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Elezioni, il ‘Campo progressista-liberale’ (chiamiamolo.. ‘Saperla’: ecco perchè ….) se corre diviso va incontro alla sconfitta e al suicidio, mettendo a rischio la Costituzione. La scelta assurda, tra veti illogici, esuberanze caratteriali, infantilismo politico e una certa sindrome da ‘comma 22’. Eppure la partita è aperta e ‘Saperla’ può vincerla: così…

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Per la prima volta nella storia delle elezioni legislative quest’anno voteremo a settembre, il che vuol dire campagna elettorale anche in pieno agosto: entro il 22 vanno depositate le liste.

E’ un fatto inedito non solo nella storia della Repubblica (sempre al voto tra febbraio e giugno), ma anche in quella degli 87 anni precedenti di vita del Regno d’Italia quando, oltre giugno, non si è mai votato prima di fine ottobre, il 22 nel 1865 e il 26 nel 1913: date che comunque non hanno reso necessaria la caccia al voto con il solleone, senza considerare che gli elettori da conquistare erano una minoranza, mezzo milione appena (504.263, con soli 271.923 votanti) nel primo caso, meno di otto milioni e mezzo (8.443.205, con 5.100.615 votanti) nel secondo.

Fatta questa premessa, più per curiosità statistica che per altro, il vero tema è dato dai seguenti elementi: l’importanza di queste elezioni al di sopra della fisiologia di routine in cui tale importanza è sempre declamata, pur nella totale diversità di ogni situazione; l’esito che appare più o meno prevedibile o probabile considerato il netto vantaggio della destra; le conseguenze che da esso scaturiranno per la vita del Paese e di ciascuno dei suoi abitanti; nonché, last but not least, nella chiamata improvvisa ad un voto che nessuno aveva previsto così affrettato, le scelte che i soggetti politici in campo stanno facendo su come partecipare alla gara, alla luce – decisiva – delle regole della competizione elettorale.

Il vantaggio consistente della destra capeggiata da Giorgia Meloni, almeno ad oggi, è certo, anche perché la forza di ciascuno dei protagonisti in campo è. quotidianamente e precisamente, misurata dai sondaggi. Altra cosa poi sono i mutamenti che potranno intervenire nelle intenzioni di voto, o non voto, degli elettori fino al momento in cui si apriranno le urne.

Altro dato certo è che è in atto una partita a due, tra – da una parte – la destra (FdI, Lega, Fi, Udc e altri gruppi) e – dall’altra – un’area che, per semplicità, definiamo di centrosinistra ma che, al contrario della prima, non si sa ancora da chi sarà composta tra le sue varie, virtuali, componenti le quali, da sinistra verso il centro, sono Sinistra italiana-Europa Verde, M5S, Partito democratico, Azione-+Europa, Impegno civico-Centro democratico, Italia viva.  Tralasciamo per il momento di citare realtà collocate ancora più a sinistra come l’Unione popolare di Luigi De Magistris nella quale confluiscono Rifondazione comunista, ManifestA e Potere al Popolo. Sorvoliamo per il momento non perché sia saggio nè logico farlo, ma solo per venire subito al punto e perché tale Unione popolare tende, purtroppo, ad auto-isolarsi per propria stessa scelta.

E il punto è che, stando alle dichiarazioni – e soprattutto alle argomentazioni – di qualche voce di questo campo, l’alleanza elettorale sarà molto ristretta e ne faranno parte solo alcuni dell’area di centro sinistra o progressista. E non potrà farne parte il M5S, per un veto ad escludendum posto dal Pd che pure con il movimento di Conte ha governato per quasi tre anni, metà dei quali sulla base di una piena alleanza politico-programmatica nel cui nome allora il capo del Pd definiva il capo del M5S un forte punto di riferimento dei progressisti.

Comunque, e da qualunque angolo di osservazione, si voglia valutare la scelta del M5S di non votare l’ultima fiducia al Governo-Draghi sul decreto-Aiuti (scelta che il Pd potrà giudicare sbagliata e nefasta dal punto di vista tattico e per l’effetto domino innescato, non certo da quello delle ragioni politico-programmatiche che ne erano alla base) non si capisce quale sia il nesso logico-causale tra tale scelta del M5S e il veto sull’alleanza.

Si capisce invece bene – ed è un dato oggettivo incontestabile – che la conseguenza sarà consegnarsi ad un suicidio certo e pianificato. Che è soprattutto ‘omicidio’, nel senso di annientamento, contro tutti i milioni di Italiani che vi confidino, di una prospettiva politica e di governo alternativa alla destra nella legislatura che verrà.

Quel nesso logico-casuale non si capisce, perché semplicemente non c’è e non può esserci.

Il voto del 25 settembre di cui stiamo discutendo è quello dal quale deriverà l’elezione del Parlamento, non del Governo. Precisazione fondamentale e sostanziale, non secondaria e non solo formale.

Il Parlamento è il luogo nel quale ciascuna forza politica ha il diritto, ed il dovere, di stare per fare le leggi, come portatrice di idee, valori e programmi prescelti da chi la vota.

La funzione primaria, essenziale e distintiva, del Parlamento è quella legislativa. Essa produce le leggi che servono al Paese all’esito dell’incontro, a volte scontro, comunque del dialogo, della mediazione e del confronto tra tutte le forze rappresentate. E’ la democrazia rappresentativa che, in un sistema parlamentare come il nostro, concorre a produrre – solo dopo – anche la funzione esecutiva.

Infatti tra le funzioni del Parlamento vi è – anche – quella di far nascere e fare morire i governi. Ma presentarsi agli elettori come potenziale compagine di governo, la cui semplice proponibilità sia quindi subordinata ad una preliminare e pregiudiziale verifica di totale sintonia programmatica – necessariamente astratta, fittizia e intempestiva perché distante dall’attualità dei temi che si porranno nella legislatura (appunto, legislatura, non … ‘governatura’) – è sbagliato, inutile, dannoso, fuorviante, autolesionistico.

Ciascun partito o movimento si candida con la propria proposta e le proprie tesi – per entrare in Parlamento – sulla base della propria storia, identità, credibilità, adeguatezza o meno a giudizio insindacabile degli elettori, a dispiegare la migliore azione, innanzitutto legislativa, per il bene del Paese. Importante, e perfino determinante, può essere il programma che ogni partito si prefigge di portare avanti, ben sapendo che potrà farlo solo nella misura corrispondente all’entità del consenso che riceverà e al ruolo di maggioranza artefice della formazione di un Esecutivo o, al contrario, di minoranza che concorrerà alla formazione delle leggi e a proporre, con critiche e proposte alternative, la propria visione di governo.

In un sistema parlamentare non esistono altre possibilità. Immaginare che la gara elettorale consista nell’eleggere un governo è una forzatura, una mistificazione, un inganno.

Del resto basterebbe guardare la storia recente per averne plasticamente la prova. La coalizione che prese più voti nel 2013 (‘Italia bene comune’ di Bersani e Vendola) ha forse espresso qualche governo a sua immagine e somiglianza nel corso del quinquennio? E lo ha potuto fare per caso quella arrivata prima, con il 37% dei voti, nel 2018, ovvero il Centrodestra di Salvini, Berlusconi e Meloni, in questo ordine decrescente quanto a rapporti di forza?

Da quattordici anni non si formano in Parlamento governi espressione di coalizioni elettorali. E ciò perché, semplicemente, non c’è alcuna elezione diretta dell’organo esecutivo il quale può nascere unicamente con un voto di fiducia di entrambe le Camere e rimanere in vita finchè avrà il sostegno della maggioranza assoluta di ognuna di esse.

E’ quindi in Parlamento, dopo che questo sarà stato eletto, e sulla base del voto di ciascun suo membro, costituzionalmente libero da ogni vincolo di mandato, che potrà nascere un Governo. Pretendere che esso possa essere concepito in vitro all’atto delle scelte delle alleanze elettorali – quindi agitando veti ed ostracismi o imponendo fantasiose precondizioni, spesso per esuberanze caratteriali e non per ragioni politiche – è semplicemente fuorviante, pericoloso, nocivo, ingannevole e distorsivo del valore del voto di ciascun elettore, mattone della democrazia rappresentativa.

Se oggi, a 55 giorni dall’apertura delle urne, come 11 giorni fa nel momento dello scioglimento delle Camere, il solo dato certo è che nettamente avvantaggiata, fatto senza precedenti, è una coalizione estranea, e in molti punti contraria, alla nostra Costituzione, la sola partita che possa giocare chiunque non senta di appartenere a quella coalizione ed anzi se ne dichiari antagonista ed alternativo è quella che lo veda schierato nella parte opposta, la più ampia e perciò unica, del campo. Chiunque s’illuda che sia possibile o utile una diversa partita corre senza ritorno verso una sconfitta e un salto nel buio rovinosi.

Pertanto i soli elementi discriminanti, ai fini della sussistenza e sostenibilità o meno di una possibile alleanza avversaria di questa destra, sono quelli propri dei valori costituzionali incidenti sul comune sentire di ogni componente politica, ognuna diversa dall’altra e però unita da tali valori.

Non credo sia necessario qui fare esempi concreti per comprendere ciò che è di lampante evidenza, ovvero che la destra in vantaggio sia del tutto estranea alla nostra Costituzione, al suo dna formatosi nella Resistenza e nella Liberazione, ai suoi principi fondativi di uguaglianza, libertà e giustizia sociale.

A fronte di ciò, per questo passaggio straordinario della storia italiana, è necessario alzare lo sguardo dai piccoli e medi recinti particolari di ciascuno e avere occhi solo verso i confini esterni dell’area più ampia possibile che si riconosca totalmente in quei valori. Potremmo definirla liberal-progressista, o socialista-liberale, o ancora – volendone più puntualmente rimarcare la maggiore ricchezza dei tratti – socialcomunista, ambientalista, popolare, europeista, radicale, azionista, movimentista, riformista, liberale, democratica, progressista. Utilizzando tutti, o quasi, questi termini, potremmo scegliere, ma solo per intenderci nel corso di questo articolo, l’acronimo ‘Saperla’ e definire così una squadra da varare in fretta e schierarla nel migliore assetto possibile per difendere finchè si è in tempo (dopo potrebbe rendersi necessaria un’impresa ben più difficile: ripristinarli nel vuoto) quei principii e valori costituzionali irrinunciabili. Ciò presuppone una ed una cosa sola: l’alleanza più larga possibile, da Unione popolare ad Azione+Eu-Iv, passando per Si-Ev, M5S, Pd, Cc-Ic.

Lo impone la regola elettorale secondo cui saranno eletti 221 dei 600 parlamentari: un 37% decisivo perché un’area delle forze in campo conquisti la maggioranza assoluta. Per gli altri 367, pari al 61% (poi vi sono i 12, pari al 2%, degli Italiani all’estero) non vi sarebbe, e non vi è, alcuna necessità ma quel 37% del Parlamento consegnerà ad uno, e ad un solo, dei due più forti contendenti la maggioranza assoluta. Maggioranza assoluta della destra che sarebbe molto estesa, vicina o superiore ai due terzi, quindi con mani libere sulla Costituzione senza presidio referendario, se a contrastarla anziché ‘Saperla’ tutta unita fossero due o più suoi tronconi in ordine sparso. In questo caso la partita decisiva che mette in palio 221 seggi (147 alla Camera e 74 al Senato) vedrebbe il trionfo della destra a cui andrebbe l’80 per cento della posta maggioritaria per un tendenziale 65% complessivo.

Ciascuna delle singole componenti di ‘Saperla’ può tranquillamente – ne ha il diritto, ed anzi il dovere rispetto agli elettori – elaborare il proprio programma di governo: netto, chiaro, comprensibile, senza cedimenti, rinunce o compromessi che lo scolorino. E ciò vale per il partito dell’1% come per quello del 10, del 20 o del 30%.

Sarà così eletto un Parlamento che sulla base dei voti attribuiti ad ognuno di quei programmi deve innanzitutto fare le leggi, in molti casi vertenti su temi estranei alle funzioni di governo (si pensi allo scandaloso ritardo italiano sui diritti civili) e deve anche dare al Paese un Esecutivo.

E’ in Parlamento che il Governo dovrà avere il consenso, nella forma del voto di fiducia, necessario. E ciò sempre e comunque: dato non scontato anche nel caso, rarissimo, in cui una lista o coalizione di liste elettorali possa determinare l’elezione di una maggioranza assoluta di parlamentari. Dato ancora più difficile, anzi impossibile, nel caso in cui ciò non avvenga.

Ma se al Parlamento ci si candida per entrarvi, e potere svolgere così la sua funzione primaria che è quella legislativa, non solo è sbagliato ma è anche suicida pretendere di anticipare, al momento di preparazione delle liste, drastiche restrizioni o esclusioni pur nell’area di quel vasto idem sentire sui valori decisivi che potranno connotare l’azione legislativa, peraltro in una fase storica eccezionale nella quale per la prima volta dopo 74 anni di elezioni ‘repubblicane’, come già rilevato, la parte politica in vantaggio e quindi con le più alte probabilità di vittoria è del tutto estranea ai valori della Costituzione e ai suoi principi cardine di società, di paese, di vita individuale e collettiva, di futuro.

E’ suicida, per chiunque senta di non riconoscersi in quella parte, regalare l’80 per cento dei 221 collegi uninominali alla destra – con la certezza di renderle le mani libere anche nello stravolgimento della Costituzione – solo perché su diversi temi programmatici tra alcune delle componenti di ‘Saperla’ vi siano differenze.

Nel caso del veto posto dal Pd al M5S non si tratta neanche di divergenze programmatiche poichè il Pd condivideva le richieste dell’alleato: punto divisivo è stata solo la decisione tattica di quest’ultimo di non votare la fiducia al Governo-Draghi. Ma che c’entra ciò con la scelta suicida sull’alleanza dimezzata? Comunque, in tutti i casi in cui divergenze programmatiche possano esservi – e sempre ci saranno – la soluzione sta proprio nella democrazia parlamentare: un’intesa, una mediazione, un punto di sintesi tenendo conto del consenso reale espresso dagli elettori, quindi dopo e non prima del voto, a ciascuno dei programmi, netti e chiari, di ogni singola forza politica presente come tale nella parte della competizione che, in modo proporzionale, attribuisce 367 (il 61%) dei 600 seggi.

E’ proprio il voto degli elettori, nel nostro sistema parlamentare, a dare a ciascuno dei soggetti politici e alle rispettive tesi la forza, piccola o grande che sia nei vari casi, di concorrere poi alla scelta di un programma – uno solo, capace del consenso di una maggioranza parlamentare – che non può esistere prima del voto se non nelle posizioni di partenza dei singoli competitori ‘proporzionali’, e che proprio grazie al voto assumerà il profilo e i contenuti che, su mandato degli elettori e attraverso la delega agli eletti, risulteranno possibili.

Se l’Italia, nella Costituzione vigente, è una democrazia rappresentativa con un sistema di governo parlamentare, tutte le forze politiche e i loro dirigenti abbiano la serietà di prenderne atto con coerenza fino a quando non avranno modificato tale modello e tale sistema.

La partita elettorale è una cosa e si gioca sulla rappresentanza; quella del governo è un’altra e si gioca in Parlamento quando, per volere degli elettori, ciascuna forza politica disporrà del suo gruzzoletto di ‘crediti di democrazia’ e lo porrà al servizio di un progetto di governo.

Basterebbe qui richiamare il caso della Germania dove un sistema misto maggioritario-proporzionale non trova mai nelle urne una maggioranza parlamentare assoluta che quindi va costruita in Parlamento. E’ qui che, sulla base della minore distanza possibile in ordine a identità politica e proposta programmatica, i più vicini ricercano, instancabili fino a quando la trovano – anche con infinita pazienza, estenuante fatica, complicate mediazioni, dolorose ma necessarie rinunce – la migliore sintesi possibile anche in ragione della cifra rappresentativa capace di produrre un programma di governo che non sarà quello prescelto prima della prova delle urne da ciascuno degli alleati, ma quello nuovo risultante dal confronto tra di essi nel rispetto del diverso grado di consenso espresso dagli elettori. Perchè non può accadere la stessa cosa in Italia? Perchè, anche sulla base dei voti ottenuti da ciascun partito o lista elettorale, muovendo dalle proposte rispettive e dotandole del consenso ‘ponderato’ guadagnato nelle urne, non si può costruire un’alleanza di governo, coincidente o la più simile possibile a quella elettorale, basata su un programma dettagliatissimo, così che ogni giorno in più speso nella sua meticolosa definizione risulti un investimento sulla sua effettiva realizzazione e sia quindi anche garanzia di tenuta e di stabilità del Governo?

Questa è l’unica posssibilità oggi esistente. Non ce n’è un’altra e chiunque si comporti come se questa vi fosse, si assume la responsabilità di far vincere la parte più distante anziché quella – magari da ridefinire programmaticamente dopo il voto – ben più vicina e nella quale far confluire una parte delle proprie proposte.

Tale agire è infantilismo suicida, è immaturità politica, è inganno di sè e dei propri elettori, è incoerenza e perfino disonestà intellettuale soprattutto nel caso in cui costoro non abbiano totalmente e già da molto tempo prima votato se stessi ad una sola causa politica, il cambiamento del sistema costituzionale – con esclusione di tutte le altre e conseguente autosospensione della propria azione politica ‘ordinaria’, fino al raggiungimento dell’obiettivo – e non lo abbiano lealmente dichiarato ai propri elettori.

Per essere ancora più chiari: chi, pur sentendosi, ed avendo scelto di essere, avversario di questa destra, decida di non unirsi all’ampia squadra di ‘Saperla’, o imponga veti e condizioni privi di ratio politica e aventi lo stesso effetto esclusivo per altri o per sè, preferisce ottenere zero nei 221 collegi uninominali e così far vincere la destra e, in questo modo, da una parte eleggere un numero inferiore di propri parlamentari (solo quelli della partita proporzionale) e dall’altra di autoescludersi totalmente dalla possibilità di fare confluire le proprie tesi programmatiche, o anche una loro parte, nel progetto di governo. A fronte di una sequenza certa e catastrofica di tali risultati, quale sarebbe il vantaggio o l’elemento che giustifichi la scelta? Perchè ciò che è molto più distante da sè dovrebbe essere preferito a ciò che, nella peggiore delle ipotesi, lo è molto meno e in cui, probabilmente, potrà esserci anche una parte di sè?

Ciascuna componente di ‘Saperla’ faccia dunque il proprio programma, anche di governo: netto, ambizioso, identitario, radicale se vogliamo. Su di esso, con almeno il 3% dei consensi, otterrà una parte, piccola o grande, dei 367 seggi in palio con metodo proporzionale. Ma qui la destra, pur nettamente in vantaggio nei sondaggi, non potrà conseguire alcuna maggioranza assoluta in Parlamento senza un’ampia parte dei 221 seggi in palio con metodo maggioritario, ovvero nei collegi uninominali in ognuno dei quali sarà eletto uno solo dei candidati, il primo arrivato anche con appena un voto in più del secondo.

Per giocare la partita, e renderla ancora aperta, è quindi necessario che ‘Saperla’ nei 221 collegi uninominali si presenti come tale, cementata dal comune sentire costituzionale, e schieri il più possibile candidati ‘pluri-rappresentativi’ di tali culture politiche (ne abbiamo indicate undici), meglio se candidati indipendenti da ciascun partito o movimento politico organizzato parte della coalizione, non solo laddove ai nastri di partenza, sulla base dei sondaggi disponibili oggi ancora senza liste, la situazione appaia incerta in una distanza stimata di 5-6 punti in un senso o nell’altro, o in equilibrio, ma soprattutto dove il divario dalla destra sia evidente, anche netto ma non incolmabile con candidature appropriate. E tali possono essere quelle non divisive tra la sinistra-sinistra e il centro più distante prossimo alla destra liberale, quindi biografie, esempi, esperienze anche politiche purchè corrispondenti a quel comune sentire costituzionale architrave della coalizione, nonchè personalità della società civile capaci di impersonare compiutamente, degnamente e coerentemente i valori alti di ‘Saperla’ o almeno sue ampie parti senza riserva alcuna o motivi d’opposizione delle restanti. Se poi tutto ciò avvenisse per una spinta dal basso, ovvero dalle comunità locali che abitano il territorio dei 221 collegi, quindi anche per l’autonoma capacità d’iniziativa della base elettorale di partiti e movimenti di ‘Saperla’ e dei loro dirigenti locali fuori da pressioni o diktat dei rispettivi vertici centrali, si formerebbe un significativo ulteriore valore aggiunto capace di fare la differenza nel campo maggioritario.

Se ‘Saperla’ con convinzione e determinazione si batterà unita in questa partita ad eliminazione diretta nei 221 campi di gioco, potrà vincere le elezioni e conquistare, nel dato complessivo, anche più dei 201 deputati e dei 101 senatori necessari per disporre della maggioranza assoluta.

In questo caso, nulla vieta a ciascuna delle singole liste aspiranti ad almeno il 3% (ed ovviamente anche a quelle maggiori, a partire dal Pd oggi accreditato del 24%) di onorare, ed anzi rimarcare la propria identità, il proprio profilo e il proprio specifico programma nella parte della gara in cui sono in palio 367 seggi proporzionali.

Occorre però la maturità politica necessaria a capire che le partite saranno due, totalmente diverse l’una dall’altra, mentre il risultato sarà uno solo, sommatoria inevitabile di entrambi. Ma mentre la prima, quella per i 367 scranni proporzionali, offre piccoli margini di cambiamento (ogni contendente in questi 55 giorni potrà perdere o guadagnare qualche punto percentuale ma in limiti molto contenuti, tali da non potere in ogni caso determinare il risultato), la seconda, per i 221 seggi uninominali, essendo ad ‘eliminazione diretta’ designerà comunque il vincitore e quindi è qui che deve battersi con tutte le proprie forze una squadra coesa in cui tutti sostengano il giocatore schierato e che perciò deve essere rappresentativo del comune sentire della coalizione e non dei contenuti programmatici più specifici di una parte, soprattutto se divisivi.

Quindi due partite ben distinte, ma complementari: potremmo dire due tempi (l’espressione del voto è contestuale, ma le regole di assegnazione del risultato totalmente diverse) di una partita che avrà un solo risultato finale in gran parte frutto dello scontro, il nostro ‘secondo tempo’, nei 221 collegi uninominali.

Piaccia o no, così stanno le cose perché queste sono le regole fino a quando non saranno cambiate. Se qualcuno, nella vasta metà campo di ‘Saperla’, non le ha capite o finge di non averle capite, sta giocando per perdere.

Il 25 settembre, comunque vada, non sarà eletto alcun governo. Chi pensa ed agisce come se ciò fosse possibile si faccia da parte e magari, con onestà intellettuale e coerenza, si batta per i cambiamenti costituzionali necessari ma intanto si astenga dal minare il campo che, invece, deve essere perfettamente agibile e senza ostacoli in quanto occorre la migliore prestazione collettiva e unitaria per vincere la partita: traguardo possibile, oltre che storicamente necessario nello snodo cruciale in cui l’Italia si trova.

I compagni di squadra di ‘Saperla’, accomunati da quell’idem sentire costituzionale, possono, se vogliono ed anzi hanno il dovere rispetto al Paese, di correre tutti insieme per il Parlamento, in una democrazia rappresentativa e in un sistema parlamentare.

Chi, pur sentendosi avversario della destra, mina il proprio campo naturale e obbligato, o pretende di escludere dalla partita possibili compagni di squadra ha deciso di perdere, senza che ve ne sia alcuna ragione utile all’Italia. Costoro si sono consegnati ad una sorta di funesto sortilegio che non ammette alternative ad una sconfitta rovinosa che mette a rischio anche la Costituzione. Quanti tra di essi siano in buona fede ci fanno pensare al paradosso di Epimenide: “La frase seguente è vera. La frase precedente è falsa”.

E sì, perché, sembra che a costoro non sia chiaro che il 25 settembre si giochi, per eleggere il Parlamento, con la regola decisiva che abbiamo visto (eliminazione diretta, uno solo vince) in 221 campi di gioco e che, non avendolo compreso, si preparino a scendere in campo come se la partita si giocasse tutta e solo con l’altra regola (valida per 367 seggi) in cui ciascuno fa la sua prova e prende ciò che gli spetta in proporzione.

Coloro che dovrebbero averlo capito sembrano invece prigionieri di un incantesimo da egomania infantile  dal sicuro effetto suicida: o vinco io da solo, con il mio piccolo programma nel quale si specchia il mio ombelico, o è meglio che vinca il mio peggiore avversario, e ‘chissenefrega’ di una trentina di milioni di Italiani che non vogliono quell’esito. E qui il pensiero corre al paradosso del noto cosiddetto ‘Comma 22’ che noi, nel nostro caso, potremmo declinare così: “Se tu hai fatto una cosa, anche una sola, su cui io non ero d’accordo, non potrai più stare con me e così né io, né tu potremo fare più nulla delle tante cose su cui eravamo, e ancora oggi, siamo d’accordo”.

Una bella strategia, non c’è che dire!

Superfluo infine aggiungere che tale votarsi alla sconfitta non è un problema per i giocatori ma per la parte, un’ampia parte, dell’Italia – quella che si riconosce in ‘Saperla’ e ritiene irrinunciabile, almeno nei principi e nei valori fondativi, la nostra Costituzione – che pure dicono di volere rappresentare: ecco, rappresentare. Solo dopo, governare.

Ps: l’autore pensa tutto il male possibile della legge elettorale vigente (‘Rosatellum’), al pari di quella che l’ha preceduta (‘Porcellum’), perchè anticostituzionale e antidemocratica, ma è la legge vigente e con essa bisogna fare i conti.

Nel contempo lo stesso autore crede che il sistema costituzionale di governo parlamentare non sia l’unico possibile e che sia suscettibile di modifiche, in melius sperabilmente. Ma è quello vigente e, fino a quando sarà tale, bisogna farsene una ragione.

Infine, sempre l’autore, ha molto a cuore alcune tesi programmatiche prioritarie per determinate componenti di ‘Saperla’ e non per altre (un esempio per tutti: la lotta drastica alle disuguaglianze e alle povertà, la giustizia sociale, la protezione del lavoro e la sua dignità da ripristinare, una più forte progressività fiscale, ecc…) e proprio per questo reputa necessaria la massima ampiezza della coalizione affinchè, anche in parte, quelle tesi indicate solo come esempio possano trovare, sulla base del voto degli elettori con una vittoria di squadra, il massimo sostegno parlamentare possibile. Che invece sarebbe nullo se la scelta scellerata della divisione consegnasse l’Italia a chi coltiva tesi totalmente diverse e in molti casi opposte.