La Corte d’Appello di Catania ha annullato totalmente la misura dell’amministrazione giudiziaria ai sensi dell’art. 34 del Codice antimafia disposta nei confronti della Gali Group di Ispica il 2 luglio 2024 dal Tribunale di Catania. Lo rende noto con un comunicato stampa Angelo Galifi, legale rappresentante dell’impresa, che è anche vice presidente del consiglio comunale di Ispica (qui un nostro servizio inchiesta del 2 febbraio scorso sul caso clamoroso che ne è derivato).
<<In particolare – si legge – la Corte d’Appello ha evidenziato l’assoluta mancanza di elementi che giustificassero l’applicazione della misura nei confronti dell’azienda, di fatto, certificando, il contesto di trasparenza e di legalità in cui si è sempre mossa la Galigroup e la proprietà aziendale. Angelo Galifi, quale legale rappresentante della Galigroup, e tutta la famiglia Galifi hanno sempre messo al centro della propria attività imprenditoriale la legalità e l’etica. L’azienda è e resta impegnata in prima linea nel rispetto dei principi di legalità e trasparenza che l’hanno da sempre contraddistinta. In questo contesto si innesta l’implementazione del Modello Organizzativo 231 già in fase di ultimazione, funzionale alla valorizzazione dell’etica e della legalità, innalzando delle barriere di protezione ancora più alte contro fenomeni criminali di ogni genere. Questo percorso aumenterà ulteriormente la reputazione aziendale determinando un accrescimento del rating di legalità. La Galigroup, infine, promuove e sostiene tutte quelle associazioni impegnate nella lotta alla criminalità organizzata e ha avviato uno specifico percorso di iscrizione ad un’associazione antiracket>. Annunciata una conferenza stampa.
La Corte d’Appello (qui il testo integrale della sentenza) – si legge – <<stante quindi tali vicende processuali, deve ritenersi che i Galifi sono soggetti estranei alle vicende mafiose riguardanti il clan Trigilia (dato questo più volte ribadito dal Tribunale con il decreto impugnato) e che non appena sono venuti a conoscenza del coinvolgimento del Caruso nelle vicende del clan mafioso Trigilia, hanno interrotto ogni rapporto di lavoro col Caruso, comunicando ciò alla propria clientela. Ciò evidenziato, occorre ora verificare se le condotte specificamente su indicate poste in essere dal Caruso in favore dell’associazione mafiosa clan Trigilia, così come individuate dal Tribunale (v. supra), si siano realizzate, e soprattutto se tali condotte, qualora realizzate, siano avvenute con la consapevolezza di ciò da parte dei Galifi. Ed invero, a quest’ultimo proposito, come evidenziato dallo stesso Tribunale …la realizzazione della condotta prevista dalla norma, presuppone necessariamente, profili di colpa, colpevolezza, in capo ai titolari dell’impresa la cui attività si reputa possa agevolare il clan mafioso>>.
Analizzata la giurisprudenza costituzionale in merito la Corte d’Appello <reputa che nel presente procedimento non mergono elementi certi ed univoci, né in verità tali elementi specifici sono stati rappresentati nel decreto impugnato, dai quali desumere che i germani Galifi siano stati mai consapevoli dell’attività che il Caruso, sfruttando ed utilizzando a tal fine la propria attività lavorativa svolta per conto dell’impresa Gali Group Srl, poneva in essere in favore del clan mafioso Trigilia; tanto basta per escludere l’integrazione della fattispecie di cui all’art. 34 CAM secondo la lettura costituzionalmente orientata di cui sopra. Ma ancor prima deve ritenersi che non appaiono sufficientemente individuate a livello oggettivo quali siano state le condotte poste in essere dal Caruso in favore del clan Trigilia, sfruttando a tal fine l’attività lavorativa che lui svolgeva per conto della Gali Group Srl … Senonchè anche facendo riferimento a quanto scritto nel § 3.2 non si rinviene nulla di specifico, meglio di univocamente probante, a tal riguardo; ed invero si reputa che Caruso sfruttando a tal fine la sua attività lavorativa per conto della Gali Group Srl e quindi i suoi rapporti che intratteneva con i terzi, riusciva ad imporre in danno di imprese terze la c.d. messa a posto (pizzo o quant’altro in favore del clan Trigilia); senonchè dal testo del decreto nulla di specifico, né tanto meno un rinvio specifico, emerge a tal proposito (e fermo restando comunque che manca ogni prova circa la consapevolezza di ciò da parte del Galifi). In verità nel decreto si fa riferimento ad un colloquio in carcere intercettato avvenuto in data 10/7/2018 intercorso tra boss mafioso Antonio Giuseppe Trigilia e la di lei figlia Angela; senonchè esaminando tale colloquio (in parte riportato nel decreto impugnato) non emerge che l’attività illecita che il Caruso avrebbe realizzato per conto del clan Trigilia sia stata posta in essere dallo stesso nell'esercizio e/o comunque sfruttando il suo ruolo che lui esercitava quale procacciatore di affari per conto della Gali Group Srl, e non invece in contesti del tutto avulsi rispetto a quelli inerenti all’attività lavorativa che il caruso svolgeva per conto della Gali Group Srl ( e ciò anche con specifico riferimento ai colloqui intercettati e di cui alla nota 15 di p. 12 del decreto).
<<Altra condotta che, secondo il decreto impugnato, sembrerebbe essere stata posta dal Caruso, in favore del clan mafioso Trigilia, utilizzando a tal fine l’attività della Gali Group Srl, sarebbe consistita nella circostanza che le somme raccolte dalle varie imprese estorte sarebbero confluite nelle case della Gali Group e tramite esse attraverso la condotta del Caruso sarebbero state corrisposte al clan mafioso, e a tal proposito si fa anche riferimento alle somme che periodicamente la Gali Group accreditava al Caruso e di cui vi è traccia nella relativa contabilità aziendale>> osserva la Corte d’Appello.