
Di Natale non diffamò la commissione straordinaria del Comune di Vittoria, ma fece solo corretta informazione. La sentenza del Tribunale di Ragusa dopo un processo di sei anni scaturito dalla querela firmata da Dispenza, l’ex poliziotto-prefetto amico e cliente di Montante, l’ormai pregiudicato a tutti noto per il suo sistema. “Il fatto non costituisce reato”: assolti anche Francesco Aiello e Cesare Campailla, sindaco e assessore in carica, allora semplici cittadini incriminati in quanto lettori per avere condiviso su Fb un commento editoriale del direttore de La Prima Tv. J’accuse in udienza del giornalista: “Dispenza si rivela calunniatore reo confesso, per me è atto di calunnia anche l’esercizio dell’azione penale perchè il processo mai e poi mai sarebbe dovuto cominciare, in quanto non può certo essere reato la frase ‘a Vittoria c’è una cappa di piombo che impedisce l’esercizio delle funzioni democratiche’: forse in Corea del Nord, non nella Repubblica italiana”.
Nessuna diffamazione ma semplice, legittimo, esercizio del diritto di critica.
Il Tribunale di Ragusa, dopo un processo durato oltre cinque anni e mezzo e scaturito da una querela presentata dai membri della commissione straordinaria che all’epoca amministrava il Comune di Vittoria (Filippo Dispenza, Giovanna Termini, Gaetano D’Erba), ha assolto il giornalista Angelo Di Natale, direttore responsabile de La Prima Tv e autore di un commento editoriale oggetto del giudizio, dall’accusa di diffamazione a mezzo stampa <<perché il fatto non costituisce reato>>.
Il commento incriminato era quello trasmesso da La Prima Tv, nel programma d’approfondimento dei principali fatti del giorno subito dopo la prima edizione del Tg, il primo agosto 2019, lo stesso giorno in cui la commissione aveva tenuto la conferenza stampa per fare il bilancio del primo anno d’attività.
Di Natale era accusato di avere, in sede di un ampio commento, pronunciato la frase: <<a Vittoria c’è una cappa di piombo che impedisce l’esercizio minimale delle funzioni democratiche>>.
Quel contenuto giornalistico era stato ‘condiviso’ sui social da vari lettori tra i quali due politici locali che in quel periodo erano semplici cittadini, l’attuale sindaco Francesco Aiello e l’assessore in carica Cesare Campailla.
La querela, presentata dai tre commissari prefettizi in nome e per conto del Comune, quindi a spese dell’ente, fu estesa anche a Campailla ed Aiello i quali sono stati citati a giudizio nello stesso procedimento insieme all’unico autore, Di Natale appunto, del contenuto giornalistico incriminato.
Il Tribunale di Ragusa, in composizione monocratica (Giudice Gemma Occhipinti) ha pubblicato oggi la sentenza di assoluzione di tutti e tre gli imputati emessa all’esito dell’ultima udienza tenutasi ieri nella quale uno spazio rilevante ha avuto l’intervento del giornalista, riassunto di seguito.
Il pubblico ministero Concetta Vindigni aveva chiesto l’assoluzione di Di Natale e la condanna di Aiello e Campailla: analoga conclusione per la difesa delle parti civili Dispenza, Termini e D’Erba rappresentata dall’avvocato Donato Grande.
Richiesta l’assoluzione dei tre imputati da parte delle rispettive difese: Giuseppe Russotto per Aiello, Giuseppe Seminara per Campailla, Giovanni Cassarino per Di Natale.
Russotto richiamando le richieste del P.m. ha parlato di ‘processo politico’. Seminara ha analizzato le parole ’incriminate’ scritte da Campailla a corredo della condivisione su Facebook del commento editoriale di Di Natale trasmesso da La Prima Tv, sostenendone la loro piena legittimità in quanto rientranti nel diritto di critica politica.
L’avvocato Cassarino, richiamando i principi vigenti e facendo riferimento alla normativa e alla giurisprudenza costituzionale ed europea, ha motivato la necessità dell’assoluzione di Di Natale perché il ‘fatto da lui commesso’ è normale esercizio del diritto di critica che non trova alcuna limitazione nella circostanza che ad amministrare il Comune in quel periodo fosse un organo straordinario in luogo di quello ordinario frutto di elezioni democratiche. <<E’ politico – ha spiegato Cassarino – tutto ciò che consiste nel servizio alla Polis, nella cura dei suoi interessi, nella gestione degli organismi pubblici preposti sicchè ogni atto, anche della commissione straordinaria, infatti assunto con i poteri degli organi ordinari – di volta in volta il sindaco, la giunta o il consiglio – è soggetto a tutte le norme di trasparenza e a tutte le critiche nelle quali si estrinseca la partecipazione democratica di ciascun individuo e dell’intera comunità>>. Il legale ha poi ripercorso l’intera vicenda, soffermandosi sul fatto, la conferenza stampa della triade prefettizia dell’1 agosto 2019, da cui è scaturito il commento editoriale di Di Natale, quindi la frase oggetto del processo. Cassarino, richiamando l’istruttoria dibattimentale, ha affermato come tutti i testi presenti a quella conferenza stampa (i giornalisti Gianni Di Gennaro e Francesca Cabibbo, nonché gli inviati de La Prima Tv, la telecineoperatrice Margherita Lanza e la giornalista Carmela Minardo) avessero confermato la verità dei fatti riferiti dal Tg dell’emittente e dai quali traeva origine il commento del suo direttore: “… a Viittoria c’è una cappa di piombo che impedisce l’esercizio minimale delle funzioni democratiche…”. Commento che in ogni caso – ha osservato il difensore – mai e poi mai, a prescindere da ogni accadimento, avrebbe potuto essere qualificato come diffamatorio perché sempre e comunque rientrante nei confini di un diritto di critica che nel nostro ordinamento, come in ogni stato democratico, non può essere compresso>>.
J’ accuse in udienza del giornalista Di Natale contro l’aggressione alla libertà di stampa e contro l’incriminazione dei lettori in quanto tali: caso unico in Italia. Dispenza querelò La Prima Tv per tentare di metterle il bavaglio e nascondere i suoi atti illegittimi poi smascherati e annullati da vari organi giurisdizionali
Nelle sue dichiarazioni Di Natale – che è direttore responsabile di In Sicilia Report, la cui redazione in questo articolo riferisce del processo attingendo solo a fonti documentali – ha affrontato vari temi, i più importanti dei quali possono essere così riassunti in sette punti.
1) Questo processo mai e poi mai avrebbe dovuto essere avviato per totale inesistenza dell’ipotesi di reato, inesistenza macroscopia e visibile fin dalla presentazione della querela.
2) La querela voluta dal ‘dominus’ di quella commissione, l’ex poliziotto-prefetto Filippo Dispenza, era visibilmente infondata, strumentale, intimidatoria nei confronti della libera stampa e in particolare di una testata indipendente ‘colpevole’ di non essere asservita ai suoi affari e alle illiceità degli atti da lui compiuti: una querela aggressiva verso la libertà di stampa e il diritto di cronaca e di critica che ne discende, che non sono privilegio nè prerogativa dei giornalisti ma strumento di democrazia a beneficio dell’intera collettività. Dispenza peraltro fece redigere all’Avvocatura del Comune, a spese dei cittadini-contribuenti, un centinaio di querele. La stima è approssimativa perchè l’ente non ha mai voluto compiere un’operazione-verità: il dato minimo certo è di 76 querele presentate dalla triade prefettizzia comandata da Dispenza contro giornalisti e contro tanti cittadini ‘colpevoli’ solo di segnalare un problema o un disservizio.
3) Dispenza, quale teste, ha reso falsa testimonianza nel processo (Di Natale ha ricostruito in dettaglio i vari passaggi) e inoltre in una dichiarazione allo stesso Tribunale di Ragusa il querelante di fatto ha confessato di <<avere commesso – ha scandito Di Natale – il reato di calunnia presentando una querela pur sapendo che non era stata commessa ai suoi danni alcuna diffamazione>>. La frase – pronunciata da Dispenza dinanzi al Tribunale durante un esame testimoniale in uno dei tanti processi per diffamazione originati dalle sue querele e richiamata da Di Natale nell’udienza di ieri – è la seguente: <<io non sono un politico e non accetto critiche>>. Per il giornalista questa è la prova, fornita dallo stesso Dispenza, che egli intese agire contro l’esercizio di un diritto, quello di critica appunto, e non contro la commissione di un delitto che egli sapeva benissimo non essere mai avvenuta, commettendo così calunnia che è un reato contro l’amministrazione della giustizia.
4) Definito da Di Natale ‘amico e cliente’ del noto Antonio Calogero Montante poi pregiudicato e pluri-imputato, Dispenza ha più volte violato la legge nella predisposizione e nell’imposizione di atti amministrativi del Comune di Vittoria. Fu per tentare, maldestramente, di mettere il bavaglio a La Prima Tv e al suo direttore Di Natale e ad impedire un’informazione veritiera e la doverosa critica in merito a tali atti, che Dispenza presentò quella querela, così come tante altre. In proposito Di Natale ha compiuto una ricostruzione puntuale di tali atti della triade Dispenza-Termini-D’Erba e dei pronunciamenti giurisdizionali successivi che ne hanno sancito l’illegittimità e la nullità, con condanna del Comune, quindi dei cittadini contribuenti, alle spese.
5) La discriminazione illegittimamente operata da Filippo Dispenza nei confronti de La Prima Tv nella conferenza stampa dell’1 agosto 2019, il caso oggetto del commento ‘incriminato’, è un atto di interesse privato perchè posto in violazione del dovere di imparzialità della pubblica amministrazione e per mero appagamento della pulsione personale privata di Dispenza intollerante all’attività di libera informazione da parte della testata giornalistica, ‘colpevole’ di riferire la verità sugli atti illegittimi della commissione straordinaria voluti e fatti approvare da Dispenza. <<Il rifiuto dell’intervista a La Prima Tv – ha detto Di Natale – non era un atto contro una testata o alcuni giornalisti ma era il furto di verità, di informazione e di critica commesso, peraltro in modo fraudolento come l’istruttoria dibattimentale ha acclarato, privando la comunità e la pubblica opinione delle domande che La Prima Tv avrebbe voluto rivolgere, nell’interesse dei cittadini ad averne risposte, quali che fossero, anche in forma di silenzio>>.
6) Di Natale ha osservato: <<ben più grave della querela, calunniosa, presentata da Dispenza, è stato l’immediato esercizio dell’azione penale da parte dell’ufficio inquirente con diretta citazione a giudizio operata all’allora procuratore Fabio D’Anna, senza vaglio di alcun giudice e senza neanche un’udienza predibattimentale allora non prevista nell’ordinamento. Il pubblico ministero – ha detto Di Natale – non è l’avvocato dell’accusa ma è un magistrato il quale, dinanzi alla prova evidente e immediata che non sia stato commesso alcun reato, non può esercitare l’azione penale. Il pubblico ministero – ha affermato espressamente Di Natale – ha commesso il reato di calunnia e lo dico dinanzi all’autorità giudiziaria a tutti gli effetti e per tutte le iniziative di giustizia conseguenti. Anche in questo caso siamo dinanzi all’ammissione di un orrore giudiziario: come spiegare allora – ha osservato Di Natale – il fatto che il 24 febbraio scorso il pubblico ministero abbia chiesto la mia assoluzione con la sola motivazione che la frase ‘incriminata’ rientri nel diritto di critica? Perché nel 2019 non vi rientrava?>>. Su questo punto Di Natale ha chiarito che non una sola modifica, in fatto o in diritto, sia intervenuta: né una norma nuova che cambiasse la qualificazione della frase incriminata, né una risultanza probatoria che modificasse, anche in una sola virgola, i dati documentali in possesso del procuratore D’Anna fin da quando, a ottobre 2019, emise l’avviso di conclusione delle indagini preliminari che annunciava e rivelava l’esercizio dell’azione penale e la citazione diretta a giudizio dei tre soggetti falsamente e calunniosamente querelati da Dispenza.
7) L’assurda incriminazione dei lettori. Di Natale ha denunciato e sostenuto che la Procura di Ragusa, unica in Italia, incrimini (non solo in questo processo) i lettori in quanto tali, in mostruosa violazione dell’art. 21 della Costituzione il cui secondo comma sancisce che “la stampa non può essere sottoposta ad autorizzazioni e censure” e il cui terzo comma vieta il sequestro preventivo della stampa, se non, con riserva di legge e di giurisdizione, in pochi casi tassativi tra i quali non figura l’ipotesi di diffamazione. Incriminare chi ha ‘condiviso’ su un social un articolo di stampa o un contenuto giornalistico (che hanno i loro precisi responsabili nell’autore e nel direttore) significa attentare alla libera circolazione della stampa che la Costituzione tutela sempre e comunque, anche attraverso il divieto di sequestro preventivo. In questo modo il lettore diventerebbe, per assurdo, più responsabile del ‘direttore responsabile’ di una testata giornalistica e, per conseguenza e per forza di cose, strilloni, edicolanti, distributori sarebbero imputabili penalmente per tutti gli articoli contenuti nei giornali diffusi.
Il pubblico ministero presente in udienza Concetta Vindigni infine ha segnalato le dichiarazioni del giornalista per una possibile valutazione di rilevanza penale.
Fin qui il resoconto dell’udienza di ieri.
<<Sono grato al pubblico ministero presente ieri, la v.p.o (vice procuratrice onoraria) Vindigni per la segnalazione che, se dovesse essere presa in considerazione, darebbe sostegno – osserva Di Natale – alla mia specifica richiesta. Non sarebbe possibile infatti vagliare la rilevanza penale delle mie affermazioni senza che l’Autorità giudiziaria specificamente competente esaminasse l’operato dell’ufficio inquirente e requirente al tempo della citazione in giudizio disposta dall’allora procuratore D’Anna: il che è esattamente ciò che ho chiesto. Il procuratore di Ragusa – afferma infine Di Natale – non è il procuratore di fiducia di Kim Jong Un, non è il procuratore della Repubblica della Corea del Nord ma della Repubblica italiana di cui deve, quale magistrato soggetto unicamente alla legge – ripeto deve – osservare tutte le norme vigenti tra le quali, ovviamente, anche il codice penale e il suo articolo 595 che punisce il reato di diffamazione a mezzo stampa. Ma questo articolo, per quanto scritto dal legislatore fascista nel 1930, nel pieno di quella dittatura sanguinaria e criminale che aveva già represso diritti e libertà, da quasi ottant’anni vive sotto la luce della Costituzione e del suo articolo 21, nonché dei trattati internazionali che danno automatico ingresso nell’ordinamento vigente alla normativa e alla giurisprudenza europea che in tema di libertà di stampa sono più avanzate della stessa Costituzione. E invece a Ragusa, nel 2019 e negli anni seguenti eravamo all’Italia fascista o alla Corea del Nord>>.