Ecco perchè la querela di Ignazio Abbate (che finalmente possiamo leggere) oltre che attacco alla libertà di stampa è anche calunnia: quindi non una domanda di giustizia, ma un reato contro la giustizia per mettere il bavaglio all’informazione. Il Tribunale l’ha archiviata perchè gli articoli di Dialogo e de Il Domani ibleo affermano la verità e sono espressione dei diritti costituzionali di cronaca e di critica. Al centro del caso giudiziario l’erogazione di soldi pubblici, oltre 70 mila euro, ad una società costituita per l’occasione da collaboratori fiduciari dell’allora sindaco di Modica, loro familiari e congiunti di dirigenti comunali. I misteri inquietanti sulla scomparsa del profilo facebook ‘Ignazio indica cose’ dopo un post che ha svelato l’affaire, anch’esso querelato. Ma gli altri soci pubblici (i Comuni di Ragusa, Scicli, Ispica, Santa Croce Camerina) nonchè i vari amministratori del GAL furono informati e coinvolti?
C’è un giudice a… Ragusa.
In effetti la ‘notizia’ è che c’è anche … un pubblico ministero. Non che ne mancassero, ma su un tema così delicato e sensibile come quello della libertà di stampa e della lotta tra, da una parte, il potere che pretende oscurità e silenzio, e dall’altra l’informazione che vive per fare luce e dare voce, di recente un pm disponibile a garantire considerazione costituzionale alla seconda non c’era stato. I casi sono numerosi e se dovessi sceglierne solo uno per rendere l’idea, il pensiero istintivo cadrebbe sui tanti procedimenti per diffamazione a mezzo stampa originati da querele di Filippo Dispenza, il poliziotto in pensione, ex commissario del Comune di Vittoria sciolto per mafia, nonché amico e cliente di Antonio Calogero Montante al quale chiedeva e dal quale otteneva favori per i suoi vantaggi privati mentre la sua carriera brillava fino alla nomina a prefetto, e che pertanto è stato incaricato di … ripristinare la legalità in quel Comune. Ed egli ha ‘onorato’ il mandato innanzitutto in questo modo: promuovendo, a spese dei contribuenti, centinaia di querele contro chiunque – cittadino semplice, giornalista, persona che volesse comunque prendersi cura della città – osasse esprimere un pensiero o una critica su un atto del Comune da lui amministrato o su un problema di interesse generale da risolvere (qui e qui due tra i tanti articoli pubblicati sul caso).
Certo, è evidente come questo sia un problema legato alla personalità del prefetto-poliziotto e ad un difetto di conoscenza da parte sua della funzione che gli è stata attribuita. Ma la cosa incredibile e stupefacente è che quelle querele a Ragusa abbiano trovato pubblici ministeri (sì, proprio ‘pubblici’ ministeri) pronti a sostenere e appagare quelle privatissime pretese altrimenti materia di analisi, studio e trattamento in altre professioni sorrette da ben diverse competenze scientifiche.
Ecco perché la notizia è questa (c’è un ‘pubblico ministero’ a Ragusa) più della piacevole presa d’atto dell’esistenza di giudici – qualche volta in verità venuta meno, ma mai così sistematicamente e traumaticamente – i quali siano all’altezza costituzionale del presidio che si deve ad un bene fondamentale per la democrazia come l’informazione, la sua libera circolazione, il diritto di cronaca e di critica.
E tale notizia ci viene dal decreto d’archiviazione del procedimento per diffamazione a mezzo stampa nei confronti di persone e organi d’informazione ingiustamente accusati da un ‘potente’ e ‘prepotente’, in questo caso l’allora sindaco di Modica Ignazio Abbate, nella veste di presidente del GAL Terra Barocca, una società consortile a responsabilità limitata composta da cinque Comuni iblei e da dodici soggetti privati, tra imprese e associazioni.
Ne ho scritto, in questa stessa rubrica, il 9 maggio scorso (qui), dopo avere appreso da Dialogo della querela presentata da Abbate contro l’articolo (qui il testo) pubblicato dal mensile nel numero di maggio 2021, in edicola a metà mese (qui).
In quel momento io non sapevo che la querela – il cui testo allora era sconosciuto anche al direttore responsabile del periodico Paolo Oddo, indagato insieme all’autore Giovanni Antoci – chiedesse all’Autorità giudiziaria di punire anche autori e responsabili di un’altra testata giornalistica, Il Domani ibleo per un articolo pubblicato il 25 maggio 2021, e del profilo facebook ‘Ignazio indica cose’ per due post del 5 e 6 maggio 2021.
In questo mio precedente scritto sopra richiamato, a dire il vero ho posto in rilievo anche il servizio de Il Domani Ibleo (qui) e i post di ‘Ignazio indica cose’ (qui il testo in sequenza dei due post citati del 5 e 6 maggio 2021, intervallati da un breve spazio bianco), non per la querela che non sapevo li riguardasse, ma solo perché ad una ricerca documentale sull’intera materia la redazione li ha rinvenuti ed essi erano pienamente attinenti allo stesso argomento, oltre che meritevoli di attenzione. Come i lettori sanno, per l’occasione ho anche cercato di ripercorrere la storia del GAL Terra Barocca fin dalle origini.
Non sapevo inoltre allora, come non lo sapeva neanche Dialogo che infatti ne ha dato notizia successivamente, che la Procura di Ragusa, con atto del pm Martina Dall’Amico, già il 9 settembre 2022 avesse depositato richiesta d’archiviazione nè che il giudice delle indagini preliminari Andrea Reale il 30 marzo di quest’anno l’avesse integralmente accolta, disponendo conseguentemente l’archiviazione. Per la cronaca Reale è un magistrato di grande valore morale e professionale, nonché giurista di alto livello scientifico, la cui esemplare battaglia etica contro le devianze correntizie in Csm merita di essere studiata e conosciuta attraverso un articolo apposito.
Pertanto il 9 maggio scorso ho scritto della querela (che sapevo rivolta solo a Dialogo) come di un attacco alla libertà di stampa perché, dall’analisi testuale e di contenuto del solo articolo del mensile, per le ragioni espresse, risultava evidente come esso fosse limpido esercizio del diritto di cronaca e di critica totalmente rientrante nella protezione costituzionale prevista dall’art. 21. Analoga valutazione era implicitamente contenuta – e posso oggi specificamente e compiutamente ribadire – in relazione all’articolo de Il Domani ibleo e ai contenuti dei post denunciati da Abbate i quali, al contrario di quanto da questi asserito, sono esempio di virtù civiche espresse, a tutela della democrazia e della trasparenza sull’uso di beni pubblici, attraverso la critica affidata al linguaggio della satira e dell’allegoria.
In relazione a tali post un dubbio, e se del caso una critica, a dire il vero l’avrei: perché, dopo la loro diffusione il 5 e 6 maggio 2021 – subito dopo mi par di capire – il profilo è stato cancellato o, comunque, disattivato o oscurato? Cos’è successo? Qualcuno ha minacciato il suo o i suoi responsabili? Sarebbe importante conoscere la verità perché quel profilo, fin dalla sua attivazione ad aprile 2017, per quattro anni era stato una salutare voce critica e la sua fine un male per la città, un danno ed una perdita per la democrazia. Pertanto è fondamentale sapere chi o cosa l’abbia determinata per scoprire se, anche in questo caso, possa trattarsi di minacce come quelle che da più parti, perfino da pubblici ufficiali, sono state avanzate a cittadini ‘colpevoli’ di esercitare un fondamentale diritto costituzionale non gradito però ad Abbate, al suo sistema e alla cricca che ne protegge gli interessi, anche illeciti o criminosi, in conflitto con quelli generali della città.
Oggi conosco il decreto d’archiviazione emesso dal giudice, su conforme richiesta del pm – magistrati con i quali pertanto in questo caso concordo totalmente proprio alla luce di quanto scritto ben prima, il 9 maggio scorso – e conosco anche, finalmente, l’atto di querela presentato da Abbate, non a titolo personale ma nella qualità di presidente del GAL, il 27 luglio 2021 e reclamante la condanna di Paolo Oddo e Giovanni Antoci rispettivamente direttore responsabile e autore dell’articolo pubblicato nel numero di maggio 2021, di Gianni Contino direttore responsabile e autore dell’articolo pubblicato da Il Domani ibleo il 25 maggio 2021, nonché del – o dei – responsabili della diffusione dei post del 5 e 6 maggio 2021 sul profilo fb ‘Ignazio Indica cose’. Tali post, a giudicare dalle date, hanno avuto il merito di portare a conoscenza per primi e con grande tempestività, il 5 e 6 maggio ’21 appunto, il decreto (che è del 4 maggio 2021) di finanziamento alla srls VTM la quale, nell’allegoria dell’esopica rappresentazione del bosco popolato da animali e da altri protagonisti e nella puntuale narrazione di ‘Ignazio Indica Cose’, sta per ‘Vagone Trasporto Mele’.
Nulla da ridire sulle argomentazioni dei magistrati che riportiamo solo per dovere di cronaca. E’ piuttosto la lettura della querela che richiederà un supplemento di riflessione.
Ecco subito le motivazioni del pubblico ministero con la cui richiesta d’archiviazione il gip concorda totalmente.
La magistrata, Martina Dall’Amico, comincia a soffermarsi, prima in relazione all’articolo di Dialogo, sulla rilevanza penale della notizia <<che il Gal … aveva elargito un finanziamento a fondo perduto alla VTM srls, società costituita due mesi prima della pubblicazione del bando e avente la stessa sede legale della RTM srls, storica emittente modicana, precisando, inoltre che le compagini delle due società appartenevano alle stesse famiglie>>.
In proposito da precisare che in effetti la società viene costituita non due mesi prima, ma oltre tre mesi dopo l’approvazione del bando avvenuta il 14 novembre 2019, con termine iniziale di presentazione dei progetti il 3 dicembre 2019. La società infatti nasce il 20 febbraio 2020, quando mancano appena dieci giorni – 2 marzo 2020 – alla scadenza del bando in questione. In tale data di scadenza la futura impresa vincitrice non è neanche iscritta alla Camera di Commercio e non ha nulla in mano del progetto che presenterà (infatti proprio il 2 marzo 2020 incarica un tecnico per redigerlo). La scadenza viene poi più volte prorogata.
Dell’Amico quindi, sulla base delle indagini espletate, osserva: <<invero la VTM era costituita da Marisa Scivoletto, moglie di Rosario Cannizzaro, comandante della Polizia municipale di Modica e cognata di Giovanni Cannizzaro, capo di gabinetto del sindaco di Modica, oltre che dal nipote Cannizzaro Samuele, consulente alle politiche giovanili del Comune di Modica e, infine, da Ragona Giuseppe, addetto stampa del sindaco di Modica, mentre i due Cannizzaro erano collaboratori della RTM… Orbene sulla rivista ‘Dialogo’ si ipotizzava che la VTM fosse stata appositamente costituita poiché la RTM aveva preferito non partecipare al bando, atteso che quest’ultima poteva essere in conflitto d’interessi perché i decreti di concessione dei fondi erano firmati dal sindaco di Modica, presidente del Gal, e ci si interrogava se si fosse trattato di un’ipotesi di opportunismo, spirito di sana iniziativa o di vantaggio della posizione personale>>.
Il pubblico ministero poi passa al secondo dei reportage oggetto di querela: <<Sull’articolo de Il Domani ibleo – si legge nella richieste d’archiviazione – Contino aggiungeva alle notizie già indicate che i sindaci degli altri comuni consorziati con il loro silenzio avevano dimostrato di essere d’accordo con quanto accaduto e si chiedeva cosa avessero di meno i comandanti dei vigili urbani di quelle città o i capi di gabinetto degli altri comuni consorziati per non avere beneficiato di tanta fortunata coincidenza>>.
Quindi il pm affronta il caso dei due post su fb, fermandosi dinanzi alla relazione della polizia postale nella quale si attesta che non è stato possibile accertare l’identità dell’amministratore del profilo social sotto accusa.
<<In relazione ai primi due articoli di stampa – scrive il pm – deve ritenersi l’insussistenza del fatto poiché nel caso in esame il reato di diffamazione risulta scriminato dalle esimenti del diritto di cronaca e di critica secondo la giurisprudenza di legittimità>> che la richiesta d’archiviazione ripercorre citando alcune sentenze salienti che cancellano ogni dubbio in proposito.
<<Peraltro il diritto di critica – conclude la magistrata – consente anche il ricorso a toni aspri e duri, tanto più ammissibili in considerazione della particolare posizione rivestita dai soggetti criticati …Orbene nel caso in esame gli articoli pubblicati … sul mensile e sul quotidiano on line … costituiscono espressione al contempo dei diritti costituzionalmente garantiti di cronaca e di critica, tenuto conto del fatto che tali argomenti sono di indubbio interesse per la collettività, non sembrano travalicare i limiti della continenza ed i fatti narrati risultano corrispondenti al vero. Tale valutazione non sembra, poi, scalfita dalla circostanza, indicata in querela, per cui gli indagati avrebbero omesso di specificare che il Gal aveva emanato altri cinque decreti a beneficio di ditte di altri comuni. Ed invero tale circostanza risulta di interesse marginale e non fa venir meno la veridicità del fatto storico>>.
Fin qui le motivazioni espresse dal pubblico ministero a sostegno della necessità dell’archiviazione, pienamente condivise ed accolte dal giudice delle indagini preliminari. Ed ora passiamo alla querela, finalmente nota, nonostante sia stata depositata due anni fa con il danaro dei contribuenti tenuti all’oscuro.
Oggi posso leggerla grazie al fatto che essa, con il decreto del gip emesso all’esito della camera di consiglio appositamente tenuta, sia entrata nella disponibilità del direttore responsabile di Dialogo. La querela dimostra non solo quanto da me già denunciato, quando non avevo conoscenza del suo contenuto ma avevo ben presente l’articolo del mensile sotto accusa: che cioè essa fosse un attacco alla libertà di stampa per impedire la diffusione di notizie vere e di pubblico interesse. Dimostra altresì che essa è un atto di calunnia, che è un reato, ben più grave della diffamazione, contro la giustizia. Dice in proposito l’art. 368 del codice penale: <<chiunque, con denuncia, querela, richiesta, istanza anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’autorità giudiziaria o ad altra autorità che ha l’obbligo di riferire alla prima, incolpa qualcuno che sa essere innocente di un reato, oppure simula a suo carico tracce di un reato è punito con la reclusione da due a sei anni>>. Pena che in casi gravi ed estremi (non è questo il caso, trattandosi di querela per diffamazione a mezzo stampa) può raggiungere i venti anni di reclusione.
Ecco perché la querela di Abbate non poteva essere una richiesta di giustizia, ma è, piuttosto, un atto di calunnia, contro la giustizia stessa, consistente nella denuncia di qualcuno – i tre giornalisti e i responsabili del citato profilo fb – che il querelante sapeva innocenti.
Leggiamo cosa scrive Abbate nella querela, firmata nella sua qualità di legale rappresentante di GAL Terra Barocca. E qui una domanda andrebbe posta ai quattro sindaci in carica a quel tempo quali suoi soci pubblici (Giuseppe Cassì a Ragusa, Vincenzo Giannone a Scicli, Innocenzo Leontini a Ispica, Giovanni Barone a Santa Croce Camerina) e agli altri dodici soci privati, legali rappresentanti di altrettante società imprenditoriali e di associazioni. Sette di loro peraltro facevano parte del Consiglio d’amministrazione: Abbate sopra tutti come presidente, i Comuni di Ragusa e di Scicli con i loro rappresentanti, oltre a quattro privati, Giovanni Gurrieri come vice presidente (allora consigliere comunale del M5S a Ragusa, poi uscitone e rieletto con Terra Madre, la lista sostenuta da Abbate e alleata con Cassì) per l’associazione ‘Sud Tourism’, Eva Moncada per ‘Moncada società agricola cooperativa Op’, Salvatore Cassarino per la ‘Confraternita della fava cottoia’, Carmelo Muriana per l’associazione ‘Rumori di storia’.
I sedici soci tra i quali quattro Comuni (partners di quello di Modica e del suo capo Abbate), o almeno gli altri sei amministratori (tra i quali i Comuni di Ragusa e Scicli), furono informati? Furono posti a conoscenza del contenuto testuale degli articoli e, soprattutto, della verità dei fatti che ne erano oggetto, dalla quale avrebbero appreso che non v’era alcuna querela da presentare e avvertito il dovere di concentrarsi con onestà e autocritica su quel decreto di finanziamento e, con esso, su altri, magari su tutti gli atti del GAL e sulla destinazione dei flussi milionari di soldi pubblici gestiti e indirizzati nel modo che la ricostruzione documentale ben nota ai lettori di ‘In Sicilia Report’ con l’articolo sopra richiamato del 9 maggio scorso documenta?
Ecco il testo della querela.
<<Ovviamente e giustamente – si legge – la nostra attività è costantemente ‘sotto i riflettori’ e sottoposta all’attenzione dell’opinione pubblica, senza timore alcuno da parte nostra che da sempre abbiamo improntato tutto l’operato del Gal ai principi di trasparenza e legalità. Appare sin troppo evidente che tale articolo è volontariamente denigratorio e volontariamente privo di notizie necessarie ad infondere nel lettore una conoscenza completa e corretta degli eventi narrati. Nell’articolo summenzionato sono state dolosamente omesse informazioni che avrebbero consentito un inquadramento sereno ed obiettivo del narrato>>.
Sin qui Abbate fa riferimento all’articolo di Dialogo riportato integralmente in querela.
Quindi passa a quello de Il Domani ibleo, anch’esso letteralmente trascritto, aggiungendo: <<Contenuto anch’esso oltremodo diffamatorio… il giornalista con il suo scritto mira a gettare una luce dubbia e ambigua sul nostro operato fornendo informazioni false, prive di riscontro e volutamente incomplete, mirando ad ingenerare nel lettore un forte sospetto sulla liceità dell’attività del Gal>>. E ancora: <<Appare evidente il travalicamento doloso del diritto di critica da parte del giornalista che artatamente vuole fare intendere che da parte del Gal ci sia stata una cosciente distribuzione ambigua dei finanziamenti, gettando un’ombra sulla nostra attività, da sempre invece impegnata nello sviluppo locale in maniera cristallina>>.
Poi Abbate si sofferma sui due post apparsi in precedenza, il il 5 e 6 maggio 2021, sul profilo fb ‘Ignazio indica cose’, post che definisce <<calunniosi e infamanti>>. Il primo contiene il noto racconto allegorico, mentre il secondo preferisce la descrizione ‘aperta’ dei fatti, tutti elementi documentali attinti, come faranno poi Dialogo e Il Domani ibleo, dagli atti del GAL e dal decreto di finanziamento in questione.
Torniamo alla querela. Scrive ancora Abbate: <<Considerato che appare palese l’intento diffamatorio e offensivo degli articoli e post su menzionati, ci sembra doveroso e opportuno chiarire che è prassi quotidiana del Gal valutare attentamente qualsiasi operazioni si voglia intraprendere (testuale, mi scusino i lettori per questo ed altri brani, n.d.r.), tramite i propri uffici già dotati di adeguata professionalità ed anche ricorrendo ogni qualvolta a consulenze legali al fine di vagliare sempre se il percorso intrapreso è corretto e in linea con la normativa. La notizia diffusa con gli articoli di giornale e con i post di cui si è detto – scrive Abbate – sono intenzionalmente oltraggiose, deliberatamente monche di informazioni rilevanti e celano, dietro un’ironia infamante, la volontà di screditare il Gal e l’operato di tutti coloro impegnati in questo ambizioso progetto di rivalutazione del nostro territorio… Sul nostro sito si vedrà che in data 4 maggio sono stati emanati, oltre il decreto in concessione n. 6-2021 VTM srls, oggetto delle false congetture diffuse con l’articolo, anche altri 5 decreti relativi alla stessa misura … di cui 4 per ditte con sede legale a Ragusa e una con sede legale a Santa Croce Camerina. Già questa circostanza evidenzia l’intento volutamente denigratorio dei post e soprattutto dell’articolo sulla testata on line Il Domani ibleo che dolosamente diffondono notizie false e incomplete così da generare nel lettore un forte sospetto, tralasciando coscientemente elementi fondamentali… Il giornalista Gianni Contino lascia intendere – si legge ancora nella querela – che ci sia stata l’assegnazione di contributi solo ed esclusivamente alla ditta VTM srls non chiarendo intanto che si è trattato di un bando pubblico …e omettendo di riferire che sono stati emanati in pari data altri cinque decreti a beneficio di ditte di altri comuni che il giornalista ritiene invece silenti e sottomessi ad un ingranaggio equivoco macchinato dal Gal. Peraltro tutti i procedimenti ed i relativi provvedimenti di assegnazione dei benefici pubblici sono assolutamente ossequiosi della normativa applicabile in materia… Gli scritti come sopra riportati arrecano un danno reputazionale irreparabile e un grave pregiudizio alla nostra professionalità e per tali motivi …>>.
Questa la querela. Teniamola presente per la necessaria analisi obiettiva e le necessarie conclusioni critiche.
Abbate non riporta un solo elemento idoneo a smentire anche un solo dato o una singola affermazione contenuti nei due articoli e nei due post. E non lo fa semplicemente perché non lo può fare. E’ tutto vero ed egli – per primo, ovviamente – lo sa bene, così come non ignora il pubblico interesse sulla materia, come egli stesso (perfino, sic!) riconosce.
E allora su cosa basa la querela? Su un solo elemento, uno ed uno solo. La sua singolarissima pretesa che la mancata analoga trattazione o citazione, in questi stessi articoli e post, di altri decreti di finanziamento fossero per ciò solo un’omissione idonea a ribaltare quell’incontestabile verità (il decreto riguardante VTM) in menzogna, addirittura diffamatoria.
E’ una pretesa assurda, bizzarra, illogica, sconclusionata, in contrasto stridente con gli elementi costitutivi e con l’essenza della libertà di stampa. La quale è, appunto, libertà di stampa. Che significa questo: ciascun organo d’informazione pubblica ciò che ritiene di proprio interesse, interpretando, in piena libertà anche per la propria utilità editoriale, l’interesse dei lettori. Ogni notizia pubblicata è una scelta. Impossibile pubblicarle tutte. Ogni vincolo di questo tipo, che pretendesse di subordinare la legittimità della pubblicazione di una notizia all’obbligo contestuale di pubblicarne altre, sarebbe censura, divieto, il contrario esatto della libertà di stampa.
Immaginiamo come sarebbe impossibile, in relazione ad un singolo fatto meritevole di conoscenza in sè, soddisfare un astratto obbligo di completezza ‘esterna’ e come, quindi, nessuna notizia potrebbe essere diffusa senza incappare nella pretesa – censoria e criminalizzante – di chi, infastidito dalla sua diffusione, potrebbe appellarsi alla circostanza che “allora vi sono anche queste notizie, e queste altre ancora da pubblicare allo stesso modo!”. Non vi sarebbe nei fatti alcuna libertà di stampa. Che è libertà di pubblicare ciò che ciascuno ritiene (con i soli limiti giurisprudenziali della verità, della pertinenza e della continenza) in un contesto di pluralismo, il più ampio possibile, solo strumento di garanzia di ricerca di una verità completa e di diritto all’informazione da parte della comunità.
Se la stampa è, con i soli limiti sopra ricordati, libera di pubblicare le notizie che crede, e se lo è ogni singolo mezzo d’informazione tra i tanti, tantissimi che devono auspicabilmente operare nella realtà come risultante di libera iniziativa e di risposta – anche di mercato – ai bisogni sociali, l’esito sarà quello voluto dal legislatore costituente: massima circolazione di notizie e opinioni, controllo sui poteri da parte dei cittadini sia come singoli che in gruppi associati, democrazia al sicuro.
Certo può accadere che un deficit di completezza di una notizia possa gravemente inficiarne la verità. Se scrivo che un tale sia uscito dal carcere e lascio il dubbio o faccio credere che sia evaso, mentre lo ha fatto legittimamente con un permesso o provvedimento di remissione in libertà, l’omesso dettaglio falsa la notizia e può renderla diffamatoria. Questo sarebbe un caso, estremo, di incompletezza ‘interna’, ovvero dovuta alla mancanza di elemento intrinsecamente essenziale alla singola notizia divulgata. Nel nostro caso siamo distanti anni luce da situazioni di questo tipo e la completezza della notizia da parte delle due testate e del profilo social è piena, totale, perfino molto più ampia del necessario: sarebbe bastato, per l’autonoma verità di notizia e per la sua completezza ‘interna’, riferire che il GAL, guidato dal sindaco di Modica, ha erogato soldi pubblici a suoi collaboratori fiduciari e loro familiari. Poi chiunque può intervenire, dichiarare, integrare, replicare. Ma nessuno lo ha fatto, neanche Abbate il cui fine, quindi, era la querela in sé e non la precisazione o la definizione più puntuale di una notizia di pubblico interesse.
Nel caso specifico, la divulgazione della notizia relativa al decreto in questione è in assoluto legittima in sè, anzi doverosa da parte della stampa, preziosa e necessaria come contenuto giornalistico autonomo e sufficiente, appunto in sé. Poi c’è sempre qualcos’altro che meriti attenzione e diffusione, ma le notizie che non emergono – perché non note, non scoperte, non trattate o trascurate nella fisiologica e inevitabile selezione di ogni momento – non possono diventare limite in forma di pretesto comparativo per altre, né clava censoria preventiva.
E poi, Abbate è proprio sicuro che un’attenta analisi di altri decreti di finanziamento e di altri provvedimenti GAL a sua firma non possano chiamarlo in causa nello stesso modo?
Tornando al caso in questione, tutti i contenuti – giornalistici e sociali – querelati da Abbate hanno riportato in modo irreprensibile la verità, mossi dall’interesse pubblico verso atti del GAL Terra barocca, interesse pubblico tanto più alto sulle scelte di destinazione di finanziamenti pubblici. Nel nostro caso, in tutti i quattro scritti, interesse pubblico e verità sussistono pienamente, insieme alla forma più che corretta dell’esposizione – presente anche nel linguaggio allegorico-satirico dei post – per il singolo decreto trattato, senza che nessuno possa attaccare tale trattazione in nome della pretesa che anche altre notizie debbano essere diffuse. Ciascuno – a cominciare proprio dal presidente del GAL con i suoi addetti stampa pagati dai contribuenti – può dare a sua volta le notizie che a suo avviso non sono state riferite e questo è tutto ciò che gli può essere consentito, al pari di chiunque ma con la sua ben più forte posizione di potere e d’influenza, nello spazio pubblico della libera circolazione delle notizie e delle critiche in relazione ad esse.
Perché Abbate, dinanzi alla sensazione di una carenza, a suo avviso ingiusta, di completezza di quella notizia, non ha fatto ciò che ciascuna persona per bene e in buona fede avrebbe fatto, ovvero colmare quella lacuna con una dichiarazione, un comunicato stampa, perfino una replica critica a fronte di una ‘così grave’ omissione?
Purtroppo le notizie che circolano sono sempre troppo poche rispetto alla rilevanza pubblica dei fatti che accadono e sicuramente anche gli altri decreti di finanziamento emessi dal GAL, con firma di Abbate, meriterebbero altrettanta attenzione che quello concernente VTM. Questo è sicuramente un limite ma è fisiologico nella realtà, sicchè può accadere che un decreto di erogazione di soldi pubblici come quello in questione si faccia notare per le ben note singolarità contenute al suo interno e altri, magari privi delle stesse evidenze perché più criptici e meglio protetti dal rischio di occhi indiscreti, passino inosservati, pur meritando analoga osservazione. Ma di ciò possono dolersi solo i cittadini che vorrebbero essere meglio informati e non coloro i quali, al contrario – peggio se direttamente interessati o responsabili degli atti, pubblici, compiuti – non vorrebbero che non vi fosse alcuna informazione neanche laddove, pur con tutti i limiti, finalmente c’è stata. E per fortuna che c’è stata!
Se Abbate voleva, correttamente, porre il problema, avrebbe benissimo potuto dire a Dialogo, a Il Domani ibleo, al profilo fb ‘Ignazio indica cose’ e all’intera comunità interessata ciò che condensiamo in questo immaginario virgolettato: <<Scusate, è tutto vero ciò che avete scritto sul decreto VTM (è quanto, nei fatti, ammette nella querela la quale non smentisce alcunchè) ma badate che ve ne sono altri cinque di decreti. E vi mostro tutte le carte del bando, vi dico perchè ho nominato quegli istruttori, vi illustro ogni passaggio delle istruttorie, dei rispettivi procedimenti di valutazione, degli atti ispettivi compiuti affinchè tutti possiate toccare con mano i criteri che abbiamo osservato, vi faccio vedere la qualità dei progetti prescelti e vi dimostro che essa era superiore a quella degli altri, rispondo ad ogni domanda perchè possiate essere certi che abbiamo perseguito esclusivamente ed oggettivamente l’interesse di sviluppo del territorio, vi spiego le procedure e i tempi che abbiamo seguito, le scadenze e i correttivi che abbiamo apportato, i perché di ogni cosa e tanto altro ancora …>>.
E invece niente di tutto ciò. Ma solo, al contrario e in silenzio, una querela totalmente infondata, quindi (poiché un qualche movente deve pur averlo) minacciosa, intimidatoria, ritorsiva quale deterrente e reazione ingiusti contro un fatto giusto, la pubblicazione degli articoli.
Minacciosa, intimidatoria, ritorsiva e calunniosa. Sì, anche calunniosa nel senso tecnico-giuridico del termine e non in quello – anch’esso sconclusionato – adombrato in querela contro articoli di verità cristallina. I giornali, in quanto tali e con l’atto della pubblicazione in sé, informano e non calunniano mai, proprio mai, neanche quando, in casi estremi, dovessero diffamare.
Cosa ben diversa per una querela che è denuncia di reati all’autorità giudiziaria, con precisa attribuzione a responsabili che invece il querelante sa bene essere innocenti.
In proposito non ho alcun dubbio che la querela di Abbate, presentata nella sua qualità di rappresentante del GAL (di tale presentazione che ne pensa il GAL, ripeto?) sia un atto di calunnia del GAL (ancora, che ne pensa il GAL?). Per ragioni semplici e basilari.
Perché sussista calunnia occorrono due elementi ben precisi, uno oggettivo e l’altro soggettivo. Il primo è nelle cose: la querela presentata contenente la denuncia di reati che il querelante sa non essere stati commessi in quanto i fatti descritti negli articoli sono pienamente veri, tant’è che mai nella querela Abbate sa indicare un solo elemento di difformità dei due articoli e dei post su fb rispetto alla realtà oggettiva e documentale. In questo caso è proprio verità oggettiva, non solo putativa come reputa sufficiente la giurisprudenza di legittimità.
Rimarrebbe un solo punto aperto in teoria, tale da non consentire di chiudere del tutto il cerchio sull’assunto della calunnia: che Abbate, in buona fede, credesse che l’omessa trattazione negli articoli in questione degli altri decreti potesse renderli diffamatori. Se egli effettivamente lo avesse in cuor suo pensato e ne fosse stato sinceramente convinto nel momento della proposizione della querela, essendo l’elemento soggettivo del dolo decisivo a questo fine, sicuramente il reato di calunnia non sarebbe configurabile.
Ma il problema è proprio questo e mi trova in difficoltà. Se io volessi a tutti i costi mettere sopra ogni cosa l’elemento che lo scagioni, dovrei considerare Ignazio Abbate un ‘analfabeta’ costituzionale, ignorante dei principi basilari che disciplinano la convivenza civile in una società democratica che ha il suo principale fondamento nella libertà di stampa che è libertà di ogni organo di stampa di pubblicare le notizie che vuole (purché vere, di pubblico interesse e in forma corretta) e di non pubblicare quelle che non vuole. E’ il pluralismo, in una società sana nella quale tutti i poteri sono sottoposti al controllo della pubblica opinione, a incaricarsi di colmare ogni vuoto possibile. Ma nessuno, tanto meno un potere politico, può mai dolersi dell’avvenuta pubblicazione di una notizia (vera, pertinente ed esposta in forma civile, anche attraverso la satira e l’allegoria) con la singolare pretesa che bisognerebbe pubblicarne anche altre.
Non posso credere che Abbate sia un tale analfabeta: rischierei di offenderne esperienza e intelligenza, nonché di misconoscerne – magari diffamandolo – la comprovata capacità di fare e di maneggiare ogni cosa. Anche perché, se mai lo fosse stato, avrebbe provveduto con i suoi collaboratori, da lui prescelti e stipendiati dai contribuenti, a colmare la lacuna.
Ecco perché io non ho dubbio alcuno, per quanto ovviamente possa valere la mia opinione di semplice cittadino dal momento che spetta ovviamente all’Autorità giudiziaria accertare eventuali reati e punirli. In proposito registro da tempo i ritardi del legislatore, della magistratura e della cultura giuridica e politica italiana nel ‘costituzionalizzare’ l’intero corpo di leggi ordinarie, partendo ovviamente dal codice penale (qui un mio articolo in proposito).
Qualcosa però ogni tanto si muove e, quando ciò accade, ne prendo atto volentieri, come il 24 febbraio scorso quando il Tribunale di Spoleto ha condannato per il reato di calunnia il manager bancario Leodino Galli in quanto autore di una querela nei confronti del giornalista Carlo Ceraso del quotidiano locale Tuttoggi il quale, in un articolo del 2017, pubblicato nel momento della nomina di Galli nel board della Banca popolare di Spoleto, ne aveva ricordato i precedenti, allora nella Spoleto Credito e Servizi, così come risultanti da fatti accertati e pubblicamente noti. Dopo l’archiviazione della querela contro il giornalista cui fu riconosciuto di avere esercitato il diritto di cronaca, lo stesso pubblico ministero, di proprio impulso, aprì un procedimento per calunnia (reato grave contro la giustizia, perciò perseguibile d’ufficio) a carico del querelante, condannato poi dal Tribunale a un anno e quattro mesi di reclusione, al risarcimento di Geraso da quantificare in sede civile con provvisionale di dieci mila euro, nonchè al risarcimento delle altre parti civili (Associazione della Stampa Umbra, Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Ordine dei giornalisti dell’Umbria) nella misura di cinque mila euro ciascuna.
Ho scritto all’inizio che … c’è un giudice a Ragusa e questa è un’ottima notizia. Forse non basterà perchè il valore della libertà di stampa possa avere la tutela piena che una forte sensibilità costituzionale ha consentito per esempio nel caso citato, il primo in Italia. Ma è il segno incoraggiante di segnali di cambiamento – per quanto piccoli, incerti, timidi e tardivi – indotti dalla forte spinta della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, spero, al più presto possa affermarsi con nettezza in ogni Procura e in ogni aula giudiziaria anche in Italia.
Se oggi possiamo dire che c’è un … giudice a Ragusa, di certo non si vede neanche l’ombra dell’Associazione Siciliana della Stampa, dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia nè, per quanto sia la stessa nell’isola come nella piccola regione umbra, della Federazione Nazionale della Stampa Italiana.
Tornando in conclusione all’affaire-Gal, al Comune di Modica e al ‘Sistema-Abbate’, rimane da capire quale lezione ciascuno vorrà trarre dalla vicenda. Ciascuno chi?
1) Abbate innanzitutto e tutte le ramificazioni del suo potere a cominciare da quelle stabilmente insediate nel palazzo comunale dove anche il GAL è stato inseminato e impiantato.
2) I tanti suoi partners, anche del GAL, pubblici innanzitutto (gli altri quattro Comuni) ma non solo, perché anche i privati con il loro voto dispongono di soldi pubblici e decidono a chi destinarli come è stato nel caso delle incredibili singolarità del decreto in questione. Ma – ripetiamo – tutti gli analoghi provvedimenti meritano la stessa verifica documentale. In senso lato, non certo per fare querela, ha ragione Abbate: ci sono tanti altri decreti negli anni. Quindi aggiungo: Stampa, se ci sei batti un colpo! E così anche il presidente del GAL – ieri Abbate, oggi Maria Monisteri – sarà contento.
3) La città che ha diritto e bisogno di sapere e che può, nella voce dei cittadini singoli e dei gruppi sociali in cui vive, scoprire una nuova coscienza politica, civile e democratica. Coscienza della quale gli organi d’informazione, in misura molto più ampia e incisiva di quanto finora siano stati capaci, si spera siano all’altezza.
Peraltro oggi, molto più direttamente e attivamente del passato, anche singoli individui, a maggior ragione gruppi e associazioni, possono con facilità fare moltissimo per informarsi ed informare sicchè quella che una volta si definiva ‘stampa’ non è più, solo, una ristretta comunità di operatori ma una dimensione della cittadinanza, ampia e diffusa senza confini.
In questo contesto, se ci pensiamo, non è assurdo che sia così difficile fare circolare informazioni su verità pubbliche elementari, necessarie e documentali come nel caso in questione, al punto che una voce social, proprio per averlo fatto, sia stata cancellata e messa al bando e due testate giornalistiche aggredite con un abuso di querela così strabordante da essere anche calunnioso ad opera di un potere, pubblico e perciò finanziato dai contribuenti, ma mosso – nell’abuso e nella calunnia – da interessi privati?
Chiunque – sì, proprio chiunque – ritenga tutto ciò assurdo o, quanto meno, avverta dentro di sè la dignità personale e civile sufficiente ad impedirgli di accettarlo, può fare qualcosa per cambiarlo.