticato tale sistema, venendo per ciò penalizzate e discriminate, a volte perfino reiteratamente perseguitate fin nella sfera dei rapporti di lavoro.
Non è, come ben si vede, una questione di pluralismo di idee e comportamenti ugualmente leciti, o di legittimo confronto tra diversi modi di operare. E’ una questione diversa che contrappone verità a menzogna, giustizia a sopruso, diritto a favore, dovere ad esenzione complice, linearità a imbroglio, trasparenza a sotterfugio, imparzialità ad arbitrio, correttezza ad abuso, uguaglianza a privilegio, interesse generale a profitto privato o personale.
Attingendo ad una fortunata e provocatoria citazione (che potremmo tradurre ‘Non temo … l’Abbate in se, ma … l’Abbate in me), il problema non è dato da questi metodi di sindaco, ma da coloro, purtroppo non pochi, che accettandoli e fruendone a proprio, anche indebito, vantaggio, ne hanno fatto un sistema opprimente ed oppressivo, pervasivo come una metastasi che alla fine ha ridotto all’impotenza gli anticorpi i quali, per quanto vivi e forti, sono risultati dispersi, disaggregati, rinchiusi in una ridotta di perdenti e alla fine, frazionati in piccoli rivoli, sono stati sonoramente schiacciati. E ciò vale per migliaia di cittadini dotati di coscienza civile ed etica in misura tale da doversi indignare e ribellarsi, vale per tanti gruppi sociali ridotti al silenzio, vale per le minoranze politiche apparse spesso deboli e silenti, vale per la stampa totalmente distratta, assente, o collusa, inglobata e cooptata nel sistema-Abbate, vale anche per l’attivismo civico e volontario di uomini e donne libere nella comunicazione social.
Il caso della voce, molto seguita su fb, ‘Ignazio indica cose’ (nome dovuto probabilmente all’immagine abituale, nello scenario di una delle tante manutenzioni a lui care, del sindaco in campo, appunto ad ‘indicare’, nelle vesti di tuttofare: geometra, capocantiere, direttore dei lavori, progettista, imprenditore) è illuminante e, al tempo stesso, inquietante ma qui, per motivi di spazio per il momento sorvoliamo, confidando di poterlo fare al più presto.
Tornando al dato generale, in effetti, guardando al prodotto amministrativo, una dote positiva la sindacatura Abbate l’ha dimostrata: l’iperattività in tema, proprio, di manutenzioni. Una miriade di interventi, continua, incessante, spesso di piccolo e piccolissimo cabotaggio, ma di grande, enorme percezione da parte di singoli beneficati e delle loro cerchie, e comunque utile ad una certa narrazione di attenzione, efficienza, cura della città.
Ma questo elemento ne chiama un altro: le opere pubbliche travestite da manutenzione. Sì, un capolavoro di … ingegneria documentale, escogitata per aggirare norme e procedure, vincoli e responsabilità, allo scopo di massimizzare la libertà di fare a piacimento, secondo esigenze e interessi estranei e diversi da quelli postulati dalle norme quando ad essere maneggiata è la cosa pubblica, con soldi pubblici.
E così a fronte delle manutenzioni vere, ci sono quelle finte, le une e le altre specialità di Abbate riuscito nell’impresa di fare apparire, nelle delibere e negli atti dove di certo non basta la sua firma (dato ancora più allarmante e inquietante) vere e proprie opere pubbliche come, appunto, interventi di manutenzione. Il tutto sia per le une, di grande effetto anche elettorale, che per le altre in tal modo possibili più facilmente e più velocemente, con potere assoluto di scelta e mani libere.
La casistica – al vaglio di investigatori al lavoro su centinaia di faldoni acquisiti a palazzo San Domenico – è molto ampia e pare presenti suggestive singolarità.
Una di queste, senza pretesa di completezza, è che talvolta di un determinato intervento prima risulti compiuto il pagamento, poi l’opera, infine – solo dopo – l’affidamento! Per comprenderne l’enormità e tutto ciò che può esservi dentro, non c’è certo bisogno di consultare i manuali di diritto amministrativo!
E poi bonifici eseguiti a piacimento e in totale discrezionalità (come può fare un privato cittadino, disponendo del proprio conto personale), in violazione di criteri oggettivi, vincoli, cronologia, sequenza di adempimenti relativi. In alcuni casi, di bonifici eseguiti tramite personal computer esterni alla rete in dotazione al Comune (dotazione che ne imputa anche la titolarità, il potere di disposizione e la responsabilità) pare risulti elusa la tracciabilità.
Se possiamo uscire dai canoni del linguaggio giuridico, alcuni atti somigliano ad ‘autoaffidamenti’ o ‘autoappalti’ nel senso che i destinatari o beneficiari sono, personalmente o come parte di una compagine sociale, amministratori e/o dipendenti comunali.
In altri potremmo parlare di affidamenti o appalti ‘telefonici’, nel senso che una telefonata, divenuta titolo amministrativo di legittimazione, dà il via all’atto, il che non si può certo dire conforme alle prescrizioni del diritto in materia o ai testi unici in tema di enti locali, affidamenti, spesa pubblica, selezione dei contraenti migliori per la pubblica amministrazione e così via.
Un totale arbitrio di provvedimenti e di spesa si rileva, tra gli altri, in relazione agli interventi dovuti agli effetti dell’alluvione di settembre e ottobre 2021.
Sotto la lente d’ingrandimento anche i contributi erogati alle imprese in seguito alla pandemia, in molti casi al di fuori delle previsioni di legge e con assoluta violazione o distorsione dei criteri fissati dalle norme e dei settori tassativamente elencati all’interno della platea dei beneficiari.
C’è poi la gara, con relativa proposta di transazione, per l’aggiudicazione della gestione delle aree di sosta a pagamento (‘strisce blu’): in questo articolo non c’è spazio per entrare nel merito, come nel caso di tanti altri dossier appena o neanche accennati, ma il caso, insieme ad altri, è emblematico ed ha suscitato una certa attenzione tra gli investigatori.
Una voce corrente – non sappiamo se sia una leggenda metropolitana o fatto accertato o accertabile – vuole poi nella cerchia più vicina in Comune all’allora sindaco Abbate (presente e attivo negli uffici anche da ex, per quanto privo di ogni titolo e potere legittimi) pare si muova un certo ‘Mr 5%’, così denominato per una certa costante numerica nel prospettare atti, interventi o soluzioni a determinati problemi. Ma è solo una voce che probabilmente gli operatori di polizia giudiziaria, ormai quasi di casa in certi uffici comunali, stanno vagliando in relazione all’analisi di documenti, delibere, determinazioni, atti di spesa.
C’è poi l’indebitamento-monstre generato da nove anni di gestione che Abbate ha totalmente disallineato dal solco tracciato dal piano di riequilibrio ricevuto in eredità dall’amministrazione Buscema nel 2013 portando l’ente alle soglie della bancarotta e in continuo conflitto con la magistratura contabile.
Peraltro la Corte dei Conti ha denunciato il Comune alla magistratura penale per falsità nei bilanci e nella gestione contabile. Nelle sue relazioni è impressionante il quadro complessivo di opacità, anomalie, discrezione fino all’arbitrio, incongruenze che per esempio impedisce ancora, a fine 2022, l’approvazione del conto consuntivo del 2021. Anche su questo tema può essere utile uno specifico approfondimento.
Non potendo certo trattare qui ogni caso, vicenda o procedimento amministrativo dell’intera mole documentale sotto osservazione, in conclusione un elemento aiuta a capire.
Che il Comune di Modica sotto la gestione di Abbate abbia perseguito interessi privati – anziché quelli pubblici secondo il triplice obbligo di legalità, buon andamento e imparzialità che grava sulla pubblica amministrazione – è il Tar di Catania a sancirlo in una sentenza. E’ quella emessa l’11 gennaio scorso con cui i giudici amministrativi annullano la delibera n. 61 del consiglio comunale di Modica del 12.11.2020 e quella della giunta comunale n. 208 del 29.9.2020 riguardanti una variante al piano regolatore generale.
I giudici le annullano perchè con queste due delibere il Comune sana dei manufatti abusivi realizzati da privati che non potevano essere sanati in quanto in contrasto con il piano regolatore generale e ricadenti in zona agricola. Una palese illegalità ed un abuso evidente. Eppure non solo la giunta e la maggioranza consiliare, agendo come claque del sindaco, si piegano ad ogni suo volere, ma addirittura, quando altri cittadini lesi da tali abusi si rivolgono alla magistratura, il Comune persevera, si costituisce in giudizio, resiste e viene condannato a pagare le spese: il sindaco – dominus assoluto di ogni atto per nove anni e anche oltre nella misura in cui riesca a manovrare, anche dopo la sua decadenza, la maggioranza consiliare che l’ha sostenuto e gran parte della macchina burocratica da lui modellata e a lui asservita – mette le mani in tasca ai contribuenti gravandoli del costo di un’operazione chiaramente illegittima, rispondente ad un mero interesse privato contro quello pubblico, e delle successive spese di giudizio sostenute per far valere quella pretesa.
I fatti risalgono alla prima sindacatura-Abbate e poi si sviluppano durante la seconda. E’ del 22 luglio 2016 la domanda di sanatoria presentata al Comune, mentre il provvedimento concessorio finale è adottato dal Suap il 3 luglio 2020. Quindi il ricorso e la sentenza nella quale il Tar, in conclusione, attesta che sulla base della normativa e degli strumenti urbanistici all’epoca vigenti <<nel mese di luglio 2016 le domande di rilascio di permesso di costruire contrastanti col piano adottato non avrebbero potuto essere esaminate, né ovviamente esitate favorevolmente. La stessa conclusione deve essere tratta anche per le domande di sanatoria ex art. 36, che presuppongono una valutazione di compatibilità del progetto col piano adottato: se l’amministrazione non può rilasciare un permesso di costruire per un progetto che contrasti col PRG adottato, allo stesso modo non può dichiarare che quell’opera edificata in via di fatto avrebbe potuto essere realizzata se fosse stato richiesto per tempo il titolo edilizio>>. In definitiva, conclude il Tar, il titolo in sanatoria non avrebbe potuto essere rilasciato.
E anche questo caso è solo uno dei tanti (e chiunque può segnalare ciò di cui sia a conoscenza) a raccontare di una gestione del Comune come ‘cosa propria’.
Il che rende sempre più difficile rispondere alle domande che ci siamo posti: come è stato possibile tutto ciò nella città? Come è stato possibile che tutto ciò nella città guadagnasse un consenso ed un sostegno amplissimi e diffusi (rielezione nel 2018 al primo turno con il 64,8% e plebiscito cittadino nelle ultime regionali?).
Le domande sono semplici, chiare, necessarie, obbligate.
Le risposte, invece, terribilmente difficili.