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Creare deleghe istituzionali al cambiamento climatico è una priorità: la proposta dell’architetto Mark Cannata

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«Non possiamo più parlare degli effetti del cambiamento climatico sulle nostre città e sui nostri equilibri socio-economici come di un problema del futuro: le conseguenze sono già in atto e in pochi anni diventeranno irrimediabili se le istituzioni non usciranno dalla paralisi attuale per assumere questo tema come prioritario tra quelli che rappresentano un rischio per la popolazione: servono immediatamente un Ministero, Assessorati nelle Regioni e negli Enti locali che abbiano una delega specifica al Cambiamento climatico che coinvolga direttamente anche la Protezione civile». La proposta è di Mark Cannata, architetto e ricercatore siciliano, di recente autore di un ampio contributo nel volume sulle Sofferenze Ubane pubblicato da Daniele Menichini e Benedetta Medas con Edizioni ETS e co-fondatore insieme al collega Antonio Stornello del progetto Kassandra, strumento per la pianificazione urbana e la gestione delle risorse progettato per far fronte proprio agli effetti del cambiamento climatico, già presentato alla Biennale di Architettura di Venezia nel 2021.

«Proprio l’esperienza di Kassandra – spiega Cannata – ci ha messo di fronte ad una evidente vacatio governativa e amministrativa su questo fronte. In pochi anni dalla nascita del nostro progetto abbiamo creato con estrema rapidità applicazioni in varie parti del mondo, ad esempio in Inghilterra, in Irlanda del Nord e in particolare ai Caraibi, dove gli effetti degli uragani sono già stati devastanti nel recente passato e potrebbero tornare ad esserlo nell’immediato futuro. Nel frattempo siamo stati contattati e coinvolti in numerosi tentativi di interlocuzione a beneficio della progettazione urbane in varie parti d’Italia, in particolare in Sicilia, ma qui tutti questi tentativi si sono arenati di fronte all’evidenza di questa mancanza di deleghe e protocolli specifici, per non parlare della mancanza di fondi specifici e di norme dirette di azione, che genera un sostanziale immobilismo politico-istituzionale: non vogliamo dire che ci sia una mancanza di volontà, ma uno stallo di fatto di cui stiamo sottovalutando gli effetti non sul futuro, ma già sul presente».

 

Cruciale, nella proposta dell’architetto Mark Cannata, proprio la necessità di collegare la delega al Cambiamento climatico con quella alla Protezione civile: «In questi anni sono nati Ministeri e assessorati a cui è stato dato il compito di occuparsi in modo vago, generico, ma soprattutto a livello di ordinaria amministrazione dell’Ambiente o della Transizione ecologica. Questo vuol dire che il cambiamento climatico non è stato mai inquadrato come un tema di portata straordinaria legata invece innanzitutto alla sicurezza della popolazione. Dinanzi a fenomeni acuti e tragici, come il recente caso delle frane causate dal maltempo a Ischia, il dibattito finisce per annodarsi su sé stesso senza essere capace di sollecitare una presa di coscienza generale e anzi finendo addirittura per alterare la percezione di una portata del rischio che è invece ormai di carattere cronico. Un rischio – precisa Cannata – che in Italia riguarda tutti i centri storici, dove risiede la maggior parte della popolazione che da qui a pochi anni dovrà fare i conti con gli effetti di questo cambiamento epocale. Ecco perché c’è bisogno di una struttura istituzionale che a cui a livello centrale e locale venga affidato con chiarezza il compito di assumere le decisioni necessarie, di stanziare le risorse collegate, ma innanzitutto di coinvolgere tutti i cittadini in una rapida acquisizione di consapevolezza del problema».

 

Una consapevolezza diffusa per favorire un sostegno generale a nuove pratiche di progettazione urbana e di convivenza civica, ma anche per incoraggiare azioni individuali che possano moltiplicarsi positivamente con un effetto sciame sono, dal punto di vista di Cannata, il punto di partenza verso le soluzioni da mettere in pratica: «Nel mio testo sulle Sofferenze urbane ho ampiamente analizzato il tema della nostra percezione nei confronti dei luoghi che abitiamo e l’importanza della coscienza collettiva. Come progettisti, oggi ci rendiamo conto che la complessità delle decisioni che sarà necessario assumere in tempi brevi sono tali da paralizzare la politica a tutti i livelli nel timore di una crisi di consenso. Tuttavia sappiamo anche che si sta diffondendo una sensibilità capace di premiare lungimiranza e capacità di visione e che se si riuscirà a operare nel modo migliore nel coinvolgimento della popolazione si potranno innescare scelte attive di stile di vita a livello di singoli individui e di piccole comunità capaci di avere un impatto radicale sul miglioramento della sostenibilità. Si tratta di tirare fuori la testa da sotto la sabbia e di assumere l’audacia di una visione olistica dell’effetto delle decisionipolitiche: la questione è certamente complessa, ma siamo ancora in tempo per far sì che la sua gestione non diventi complicata e facendo leva sulla responsabilità dei cittadini e sul loro desiderio di partecipazione alla costruzione del futuro potremo rendere anch’essa più equa e sostenibile».