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Ragusa, insediato il procuratore Puleio. Partecipazione mai vista, segno del bisogno di giustizia e di discontinuità

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Mai prima d’ora a Ragusa un’aula così gremita per l’insediamento di un nuovo procuratore della Repubblica presso il Tribunale. Segno dell’attesa suscitata dalla nomina che, molto al di là della fisiologia di ogni avvicendamento, grazie alla biografia del nominato autorizza nell’intera comunità provinciale speranze nuove di giustizia dopo molti, troppi, anni in cui è percezione diffusa che in particolari settori della lotta al crimine, per esempio quello contro la res pubblica, ci sia stata una stasi.

Come è noto il nuovo procuratore è Francesco Giuseppe Puleio, noto in territorio ibleo per essere stato procuratore a Modica, poi in Procura a Ragusa e per avervi operato anche, dalla sede di Catania, nell’ambito delle competenze distrettuali.

Il presidente del Tribunale Francesco Paolo Pitarresi lo ha accolto infatti con le parole ‘benvenuto a casa’.

Dopo Pitarresi hanno parlato l’uscente Marco Rota (reggente facente funzioni dopo la partenza del predecessore Fabio d’Anna), il sindaco di Ragusa Peppe Cassì, il presidente della Corte d’Appello di Catania Filippo Pennisi, il procuratore generale Carmelo Zuccaro, la presidente dell’Ordine degli avvocati della provincia di Ragusa Emanuela Tumino.

Quindi è toccato a Puleio che dopo alcune riflessioni ‘a braccio’ frutto anche degli apprezzamenti e delle sollecitazioni contenute negli interventi precedenti, ha parlato seguendo una traccia, poi consegnata alla stampa. Ecco.

L’intervento di Puleio nella cerimonia d’insediamento

Sono emozionato di essere qui in mezzo a voi e desidero ringraziarvi tutti per la vostra presenza oggi, in questa occasione per me così importante.
Grazie, in primo luogo, ai Capi di Corte, ai Dirigenti degli Uffici, alle autorità civili e religiose, agli amministratori locali e agli esponenti delle Istituzioni che mi onorano con la loro vicinanza e dei quali percepisco il sostegno.
Grazie ai miei cari (anche a quelli che non ci sono più) e agli amici che hanno voluto essere qui con me, a condividere un momento di emozione e ad arricchirlo con il loro affetto. Abbiamo compiuto un lungo tratto di strada insieme, e mi auguro che ci attenda un percorso altrettanto lungo e proficuo.
E grazie anche ai prossimi compagni di viaggio qui a Ragusa.
Grazie ai colleghi, con i quali sono qui per lavorare fianco a fianco, cercando di contribuire ad attuare le migliori condizioni possibili per svolgere il nostro non semplice lavoro; al personale amministrativo e agli esponenti delle forze di polizia, che sono i nostri primi e naturali collaboratori.
Grazie agli avvocati, interlocutori imprescindibili nelle vicende processuali, con i quali il dialogo e la ricerca di una leale base di confronto, sempre necessaria, è diventata indispensabile in questo momento di complesse e delicate riforme che ci coinvolgeranno e che – se non riusciremo a incontrarci su una comune piattaforma di intesa – potrebbero travolgerci.
Per tutti voi la mia porta sarà sempre aperta per la ricerca di soluzioni eque e stabili dei problemi che l’amministrazione della Giustizia ogni giorno ci propone.
Grazie ai rappresentanti della stampa e dei media, senza il cui contributo non è possibile una corretta diffusione delle informazioni in tema di giustizia. Alle loro esigenze garantisco attenzione e considerazione, e soprattutto una comunicazione su basi di parità e di trasparenza, nel rispetto del loro diritto di cronaca e di critica, bilanciato con l’esigenza di presidiare l’efficacia delle indagini e l’osservanza del principio di non colpevolezza.

Se ripenso a quando per la prima volta, appena vincitore di concorso, nel 1985 (alcuni dei miei colleghi e dei presenti non erano ancora nati), mi sono presentato alla porta di Mario Busacca, allora procuratore aggiunto a Catania, mi viene la vertigine. È come affacciarsi sul bordo di un vulcano, perché mai avrei pensato di avere un compito di così grande responsabilità in un ufficio importante, con una storia centenaria, che risale addirittura agli inizi del 1300, quando Federico III d’Aragona concesse a Manfredi Chiaromonte, conte di Modica, il mero e misto imperio, vale a dire l’esercizio della giurisdizione civile e penale nella Contea di Modica. Si può dire che in quello che oggi è il territorio della Provincia di Ragusa è nato il primo tribunale siciliano.

È oggi l’occasione, se mi concedete pochi minuti, per ringraziare chi ha influito sulla mia formazione professionale, insegnandomi che per fare questo mestiere occorre lavorare in silenzio, con passione, equilibrio e determinazione. Sono tanti i nomi che dovrei ricordare, ma non potendo nominarli tutti, ricordo qui i procuratori che mi hanno guidato e mi sono stati d’esempio e da modello nei miei primi anni a Catania: Gabriele Alicata prima, per la saggezza e l’umanità nella gestione dell’ufficio, e Mario Busacca poi, sapiente nel risolvere, con esperienza e sicura competenza professionale, situazioni delicate e importanti.
Il mio senso di riconoscenza va poi a tutti i colleghi e ai collaboratori con i quali ho avuto la fortuna di lavorare, ma un particolare ringraziamento è per i miei preziosi più diretti collaboratori: nel tempo e in diversi uffici, Rocco Nicolosi, Salvatore Gallo e Annamaria Laspina, dei quali sono stato in sostanza il braccio destro.
Guardando indietro ai colleghi dai quali ho cercato di imparare, i nomi sono tantissimi; molti sono oggi qui presenti. Li ringrazio, ma voglio ricordarne due: il primo è Alfredo Curasì, per molti anni presidente della Corte di Assise di Catania, certamente il magistrato più serio, preparato e scrupoloso con il quale abbia lavorato. Qualche anno fa ho provato a scrivere un libro, una specie di manuale pratico sul processo penale. Ebbene quel volume era il frutto degli insegnamenti di Alfredo, erano le sue ordinanze, le sue sentenze, riprese quasi alla lettera e trasposte da casi specifici a valutazioni generali. Del resto, in questo mi trovavo in buona compagnia, perché mi era più volte capitato di leggere delle sentenze della Corte di cassazione, anche a sezioni unite, che riprendevano pari pari il contenuto dei provvedimenti di Alfredo. Con i miei amici Fabio Scavone , Sebastiano Mignemi e Sebastiano Ardita, e con il mio associato per delinquere Ignazio Fonzo, ai quali mi legano decenni di vita, di illusioni e di disillusioni, dicevamo allora che, se fossimo stati accusati di un reato, avremmo voluto essere giudicati da Curasì, per la cura, lo scrupolo, l’equilibrio con cui dirigeva i dibattimenti e decideva. A patto, aggiungevamo allora, di essere innocenti, perché, in caso contrario, Alfredo non avrebbe guardato né ad amicizia né a simpatia. Per fortuna, non ci hanno mai scoperti.
L’altro magistrato al quale rivolgo il mio pensiero è Giuseppe Gennaro, con cui ho avuto la fortuna di collaborare direttamente per tre anni, nei quali ho imparato più che nei 20 precedenti: intelligenza, competenza e lucidità intellettuale. Ma soprattutto, integrità morale, autentica passione civile, amore per il nostro lavoro e senso di appartenenza al nostro territorio. Questo era Peppe Gennaro.

Il ringraziamento più importante è riservato a mia moglie e ai miei figli, oggi qui rappresentati da Giulia, per l’amore e il conforto di un lungo cammino insieme.
Mia moglie, in particolare, mi guida e mi conduce mano nella mano da 38 anni, cercando di limare le mie leggere asprezze. Attualmente, per riconoscimento unanime, io ho un carattere fastidioso: prima del matrimonio ero assolutamente insopportabile. Si può dire che in tutti questi anni mia moglie abbia sviluppato i lati migliori del mio temperamento; io non sono restato a guardare, ed ho cercato di far venire fuori i suoi lati peggiori. Per fortuna non ci sono riuscito.

Dopo i ringraziamenti, gli impegni: e l’impegno è quello di cercare di adempiere al compito che mi aspetta, dalle piccole esigenze della vita quotidiana dell’ufficio alle emergenze più complesse e gravose, nella costante ricerca dell’equilibrio tra la garanzia del diritto alla libertà di ciascuno e le ragioni non rinunciabili della convivenza e della difesa sociale. Il ruolo che la Procura della Repubblica deve svolgere è delicatissimo, perché la Procura è il centro, anche simbolico, del necessario bilanciamento fra i doveri e le libertà del cittadino, e il magistrato che vi opera deve usare dei suoi poteri con la cautela, la prudenza e la precisione con cui il chirurgo adopera il bisturi. Nei limiti delle mie forze e delle mie capacità, cercherò di curare la corretta applicazione della legge e la tutela dei diritti delle vittime, dei soggetti deboli, ma anche degli imputati. E tutto ciò in tempi il più possibile solleciti.

Ho parlato fin troppo ed è il momento di concludere.
Non ho la presunzione di insegnare niente a nessuno, ma posso trasmettere ai miei più giovani colleghi i semplici insegnamenti che, appena entrato in servizio, mi impartì un anziano cancelliere del piccolo Tribunale di Caltagirone, dove ero stato assegnato in prima sede. Mi sono stati guida preziosa e hanno sempre orientato la mia condotta professionale.
Signor Giudice, mi disse, con un tono in cui la deferenza si stemperava nella canzonatura (io avevo 27 anni e lui i capelli bianchi), si ricordi due cose: la prima, che si può imparare da chiunque; la seconda, che bisogna sempre lasciare una traccia di quello che si fa.
Quell’anziano cancelliere, Ciccio Vitale si chiamava, oltre alla gioia e all’umiltà di apprendere, patrimonio secolare della nostra cultura contadina, nel 1987 mi insegnò quella che oggi i docenti di organizzazione aziendale nei corsi di preparazione alla dirigenza giudiziaria chiamano l’accountability, vale a dire l’impegno a rispondere di tutti i passaggi del nostro operato, rendendoli conoscibili, spiegandoli e giustificandoli, e affrontando le conseguenze di eventuali errori.

Ho veramente concluso.
Un’ultima cosa mi preme dire e lo dirò con parole non mie, ma con le parole di un apologo che esprime – secondo me – il segreto per lavorare bene, per vivere intensamente e consapevolmente i propri doveri e le proprie responsabilità, ma soprattutto per essere in pace con sé stessi e con la propria coscienza.
Tre uomini lavoravano in un cantiere, con il medesimo compito. Fu chiesto loro: cosa fai? Il primo rispose: non vedi? Spacco delle pietre. Il secondo rispose: non vedi? Mi guadagno da vivere. Il terzo rispose: non vedi? Costruisco una cattedrale.
Grazie a tutti.

Per la cronaca la carriera di Puleio in magistratura ha inizio nel 1986 e quindi è giunta al quarantesimo anno d’attività. Dopo un primo incarico come giudice al Tribunale di Caltagirone a partire dal dicembre del 1987, dal luglio del 1989 ha prestato servizio come Pubblico Ministero presso la Procura di Catania, ruolo ricoperto per vent’anni, fino al 2009. Successivamente, è stato nominato Procuratore Capo a Modica, incarico mantenuto fino al 2016, anno della chiusura dell’ufficio giudiziario. A seguito di ciò, ha assunto il ruolo di sostituto procuratore a Ragusa e, dall’ottobre 2016, quello di Procuratore Aggiunto presso la Procura di Catania.